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Musica

Caneda, l’angelo da un’ala sola

Caneda si odia o si ama, abbiamo provato a fare "un po’ di"… ordine nella sua discografia, per capire se sia un genio o un pazzoide.

La sottile linea che separa la genialità dalla presa per il culo ha un nome: provocazione. La provocazione è ciò che spinge le persone a osservare le la realtà fuori dal senso comune. Importante, per stabilire la genialità o la supercazzola, è capire dove l'accento provocatorio cada, se sul contenuto o sul mezzo. Riflettevo in malo modo su questo tema mentre ascoltavo l'ultimo singolo di Caneda, rapper che negli anni ha usato la provocazione come elemento di stile della sua musica. Il singolo in questione è "UnPoDi", pezzo ipnotico e ridondante in cui per tre minuti si ripete la strofa Un po' di figa/un po' di figa… pam pam/pam pam, condito da un video in cui alcune ragazze, inquadrate per lo più dalla vita in giù, ballano.

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Ho sempre ritenuto geniali il modo in cui Caneda provoca i suoi ascoltatori e la capacità che ha di risultare, nonostante questo, credibile. È un artista eclettico e sfuggente, il classico personaggio che o si ama o si odia. I fan lo venerano come un poeta di strada incompreso, capace di dipingere emozioni su beat dalle sonorità più disparate. I detrattori lo snobbano, ritengono sia uno zarro incapace di andare a tempo, persino banale nei temi. Benché oggettivamente non ci si trovi di fronte al Baudelaire degli anni Zero, riuscire a dividere nettamente i fan non è da tutti, e una cosa possiamo azzardarci a dirla: il suo stile è precursore di tutta una nuova generazione di rapper atipici che cavalcano la scena odierna (Essere il più odiato come in missione/il più copiato in questa nazione, da "Cuore nero".

La domanda sorge spontanea: perché gli ascoltatori non riescono ad avere una visione moderata e oggettiva della sua musica? Perché ci si sente sempre in dovere di venerarlo o criticarlo? Ho provato a cercare risposta dentro le poche recensioni dei suoi dischi o nelle ancor più rare interviste che concede, ma non è servito a niente. E provare a trovare uno spiraglio di senso nei commenti sotto ai suoi video su Youtube fa solo venire un'embolia. Così, dopo anni di ascolto, ho deciso di darmi da solo una risposta, partendo dall'unica fonte attendibile: i suoi dischi.

È doveroso fare un po' di… ordine nella sua discografia, dato che la penna di Caneda è una tra le più prolifiche. Non essendo Re Mida, in una produzione così vasta qualche flop ci può essere, e lo vedremo, ma questo non depone a favore dei detrattori. Per dovere di cronaca possiamo dire che ha prodotto una decina di dischi più un numero imprecisato di feat e varie raccolte. Ha militato nella Dogo Gang e in Newtopia, e il 16 febbraio ha dato alla luce il suo ultimo mixtape, Mozart nella giungla, con l'etichetta Honiro Label, insieme alla quale aveva già fatto uscire parte della sua discografia. Già da prima del feat. in "Il ragazzo d'oro", canzone di Guè Pequeno, e la storica strofa in bianco (Il mio jeans è zarro perché è bianco/A casa piscio in un cesso bianco/Nel club rimorchio un cesso bianco/Il baffo della mia Nike è sempre bianco) diventata elemento di culto e tutt'uno con le decine di parodie che ha generato (tanto che probabilmente senza quella strofa la canzone sarebbe finita nel dimenticatoio degli internet), Caneda si è distinto per l'intelligente uso della metrica rap, dove l'insieme (AKA l'effetto ottenuto) è maggiore della somma delle parti (AKA il contenuto del messaggio). Ma non è solo questo, e focalizzarsi su questi aspetti è riduttivo, perché negli anni ha dimostrato di essere un rapper capace di evolvere e non risultare mai scontato sia nel canto che nella scrittura.

