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Musica

C'è stato un "rave" in centro a Milano e non ce ne siamo accorti

O forse oramai è una parola che si usa solo per criminalizzare? Nel centro di Milano, intanto, ci si può divertire solo con le cuffiette.

Per iniziare questo articolo ho bisogno anzitutto di stabilire delle basi concrete: il significato del termine "rave party". Si tratta di una festa, legale o illegale, organizzata in modo tale da non tenersi durante il normale arco notturno di un serata ma di prolungarsi ininterrottamente oltre gli orari di afterhour, spesso e volentieri oltre le ventiquattro ore. La componente musicale è solitamente musica dance elettronica, ma non sono rare le eccezioni. Può capitare che gli intervenuti facciano uso di droghe per prolungare la loro resistenza e/o amplificare la propria esperienza sensoriale, ma neanche questo è determinante.

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Questo preambolo mi serve a mettere nero su bianco che nulla di tutto questo è successo sabato sera a Milano. Nulla. La darsena, nuovo fiore all'occhiello dell'amministrazione in quanto unico misero lascito urbano di questa nuova Milano exposclerotica non è diventata teatro di nessun festone prolungato a tema pisco-tribale. No, è successo solo che qualche cittadino ha deciso di riunirsi per fare casino in segno di protesta, e per una volta hanno deciso di evitare sia la modalità transumanza che azioni facilmente criminalizzabili, hanno fatto una cosa che a quanto pare dà uno scandalo intollerabile: si sono incontrati e hanno fatto una festa. Una festa capito? E sono CRIMINALI DEI CENTRI SOCIALI, quindi è sicuramente un RAVE. Ha senso? No, ovviamente.

Eppure i giornali di ieri hanno titolato così, Repubblica in particolare: RAVE, rave non autorizzato, assegnando definitivamente al termine un significato strumentale abbastanza vago ma legato all'area semantica dell' "inciviltà", che nella nuova Milano-vetrina sembra essere diventata una ferocissima emergenza sociale, più di qualsiasi preoccupazione umanitaria che riguardi la dignità degli essere viventi. Un principio abbastanza simile—secondo una logica che sinceramente fa quasi spavento—alle motivazioni di "lesione dell'immagine dello Stato" che c'erano dietro le accuse di terrorismo per i No TAV. La manifestazione di sabato ha infatti "sporcato" la darsena con tre (di numero) scritte sul muro di mattoni del camminatoio turistico, che agli occhi di qualcuno evidentemente inquinano più degli onnipresenti loghi di Vodafone.

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La festa era stata organizzata dal gruppo del "Grand Hotel Occupato / Comune di Via Settimo", collettivo di squatter che da sempre ci tiene a non fare allontanare gli spazi sociali che generano dal centro della città, e che era stato sgomberato pochi giorni prima con un'operazione che ha fatto scempio soprattutto dei loro strumenti musicali e degli impianti audio. Una roba davvero grottesca, viene quasi da immaginarsi lo sbirro che, come nella peggiore delle macchiette, si accanisce contro una tastiera per fare la sua parte nella lotta contro la musica da drogati comunisti. Ora, comunque, l'Hotel è di nuovo vuoto e i ragazzi sono per strada. Già che c'erano e fa caldo, quindi, hanno fatto una festa. Magari, semmai, possiamo discutere della scelta musicale. Ancora la trash? Dai, ragazzi, basta… Trovo comunque molto ironico che per una volta non ci siano manco le musiche rumorose ed estreme che danno fastidio e fanno rumore. Fosse stato il festival dell'EstaTHÉ, nessuno avrebbe notato la differenza. Questo vuol dire da una parte che i ragazzi devono impegnarsi di più, dall'altra che si è criminalizzato un ritrovo normalissimo di gente che si stava divertendo secondo codici, in fondo, del tutto raccomandabili.

Dicevo, comunque, che Repubblica è in prima posizione in questa battaglia, e i suoi lettori altrettanto. Guardate i commenti a questo post di Facebook: se ve ne sfugge l'intrinseco fascismo chiedetevi se avete visto un pari livello di livore ieri alla notizia delle violenze contro i rifugiati accampati sugli scogli al confine con la Francia. I muri, a quanto pare, soffrono, gli esseri umani no. Il primo maggio, del resto, lo ha insegnato a tutti: le scritte sui muri sono il segno di un disamore profondo per la città e i suoi abitanti, sono un attacco al loro stile di vita. Dovere dei buoni cittadini è quello di mobilitarsi—armato di spugnette—contro questo tipo di violenze, contro i criminali che le perpetrano con la sola e unica volontà di diffondere il caos. Lo stesso vale per i RAVE, un buon cittadino non va ai RAVE, ripudia i RAVE, ritrovi per animali drogati che non vogliono altro che sfasciarsi e sfasciare. A Milano, nel 2015, Il benessere e la salute sociale della comunità si misurano secondo il decoro urbano, merce di scambio sul mercato del prestigio internazionale, quello che serve per guadagnare consenso popolare, seguendo il miraggio di una crescita economica alla quale è lecito sacrificare più o meno tutto. Tra tutte queste deviazioni di senso, il ruolo della cultura finisce per essere meramente turistico o un semplice dato numerico con cui rimpinzare il curriculum internazionale della città.

