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Musica

Ho passato il pomeriggio con Yung Lean

Visti da vicino i Sad Boys non sembrano tanto tristi.

Ho incontrato il giovane rapper Yung Lean e il resto dei Sad Boys allo store Y-3 di Milano, il giorno dopo il loro show al Plastic Palace—uno dei 25 (!) concerti programmati per il White Marble Tour. Quando li ho visti tutti contenti perché uno di loro si era appena comprato un paio di calzoni di Yohji Yamamoto, ho pensato che il nome non li rispecchiasse per davvero e che alla loro età non sapevo nemmeno cosa fosse la moda, non mi sarei mai sognato di emozionarmi per un paio di pantaloni, forse robe tipo passare il test della patente dopo il sesto tentativo mi gasavano di più.

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In quel momento mi sono reso conto che sono 12 anni più vecchio di Yung Lean, anche se devo dire che non si percepiva granché questo gap generazionale.

Mi sono quindi fatto un viaggio a ritroso nel mondo di 10 anni fa, quando non c'erano smartphone—i più avanti avevano un Motorola—l'Internet non era ancora del tutto 2.0, Facebook non esisteva, non esisteva Hypebeast e la parola "Bitch" era considerata ancora un'offesa.

Nel 2004 rapper come Lil B, Keef Chief o Yung Thug sarebbero stati considerati dei bambocci, ora stanno a ruota in un sacco di Yung iPod.

I duri e puri dell'old-school potranno continuare a criticare il rap dei Sad Boys, ma non centrano il punto della questione. Il mondo è un posto diverso ora, la tecnologia è diversa e il progresso sociologico è iperaccelerato. Sia come sia, Yung Lean e la sua crew sono dei puri, né la loro musica né la loro immagine è stata studiata o pianificata, credono in quello che fanno e si divertono.

Quindi io vi rispetto, Sad Boys, perché voi siete il 2014.

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