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Per provare a capire meglio Caneda ho deciso di analizzare i suoi dischi per parti comuni. Per primi i due album L'angelo da un'ala sola (2007) e La farfalla dalle ali bagnate (2009), a cui seguono Nato nell'acqua (2011) e i successivi Il piccolo principe (2012) e Ancora 3cm di ossigeno (2012). Poi Sinatra Mixtape (2013) e Neda si sveglia a mezzanotte (2013). L'album ufficiale La dolce vita (2014) e l'ultima miscellanea Mozart nella giungla (2016).

L'evoluzione stilistica dai primi due album ai successivi è marcata e, in questo senso, l'album Nato nell'acqua segna un punto di svolta. Gli album che precedono Sinatra mixtape hanno il sapore di un periodo di transizione e cambiamento e contengono diversi elementi stilistici che diventeranno poi ricorrenti nei mixtape, elementi che sono esterni dal circoscritto canone del rap. Discorso a parte meriterebbe La dolce vita, album che si discosta da tutti gli altri per tipo di produzione, ma che rimane sempre figlio del visionario mondo di Caneda, tanto quanto Mozart nella giungla. L'unica costante è il timbro vocale sporco e graffiante – quasi da raucedine – e la scrittura ermetica (La città che cerco è dentro me, al di là del deserto/dentro un re al di là degli alberi/senza bambini con occhi da uomini/senza angeli fra alcolici/senza i frutti degli ipocriti, "La città in fondo al mio cuore". La spontaneità che si riscontra nei primi album però tende a perdersi nei successivi, in favore di passaggi a tratti ordinari e poco ispirati. Di contraltare lo stile di canto si affina e si sposta da una vorace aggressività a un maggior controllo di ritmo e tono che a momenti sfocia in canto, così come i tappeti sonori iniziano a essere molto variegati e influenzati da generi più sperimentali.

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Nei primi due album, l'immaginario di Caneda è un cocktail visivo di luoghi ai margini, personaggi tormentati e situazioni grottesche. Se si volesse inquadrare in un genere, sarebbe un miscuglio di realismo sporco, noir classico e road movie, avvolti nelle tinte di una fiaba nera: prostitute, droga, soldi, sesso, periferie da pellicola cinematografica e sogni si susseguono senza soluzione di continuità ricreando l'immaginario della vita di strada (ha gambe lunghe come strade illuminate/va da occhiali scuri a pupille dilatate/regala sogni agli uomini come zingare gitane/può trasformare in un principe anche un cane/la sua voce ha il canto blu delle sirene/madre di poeti/regno di puttane, "La notte"). Un mondo sprofondato e depravato dove non c'è spazio per la morale e l'aspetto duro della vita è pronto a chiedere il conto (Amare è fuori moda, come la vita/ la vita è un tuo bacio/ il vuoto è madre dell'odio/ senza i tuoi occhi ho un cuore di cuoio/ il mio cuore si è fermato, perché non muoio, "Lancette"). I sentimenti si consumano dietro illusioni e affogano in un distillato di alcol, droga e solitudine (Alice resta qui fuori, fa freddo/voglio solo amarti non portarmi il resto/ sono ancora le tre/ per morire è presto, "Alice"). In questi due album troviamo Caneda al massimo della vena espressiva, sebbene ancorato a cliché tipici di una produzione narrativa di "serie B" – il tossico, l'uomo innamorato della prostituta, la droga e l'alcol come rifugi delle delusioni, i sobborghi metropolitani, i personaggi ambigui, i viaggi – che se riportati su un medium differente – immaginiamo un libro o una serie TV, elementi presenti in modo preponderante nei testi di Caneda – verrebbero bollati come obsoleti, ma non per questo incapaci di regalare emozioni a un pubblico di affezionati.

