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Musica

Giro d'Italia: Bologna state of mind

Storie ed esperienze musicali da una città-spirale: da chi ha fatto la storia della controcultura a chi ha ancora le forze di resistere a un clima pessimo.

Quando ho iniziato ad avere una coscienza storica che andasse oltre il Sussidiario o a registrare date ed eventi chiave della mia città, ho chiesto ai miei genitori che senso avesse mettere una bomba alla stazione di Bologna. All'oscuro di motivazioni, strategie e pensieri ben più sottili, pensavo che Bologna non fosse una città grande, con ambasciate e istituzioni da colpire, e non capivo con quale interesse potesse entrare nel mirino di qualunque attentatore. Probabilmente non avevo idea del ruolo fondamentale di una stazione ferroviaria in un capoluogo di regione negli anni Ottanta, o della situazione in atrio e in sala d'attesa durante l'esodo degli universitari fuorisede verso casa a fine Luglio. Uno dei due mi rispose che Bologna non era una città grande, ma era un nodo, un crocevia, forse il più importante d'Italia. Questa cosa del nodo mi è sempre rimasta impressa, e negli anni si è realizzata in un turbine di persone, posti ed esperienze che ti restano legati addosso, se sei cresciuto a Bolo.

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"Città a misura d'uomo", dove in centro giri a piedi ovunque e a Marzo tiri già fuori la bici (sempre che tu l'abbia messa via), dove le stesse strade si aggrovigliano tra loro, i portici ti proteggono e tutto questo rosso d'inverno non ti fa sentire poi così freddo. Hai tutto a portata di mano, qualsiasi cosa tu voglia fare, concentrato in uno spazio relativamente piccolo. L'università più antica e la seconda Cineteca più importante in Europa, teatri, musica e spazi di condivisione a non finire, per non parlare del tuo slang (che non ti accorgi di avere finchè resti tra regaz come te). Bologna ti accompagna e ti guida fino alla fine delle superiori, quando arriva il momento di scegliere se restare o partire. Ma perché andarsene, se qui c'è tutto? Bologna non ti vuole mollare e farà di tutto per riaverti, negli anni a venire. Per molte persone che conosco e che se ne sono andate, tornare a Bolo, anche solo per un weekend, è un bisogno fisico prima di tutto. Lo è anche per me, che mi sono spostata per studio a 50 km di distanza.

Purtroppo però, perso un regaz se ne fanno tanti altri. Catturati se non almeno ispirati, oggi, da un'immaginario costruito tra Jack Frusciante, Andrea Pazienza e un concerto dei Clash nel 1980, ogni anno arrivano migliaia di studenti (quasi 85.000 iscrizioni nell' a.a. 2015/2016), attirati dal simulacro del funk-cazzeggio bolognese, ma anche da una vecchia Università prestigiosa che offre loro più corsi di laurea di quanto le strutture e gli spazi della città si possano effettivamente permettere. Se i grandissimi numeri per il Comune rappresentano una minaccia, per chi investe soldi negli eventi e nella nightlife gli studenti rappresentano una risorsa da sfruttare fino all'ultimo. Inseriti in un sistema universitario che li lascerà ad ammuffire per anni, spillandogli tasse su tasse e affitti in appartamenti ai limiti del vivibile, questi ragazzi spendono e spandono in attività ricreative di ogni sorta. Le masse di soldi che si muovono da una serata/club/associazione all'altra sono così ingenti che sono gli studenti stessi, con i loro portafogli aperti e i loro passaparola, a determinare il successo di un nuovo progetto. Insomma, sono loro che decidono, perché sono tanti e ingestibili.

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Foto di Michele Lapini.

Per la maggioranza, sono passivi. Sono generalmente guidati dall'alcool e dall'ingresso al prezzo più basso, a ballare, ad agevolare un rientro a casa in compagnia, ma soprattutto si dirigono verso la musica che conoscono e che non li smuove da dove sono. Ed ecco fiorire come piante infestanti una serie, mutevole negli anni, di eventi e locali che promuovono musica vecchia, dalla malsana perversione per le cosiddette "discoteche rock" ai party che rievocano i 50s, gli 80s, i 90s, serate a tema britannico, balcanico, funk-reggae, anarco-cumbia e altri ibridi "divertenti" che attirano le folle come mosche. Denominatore comune, oltre all'evidente retaggio nostalgico, è la mancanza di un substrato culturale, anche sottile, che permetta un'aggregazione di menti piuttosto che di corpi, la costruzione di esperienze condivise piuttosto che di un beneficio economico nelle tasche di promotori. Divertimento cieco, vuoto, fine a se stesso. Gli studenti fanno girare l'economia, ma anche i provvedimenti legislativi, gli appostamenti delle guardie, le scelte funzionali-urbanistiche e il mercato immobiliare, tra un cicchetto a un euro al bar dei cinesi e un "passala" in Piazza Verdi, ignari del loro numero, della loro stessa dimensione e appartenenza sociale.