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Questo, ovviamente, a patto che si tratti di un tipo di cultura che può essere spicciolamente e velocemente consumata secondo un paio di cliché. Dico questo perché, ovviamente, in questo sistema di pensiero fare festa non è cultura, la musica non è cultura e, ovviamente, nei luoghi di autorganizzazione e autogestione come i centri sociali non si fa cultura. Ovviamente no, i promotori della "Festa degli Strumenti Rotti" sarebbero un agente di pura malvagità criminale le cui argomentazioni non vanno ascoltate. I milanesi sembrano avere tutti deciso di fidarsi di questo istradamento e di trattare le voci critiche che si ascoltano in città tipo mormorii suadenti del diavolo. Ignoratele, non hanno valore, vi portano verso la perdizione e basta. Sono gente che fanno i rave. La cultura stanno nei musei.

In tutta sincerità, non ho nemmeno voglia di stare a riflettere su cosa, nella cultura rave degli ultimi dieci anni possa avere generato una perversione del termine, perché non è assolutamente questo il punto. Che i free party abbiano magari saputo davvero generare situazioni di disagio non ha la minima rilevanza: se pure non ne avessero da cavalcare e strumentalizzare in questo senso, media e istituzioni sarebbero comunque sempre andati in direzione di una simbolizzazione simile, è un'operazione diffusa globalmente e oramai assolutamente banale. Sono vent'anni che succede, di nuovo c'è solo questa semplificazione ulteriore del linguaggio, per cui non servono neanche più le caratteristiche essenziali neutre dell'oggetto "rave" per chiamarne in causa quelle che lo definiscono moralisticamente.

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Ora, per fare proprio l'avvocato del diavolo: è ovvio che si sia stato del casino sabato sera, e credo anche sia stato voluto. Lasciare un segno "brutto" sulla carrozzeria del centro, del resto, sarebbe stato l'unico modo di lasciare un segno. Ma un intento del genere, a me, pare del tutto giustificabile a fronte del modo in cui la città di Milano si mostra sempre più contraria ai luoghi di aggregazione, all' aperto o al chiuso che siano, e alle esperienze che non rientrino strettamente in una logica di consumo e/o di controllo. Succede infatti che un qualche tipo di festa, dalle parti della darsena viene non solo autorizzata ma addirittura caldeggiata. Il peggior tipo di festa possibile: la silent disco.

Le caratteristiche distopiche e dittatoriali delle cuffiette le ho già elencate anni fa in questo articolo. A Milano a occuparsene è principalmente la crew Intellighenzia Elettronica, che da anni ha accesso a moltissimi spazi pubblici di Milano e che ultimamente fa parte del progetto Social Music City, legato a doppio filo a Expo 2015. Praticamente l'angolino Techno della città-vetrina. Un'organizzazione che da anni si vanta di fare più che clubbing, di lavorare sulla costruzione di nuove socialità e che si trova invece a produrre il suo esatto contrario: una massa di zombie inerti a cui è negata la corporalità sociale della musica, ricacciati nell'isolamento in uno spazio pubblico (mentre il principio fondamentale del clubbing prima e del raving poi dovrebbe essere l'esatto opposto), di non si possono pensare nuovi modi di attraversamento, nei quali si può invece solo mettere in scena una specie di pantomima di quello che subiamo tutti i giorni, soli.

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Le fanno tutti i venerdì proprio lì in darsena, proprio dove sono apparse le barbare scritte dei barbari "raver". Lo strumento della cuffia permette di non infastidire il prossimo manifestando la propria presenza, la fruizione della festa diventa un fatto privato che non riguarda più nemmeno lo spazio se non le simbologie memetiche di cui è pieno: i loghi, tutto quanto accentri l'attenzione verso il consumo. Non è cospirazionismo ma semplicissima teoria del linguaggio: si annulla la presenza fisica del clubber nello spazio e lo si porta in un territorio di cui può leggere solo gli input più efficaci e riconoscibili. Che gli organizzatori della festa lo sappiano o meno, stanno dando il loro contributo alla lobotomizzazione del cittadino. Mi chiedo che ne pensino a Repubblica, se questi siano quelli che "amano" Milano o che "non la amano".

Ecco, allora forse tutto sommato quello di sabato è stato davvero un rave, nel senso politico che gli ha dato la generazione delle tribe: una proposta di uso differente degli spazi, inclusiva, priva di criteri formali di accesso e di gerarchie artistiche. È retorica antagonista? È utopismo? Sinceramente non credo proprio. Mi paiono molto più retorici i discorsi sulla "civiltà" e il rispetto, quelli sbirrofili e (diciamolo, cazzo) fascistoidi di Repubblica, e quelli che non prendono minimamente in considerazione le possibili motivazioni di un dissenso culturale che sicuramente non si basa sulla caciara aggratis, ma su un'urgenza di vivere. La maggior parte di chi vive nelle nostre città oggi, invece, questa sensazione l'ha completamente rovesciata su una visione ansiosa e paranoica del presente come del futuro. La città ci serve immacolata per garantirsi di rimanere in graduatoria insieme alle altre "capitali europee", per fare sì che l'abisso di debito che si è scavato per investire sulla sua immagine non la divori. Cancellate le scritte, andate a dormire. Non c'è niente da vedere né da sentire.

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