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Il terzo album della trilogia, Nato nell'acqua, pianta il seme della svolta nei contenuti. I temi entrano più sul personale ancorandosi all'autocelebrazione tipica del rap (sebbene qui presente ancora in forma limitata). L'album forse è il più riuscito in quanto a testi, stile, suoni (e tutto quello che volete metterci). La canzone "Eroi" (qui sopra) è un perfetto sunto di tutto questo:

Nella notte dentro al letto mi rigiro,
mentre prendo sonno tutto ad un tratto non respiro,
la notte è una piscina io ci nuoto a delfino,
la morte sta lontana quando ho Emi vicino,
trasformo chi mi guarda in roccia, cecchino,
la gola è un deserto, ci vorrebbe del vino,
laggiù ho visto un'oasi in un baracchino,
metto tutta questa notte in questo panino

Per quanto la ridondanza della rima baciata possa risultare elementare (e in effetti lo è), il contenuto si apre a un nuovo linguaggio espressivo, dove la centralità dei sentimenti dell'autore è preponderante. Le immagini si susseguono come un flusso onirico e coerente, legato a un ipotetico vissuto. Le tinte cupe restano, i temi della droga, dell'alcol e del sesso anche, ma non sembrano più declinati verso un immaginario "di genere", o almeno non solo, bensì affiancati a temi più introspettivi, di ricerca di senso, a volte religiosi (Credi in Dio/o nelle Jordan/ma Jordan è Dio, crocifisso su una scarpa/ che schiaccia un'altra volta, "In un mondo perfetto") e la città, grande, caotica e dispersiva, rimane il grande schermo in cui perdersi (Questa non è una canzone, è una zattera/noi aggrappati, come naufraghi", "Ufo").

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Ancora 3cm di ossigeno eredita questa visione individuale, e la rimarca sia nell'Intro (Cuffie Beats contro urla/gli angeli sopra Berlino/a Milano come Merlino/anche se si gela, nessuno vicino) che nell'outro, "Ciao RMX" (Parole che mordono pagine/Parole come vetri rotti/Parole inchiodate al muro, come i crocefissi/Parole pesanti come lapidi/Folli come baci/Furbe come ladri/Chiuse, come armadi). Nel disco trova maggiore spazio il tema dell'amore, in pezzi come "Lucciole", "Mickey e Malory", "Nubi basse", "Che fai dormi?" e "Via da Las Vegas" (Questo motel fa cagare/ma è tutto ciò che rimane/spegni la luce ti prego/ma continua a parlare); un amore tormentato e violento, figlio del solito immaginario narrativo, che non ha sbocco se non nella disfatta esistenziale quando va bene, nella morte quando va peggio. C'è ossigeno anche per la sperimentazione stilistica, dove il concetto passa in secondo piano rispetto allo stile, e per scelte musicali non convenzionali, che meglio si svilupperanno nei mixtape successivi, come la scelta di strumentali non propriamente hip-hop ("Oppio", "Testa di gallina", "Nuova religione", "Amo ki mi sa dare tre gocce di sangue", "A sua immagine"). Rispetto a Il piccolo principe risulta un album più vario, completo e incisivo (e pure caciarone nella scelta di campioni che arrivano fino a Brian Eno). Quest'ultimo infatti sembra essere più un secondo atto di Nato nell'acqua, ma privo della forza d'animo e originalità che l'hanno caratterizzato. Come disco si lascia apprezzare all'interno della discografia di Caneda, ma preso singolarmente, eccetto qualche singola canzone come "Nuovo Battisti" (Metti il dolore in rima e poi lo canti/il rap tocca il cuore anche se è la musica degli ignoranti/io e il rap due amanti) o "Gabriella Ferri" (La sua voce stregò il pianeta/la sua anima tra il pubblico piangeva/la chitarra urlava/la voce bruciava/terra che tremava/il mondo è una puttana il mondo è una puttana), non colpisce particolarmente.