Esistono tempi e luoghi nella storia di Bologna, tuttavia, nei quali gli studenti erano consci del loro potere, delle loro armi e delle enormi possibilità di creazione e gestione che la città sapeva offrire. Ho chiesto testimonianza di quegli anni ad Alarico Mantovani, cultore di musica a 360° (il suo programma radiofonico Pangea su Radio Città del Capo ve lo confermerà), arrivato a Bologna in qualità di studente universitario ma già fruitore di un sistema underground che ha visto la sua massima espressione nell' hic et nunc che mi ha raccontato, prendendo atto che ricostruire ma soprattutto sintetizzare in poche righe l'atmosfera, gli spazi e le persone che hanno mobilitato Bologna in quegli anni significa fare una selezione.

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Gorilla Biscuits live @Isola nel kantiere, 1991. foto di Stefano Bertelli

Alarico arriva a Bologna alla fine del 1994, da Verona, con un background noise e post-hardcore, grazie anche all'ottima programmazione musicale di Interzona, all'epoca situata nella storica sede della Stazione Frigorifera Specializzata N.10, nella quale aveva un ruolo chiave Giorgio Giunta, proprietario del negozio di dischi Noise Art. La scelta di spostarsi a Bologna è dettata anche dall'offerta musicale della città, allora documentata quasi esclusivamente attraverso le segnalazioni di concerti su riviste come Rumore e sulle varie fanzine, e tra '94 e '95 assiste ai primissimi concerti in città: New Bomb Turks al Covo e Girls Against Boys all'ex Bestial Market, la vecchia sede del Livello 57 in via dello Scalo, Fugazi a Castelmaggiore. Non erano certo le sue prime esperienze: negli anni precedenti aveva già visto all'opera band fondamentali come Sonic Youth, Nirvana, Melvins, No Means No. Insieme cerchiamo di tracciare una mappa, o meglio una psico-topografia, frutto di un percorso diluito e graduale della scoperta della città attraverso la musica, individuando dei cicli politico-culturali all'interno dei quali lo sviluppo (anche) musicale di Bologna può essere inserito.

"Il centro della città era un magma ribollente di luoghi abbastanza vicini tra loro e raggiungibili a piedi, e l'atmosfera che si viveva era molto differente da oggi. In queste strade c'era un viavai di persone che si muovevano da via Zamboni, dove c'era il 25 (sala studio che paragoneremmo al 36, si trovava dove oggi c'è La Scuderia) e Piazza Verdi, all'epoca vero cuore pulsante di Bologna, e passando da via Mascarella, dal bar/club Naked, (dove oggi c'è il bar/libreria Modo Infoshop) si arrivava in via Irnerio, dove c'era il TPO, altro luogo straordinario: era un teatro a pianta quadrata con gradoni discendenti. Anche lì ho visto concerti memorabili, Death In June e Bedhead in primis. Se ci muoviamo verso la stazione, percorriamo tutto il sottopassaggio e sbuchiamo su via Carracci. Poco più in là, in via Fioravanti, c'era il Link." Parlare del Link e del significato che ha avuto per la città, del simbolo che è divenuto oggi, equivale ad aprire un capitolo molto vasto che in questo frangente toglierebbe spazio a tutte le realtà che, insieme, hanno contribuito allo sviluppo e alla formazione della controcultura bolognese, delle quali invece vi vogliamo raccontare.

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Il vecchio Link di via Fioravanti, foto di Mauro Boris Borella

"Tra primi Novanta e primi Duemila la città ha avuto un ciclo culturale peculiare: in quel momento Bologna era una delle città più vivaci d'Europa dal punto di vista musicale e artistico. E' un periodo ben preciso che va dall'Isola nel Kantiere e passa per il Livello 57, il Teatro Polivalente Occupato, il Link e molti altri luoghi. Nel corso degli anni molte persone hanno dato un apporto determinante. Impossibile citare tutti ma i primi che mi vengono in mente sono Daniele Gasparinetti e Silvia Fanti (poi fondatori di Xing, da Netmage a Live Arts Week), Enrico Croci, che organizzava straordinari live al Link, Massimiliano Bonini e Daniele Rumori (alla guida del Covo), Valerio Tricoli e i concerti che organizzavamo a CasaLogic (house concerts con artisti internazionali come Taku Sugimoto, Dean Roberts, Thomas Lehn, Giuseppe Ielasi), Giovanni Gandolfi, il John Peel bolognese, e ovviamente il visionario Riccardo Balli, perfetto rappresentante e prototipo culturale di tutto ciò che significava la città nei Novanta. Il portato della cultura DIY originatasi dall'hardcore punk ha creato l'humus necessario perché tutto si sviluppasse. Bologna era crocevia di tante condizioni, frutto dell'amalgamarsi delle esperienze di chi veniva da fuori con chi già operava sul territorio".

"Nei primi Duemila si stava già perdendo un po' di incisività e lo spartiacque ad ampio raggio è stato Genova 2001. Il post G8 ha rappresentato la sconfitta dei movimenti, e ciò ha inciso profondamente anche sul panorama culturale bolognese negli anni successivi. Tuttavia il periodo Guazzaloca è stato uno strano ibrido nel quale si poteva ancora fare, la città era ancora molto vivace. La morte civile è arrivata con Cofferati, sindaco sceriffo che ha portato una serie di normative e rigidità. Ha spinto fuori, ai margini della citttà, tutto il fermento culturale di cui prima era imbevuto il centro storico. Dal 2004, quando il Link, emblema della Bologna anni Novanta, viene raso al suolo, iniziano gli anni peggiori. Durante e dopo Cofferati c'è stata una riorganizzazione, e possiamo evidenziare l'inizio di un nuovo ciclo che dura tuttora ma ha poco a che fare con quello precedente".

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"All'epoca mi rendevo conto dell'importanza di quello che stava accadendo, ma non del tutto. Le cose magnifiche che avvenivano erano frutto di una sensazione di creatività e grande libertà sotto tutti i punti di vista. Quando entravo al Link, al Livello 57, al TPO, era come se mi sentissi nelle T.A.Z., le zone temporaneamente autonome concepite da Hakim Bey. A posteriori mi rendo conto che le condizioni che si erano create in quegli anni sono irripetibili, sono figlie di un'epoca in cui le cose giravano davvero. L'atmosfera che si respirava era positiva e piena di brio, si viveva pienamente il presente ma al contempo si riusciva ad immaginare un futuro."

Non credo sia importante valutare cosa sia rimasto di quegli anni, ma in che modo le cose si stiano sviluppando oggi. Se allora il mondo universitario era una partecipazione entusiasta, gente che occupava posti e che organizzava serate ma al contempo supportava quelle degli altri, oggi esiste un'incomunicabilità radicata, una spaccatura profonda. Da un lato gli studenti walking dead che abbruttiscono la loro stessa curiosità e azzerano il livello cognitivo-culturale, annuendo come attendings inconsapevoli a qualunque serata, dall'altro le resistenze, che tentano a braccia di risollevare Bologna con uno spirito di condivisione artistica e comunione musicale, sempre avide di nuovi terreni sui quali proliferare. Stiamo parlando, ad esempio, di B.U.M. (Bologna Underground Movement), Urbanresistdance e il nuovo OZ (il vecchio Senza Filtro), Alivelab all'AtelierSì, Bologna Calibro 7 Pollici, Frigotecniche e i collettivi che si muovono dentro XM24.

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Le realtà sono ancora molte, gruppi e associazioni che ruotano attorno a punti e zone ben specifiche, le cui orbite cercano di svilupparsi per poter dare il via a un flusso, a un vortice fisico che possa risollevare la conoscenza e la dimensione musicale della città. Senza dubbio sono situazioni che hanno avuto la possibilità di generarsi sulla scia dei Novanta, raccogliendo quel poco di vigore espressivo che ne è rimasto e facendo tesoro di un breve presente in cui in città si respira ancora un'aria di possibilità. Tuttavia, le nuove costruzioni sociali che poggiano le basi unicamente sui retaggi del passato, illudendosi della loro vecchia sicurezza, sono le prime a fallire dopo qualche scossa di assestamento, progetti e format che sanno di stantio e durano poco meno di un anno. È proprio l'eccessivo attaccamento tipicamente bolognese alle eredità culturali del passato, minestre riscaldate per anni, ad aver assopito e appiattito le idee ma soprattutto le aspettative.