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Il cambio di rotta è ormai avvenuto e le tinte fosche e cupe, le atmosfere da road movie e noir sono state abbandonate in favore di una scrittura più morbida e meno criptica, che dà spazio all'introspezione, al passato e alla vita del rapper, nonché a storie di declino sentimentale e personale, pur sempre ancorati a uno scontro tra bene e male. Ad avere un certo peso però ora sono anche le scelte musicali: Sinatra mixtape vede Caneda muoversi su basi che con la musica rap hanno poco a che fare: "Because the night" di Patty Smith per "Mito", "Angeli" di Vasco Rossi per "Cartoline dalla Luna" (Cartoline dalla Luna/atmosfera zero/qui il cielo è nero come questo inchiostro nero/come va a casa? Non so se torno/faccio un giro tra le stelle su di un unicorno) e addirittura Raf con "Un grande salto" per quella che è una delle più belle canzoni scritte da Caneda: "Pelle", un freestyle – leggiamo sul canale YouTube di Honiro, label con cui è uscito il mixtape – ispirato alla vita del pugile e attore Tiberio Mitri, ma in cui è facile vedere un viaggio dentro la vita del rapper (I soldi non servivano, eravamo liberi/i nostri nomi sui muri, come i politici/ i nostri nomi grossi sui mezzi pubblici/essere qualcuno, restando nessuno/il mio cuore sta bruciando ma è solo fumo[…]il rap per il mio cuore è solo un amante). Stesso discorso per Neda si sveglia a mezzanotte, dove il nostro si spinge a rappare su Starway to haven per una "ballad" che ci narra di un uomo apparentemente sconfitto dalla vita (Il suono della pioggia sull'asfalto/lacrime dentro una doppio malto/stammi lontano, in me non c'è niente di caldo/barba dura ma pelle di borotalco/curvo sul bancone do le spalle a un'emozione/meglio un film che un ricordo in prima visione, da "Cuore nero"). Nel disco è presente anche una versione unplugged della strofa in bianco de "Il ragazzo d'oro".

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Tutto questo non è una novità, Neda già ci aveva abituato a questo tipo di sperimentazione e, se vogliamo, provocazione – vedi la traccia "Il prezzo", per esempio –, ricordandoci che la sua musica per quanto molto legata al rap non va esaurendosi dentro questo recinto, e che musica e testo hanno pari peso nell'emotività data dall'ascolto.

La dolce vita rappresenta una specie di parentesi ed è invece un disco rap in tutti i sensi. Uscito per l'etichetta Newtopia, è forse l'unico tentativo – assieme al poco interessante singolo "Seven" – di un approccio al grande pubblico da parte di Neda. Non che ne avesse bisogno, visto il passato nel circuito dei Club Dogo e le innumerevoli collaborazione con gran parte della scena, ma l'etichetta di J-Ax e Fedez l'ha avvicinato alle orecchie di un pubblico differente dal solito, e infatti l'album suona diverso dai suoi classici lavori. Interamente prodotto da Shablo, La dolce vita è un disco strutturato, con hit orecchiabili (vedi "N.E.D.A.", "Andromeda" o "Il cacciatore di draghi") e un tipo di scrittura lontano dal suo tipico ermetismo. Ci sono vere e proprie storie, come in "Giovane zarro", una vita riscattata grazie alla musica (La morte di fronte/la città all'orizzonte/tanti pugni in tasca/una lama in tasca/non basta, non basta/il tuo sogno all'asta/niente più tonno nella pasta/il rap aggiusta una vita guasta […] Quel cuore zarro dov'è?/quel giovane zarro dov'è?/è rimasto laggiù/insieme alla sua crew) e riflessioni personali, come in "Lo specchio" (Chico ho letto il libro che parla di te/non sono gli altri io devo battere me/se faccio rap è solo grazie a te/e a quel regno morto all'Indian Cafè/ho detto al mondo il culo non lo lecco/mentre i miei sogni mi chiudono il becco). Eppure manca qualcosa. Manca la scrittura spontanea, ruvida e ispirata che tanto aveva contribuito a rendere unico l'immaginario di Caneda. E manca l'originalità, ancora la provocazione e l'ecletticità dei tappetti sonori. Sia chiaro, il disco è buono, le produzioni di Shablo meritevoli, ma è un Caneda privo di entrambe le ali, non di una sola, e se sia questo il motivo dell'abbandono dell'etichetta non lo sappiamo e non ci interessa. È stata una parentesi che ci ha mostrato la capacità di adattamento del rapper ed è bene chiuderla senza rimpianti per guardare avanti, all'ultimo mixtape: Mozart nella giungla.