Se la mia generazione ha vissuto finora al posto del passeggero, guidata alla scoperta e all'ascolto da situazioni consolidate e pre-costituite, frutto delle esperienze rodate negli anni, con una libertà di scelta e di espressione personale che solo Bologna può dare, finalmente è arrivato il momento di rischiare. Il ricambio generazionale è ancora acerbo e tentennante, lento nella formazione come nella recezione di un feedback, ma in qualche modo è stato avviato. È un momento cruciale di rielaborazione di contenuti, formulazione di proposte, determinazione di un impatto forte sul suolo senza dimenticare le modalità peculiari con cui l'identità musicale di Bologna è stata costruita. Uno dei collettivi giovani che è riuscito ad agganciarsi meglio e con rapidità alla corda del passato è Bologna Hardcore, attiva non solo nell'ambito concertistico quanto nella destrutturazione di aspetti economici e sociali propri degli eventi universitari standardizzati, riuscendo allo stesso tempo a guardare oltre la staccionata, proponendo le attività ad un pubblico molto più allargato di quanto ci si possa aspettare. Ho chiesto a Tommy, uno dei regaz, di raccontarcene esigenze e ostacoli.

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"Bologna Hardcore nasce nel 2011, le ragazze e i ragazzi che hanno lo hanno formato sono individui della realtà bolognese che tra un raduno punk in Montagnola, concerti in spazi autogestiti, assemblee varie si sono aggregati, allargando il gruppo col tempo e trovando sempre più affini. I motivi che ci hanno spinto a unirci erano tanti: la voglia di fare, di mettersi in gioco in prima persona, voglia di conflittualità contro la repressione. Man mano alle serate abbiamo conosciuto sempre più gente, e questo ci ha permesso di avere nuovi contatti con persone di qualsiasi estrazione musicale, conoscere altre realtà di Bologna e non solo.Abbiamo creato così nuove situazioni che vanno al di fuori delle logiche di profitto fine a se stesso, attraverso iniziative portatrici di tematiche come la solidarietà, l'antifascismo, l'anticapitalismo, l'antisessismo, e tanti altri."

Un momento dello sgombero di Atlantide, foto di Michele Lapini

"Fin dall'inizio sapevamo che per poter portare avanti il nostro progetto, con le nostre necessità, non avremmo potuto fare affidamento a spazi forniti dal Comune come Estragon e i vari circoli Arci, perché questi locali hanno un solo scopo: creare business e spacciarlo per cultura (cultura che comunque non ci appartiene). Quindi grazie alla mentalità DIY ci siamo rimboccati le maniche. Le nostre iniziative e i concerti sono stati fatti inizialmente in luoghi di fortuna come parchi e centri sociali per anziani, e con il tempo, allargando il giro all'interno delle università grazie ad occupazioni temporanee, siamo arrivati anche all'interno di spazi autogestiti come il circolo Iqbal Masih, XM24, Atlantide, Aula C di Scienze Politiche. Negli anni ci siamo impegnati, e proseguiremo ancora per creare nuove iniziative e concerti, per dare continuità a quei percorsi iniziati da quelli prima di noi, con l'intento di contrastare l'apatia sottoculturale ed esistenziale che ha generato il comune di Bologna con sgomberi e norme antidegrado, cercando di dare origine a punti di unione per i tanti che non sono alla ricerca unicamente di un divertimento ludico, ma anche di una comunione di idee, creatività e informazioni."

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Per una città architettonicamente ricca come questa, gli eventi itineranti, alla ricerca di luoghi di fortuna, possono trasformarsi in una caccia al tesoro di posti vuoti e abbandonati che aspettano solo una possibilità di rinascita e riscatto, aggiungendo ogni volta un nuovo tassello nel bel connubio tra l'esperienza urbana e quella musicale. La mancanza di spazi, un'illusione protratta dal Comune stesso, in cui far confluire le idee è una carta che Bologna ha saputo spesso rigiocare a suo vantaggio, ospitando nuovi progetti o allestendo una programmazione estremamente varia dentro situazioni già avviate. E' il caso di Mint Sound, neonato incrocio tra un negozio di dischi con un'offerta selezionatissima, un home-party e un club che già propone live con una buona fetta di artisti e producer, il tutto all'interno di un magnifico fabbricato industriale in Cirenaica. Gianluca Ridolfi, ideatore del progetto assieme a Edoardo Cutrino, ci racconta il come e il perché di uno spazio polivalente.

"Mint Sound nasce dalla volontà mia e di Edoardo di dar vita ad uno spazio fisico in città specializzato in una selezione vinilica di solo ultime uscite di musica da club, a prezzi accessibili, senza dover ricorrere necessariamente all'acquisto online. Nessun capitale a disposizione, la soluzione è stata una campagna di crowfunding. La campagna ha avuto buon esito e dopo lavori di restauro DIY grazie all'aiuto di diversi soci competenti, a metà febbraio 2016 abbiamo inaugurato lo spazio. È stata una vera fortuna trovare l'appoggio dall'Associazione Culturale Studio SoundLab. È uno di quei gruppi di persone che con passione e lavoro restano fedeli alla natura dell'associazione: facilitare e promuovere la produzione musicale indipendente, tramite sale prove, studio di registrazione e etichetta discografica world music e jazz. Il Mint Sound si lega pienamente a questo scopo, incentrandosi su generi musicali contemporanei e favorendo la contaminazione musicale."

"Abbiamo scelto Bologna principalmente perché qui c'è interesse, seguito e molte persone appassionate come noi. Da qualche anno ci sono diverse realtà musicali che a mio avviso hanno creato una bella scena tramite proposte di qualità. Non perché prima non ci fosse, ma la vera forza di questa "generazione" è l'obiettivo di promuovere in primis qualità artistica, rivolgendosi quasi esclusivamente a chi la cerca. Del tipo: fai una cosa e impegnati a farla bene. La collaborazione nata genuinamente con Habitat è un esempio. Mint Sound, con le adeguate e necessarie tempistiche, punta a dare il giusto valore a questa scena dal punto di vista della produzione musicale locale. Un obiettivo ambizioso, ma ci crediamo, gli strumenti ci sono. Nel weekend siamo chiusi, nell'infrasettimanale puoi passare ad ascoltare le ultime uscite, portare i tuoi dischi e sfruttare il magnifico impianto in quadrifonia, ordinare, informarti sul servizio di stampa, registrarti un mix, leggerti un fumetto dalla simpatica libreria del SoundLab… tutto tramite il contributo associativo di 3 euro l'anno. Ci sono anche due sale prove e uno studio di registrazione, gestiti direttamente dall'associazione. Ci teniamo sempre a sottolineare che se non fosse stato per il contributo di più di sessanta persone, il Mint Sound non avrebbe avuto luce. Un vinyl shop che nasce dal finanziamento volontario degli interessati… se non a Bologna, dove?"

Bologna Hardcore e Mint Sound sono due delle tante realtà under 30 musicalmente molto distanti che tuttavia dimostrano la volontà e la speranza di una rigenerazione culturale basata sulla comunione e lontana dalle logiche di profitto, ma soprattutto consapevoli del fatto che a Bologna siano ancora tangibili i presupposti per potersi buttare e rischiare senza piegarsi di fronte alle tendenze momentanee generate dalle masse. In questo senso, tuttavia, l'apertura a trecentosessanta gradi è una chiave fondamentale per sbloccare il meccanismo che occlude la partecipazione curiosa degli studenti da un lato e ingessa una campagna di following obbligatoria dall'altro, seguendo un sentimento di appartenenza musicale radicale e unidirezionale così obsoleto ma purtroppo così ben radicato nel tessuto bolognese. Quello che a volte manca è proprio una visione ad ampio raggio di ogni singola realtà, una condivisione a ventaglio che smonti le tristi, fossili dinamiche da paese e da parrocchia che bloccano fisicamente la città da troppo tempo.

Se l'unico luogo in cui non si percepiscono distanze tra mondi, squadre e generi musicali, dove si respira ancora quella libertà di cui sopra, è Atlantide, zona franca al confine tra Mordor e la Contea nella visione di Bologna di Blu, la chiusura della stessa, in un continuum post-Cofferati, ha messo il punto alla fine di un ciclo nella nostra spirale. In quello nuovo abbiamo di fronte un bel numero di punti interrogativi, ma altrettante variabili da giocarci. Non abbiamo ancora scelto la sconfitta.

Giulia fa parte della redazione di The New Noise. È nata e cresciuta a Bologna, quartiere Mazzini.