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L'ultimo disco di Caneda prende il nome dall'omonima serie tv prodotta da Amazon, ma oltre questo non ho trovato altri legami tra i due prodotti e forse rappresenta un nuovo punto di partenza. Come per La dolce vita e il successivo singolo Seven, questa è la firma di Caneda, un modo per rimarcare la fonte di ispirazione o di tributo della sua musica. Questo disco è un po' un sunto del percorso partito con Sinatra mixtape. C'è molta riflessione personale (Non so parlare bene, ma so parlare al cuore/dove gli altri vedono grigio, io vedo colore/e quando il giudice mi giudica, sento rumore, "Raffaello"), c'è l'amore disfatto che esplode dentro un letto (Lo so mi hai scritto addio, l'ho letto/ma il mio bacio non è un anello, te l'ho detto/non senti nessun suono sul petto/il mio cuore è al sicuro in un cassetto, "Il ladro di cuori"), la droga che colpisce gli animi stanchi (La salverò, prima che cada/non era né a scuola né a casa/ho chiamato Miki poi la Giada/ho un cavallo bianco e una spada, "Heroine") e viaggi dell'immaginario di Caneda, come in Marlon Brandon e Marylin. E poi c'è la musica, che va dal rap alle sonorità latino americane, passando per il pop e le ballad col pianoforte. Che sia una maturazione definitiva o un nuovo punto di svolta non lo sappiamo, almeno sino all'arrivo del nuovo disco.

E quindi? È difficile provare a spiegare oggettivamente perché Caneda sia così amato e odiato allo stesso tempo. Da un punto di vista stilistico e poetico non si raggiungono certo vette da antologia, sia in contenuti che in metrica e la sua musica non si incasella precisamente nel flusso generazionale di cui canta la sconfitta o le lodi. Non parla a una generazione di riferimento a cui lui e i suoi fans possono dire di appartenere, quanto più a un pubblico dalle passioni comuni. Caneda dà voce a un pantheon di miti caduti, di figure risucchiate nell'oblio del peccato e della disfatta della vita, di cui il suo stesso ego artistico si nutre. Declina i cliché del rap (la droga, il sesso, i soldi e il successo) dentro gli archetipi della letteratura, della poesia, del fumetto e del cinema di un preciso genere, rapportandoli a una vita ordinaria ipotetica o reale, sfruttando l'immaginario visivo e concettuale (del resto lui nasce come Writers, ma questa è un'altra storia) piuttosto che lo storytelling. E poi gioca. Gioca tanto con la musica, sembra non prendersi mai troppo sul serio pur facendo le cose bene, ed è forse questo che fa imbestialire e allo stesso tempo apprezzare. Dischi in cui l'assenza di costanza è una costante, dove spontaneità e riflessione, ruvidezza e morbidezza, sbagli musicali e testuali e scelte stilistiche geniali, profondità di pensiero e grettezza convivono e vanno a braccetto, possono tanto appassionare quanto far storcere il naso. Se si viaggia sulla sua stessa lunghezza d'onda però, non si può che rimanere colpiti e affascinati da tutto questo, altrimenti è meglio lasciar stare, cambiare artista, piuttosto che perdere tempo a insultare lui e chi lo ascolta, o a farsi cogliere in fallo dalle provocazioni.

Del resto, come lui stesso ci ricorda: non cercare verità dentro una canzone/al massimo ci trovi solo un'emozione/questo è solo rap, questo è solo rap/non stai salvando il mondo, questo è solo rap.

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