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Musica

Ho cercato un negozio di dischi a Cuba e mi sono ritrovato a un rituale di santeria

Mentre andavo a caccia di vinile per Santiago sono finito a fare un'esperienza incredibile in un'isola in cui i dischi sono quasi estinti.

Lo scorso maggio sono stato per la prima volta a Cuba, per il festival MANANA di Santiago. Sapevo che l'isola aveva una ricchissima storia musicale, lunga secoli e sono stato testimone dell'incontro tra questa e la musica elettronica contemporanea, nonostante l'accesso a internet sia ancora una novità assoluta per la maggior parte dei cubani. Ciononostante, di Cuba mi ha sorpreso soprattutto una cosa: non ho trovato neanche un negozio di dischi in vinile. Voglio dire, conoscevo Seriosha's Record Shop di Havana, in cui il DJ Gilles Peterson è andato a fare digging per la televisione nel 2010, sapevo che anni fa esisteva una label di stato chiamata Egrem e che la maggior parte del vinile reperibile sull'isola era roba vecchia e usurata probeniente da quella label.

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Ma di Santiago ho imparato su internet che dal punto di vista musicale è una specie di città fantasma, nonostante sia la seconda più grande città dell'isola. La gente che ho conosciuto in città mi ha spiegato che il vero problema è la carenza di giradischi: ce ne sono pochissimi rimasti sull'isola e il costo necessario a ripararli sorpassa le possibilità economiche della maggior parte dei cubani. Ad esempio, il tipo che mi ospitava su airBnB, mi ha spiegato che la maggior parte dei local, quando vogliono ascoltare musica o ascoltano ancora i CD o comprano delle chiavette USB piene di nuove uscite.

Eppure mi rifiutavo di tornare a casa senza un ricordino nero e a forma di disco, qualcosa che mi riportasse ai suoni incredibili che avevo scoperto durante il mio viaggio. Di fatto mi trovavo nella culla di un sacco di musiche diverse, attorniato da macchine d'antiquariato e incredibili palazzi d'epoca. Di sicuro da qualche parte c'erano vagonate di dischi abbandonati. Perciò, un paio di giorni prima del festival ho iniziato ad andare in giro a chiedere a tutti, in un orrendo spagnolo, "discos?", "vinilos?", "tienda de musica?" senza cavare un ragno dal buco finché non mi sono imbattuto in un paio di musicisti di rumba—Bargaro e Yessel—che chiacchieravano davanti a una birra in una sala concerti durante la festa del primo maggio.

Io e il mio compagno di viaggio Brian, che per fortuna parla uno spagnolo decente, ci siamo subito gasati alla notizia che non solo quei ragazzi sapevano dove trovare dei dischi, ma che ci avrebbero personalmente accompagnati. Solo che prima avremmo dovuto accompagnarli a una cerimonia di Santeria in un complesso di case popolari. Dopo avergli detto che sono un giornalista, mi hanno anche chiesto di documentare il raduno con delle foto. Pensavo che magari volessero usarlo per pubblicizzare il loro culto, ma poi ho capito che, vome molti cubani, volevano solo insegnare un po' della cultura ai turisti curiosi. Mi sono chiesto se fosse saggio andare a casa di due estranei a vedere un complesso rituale religioso di cui non sapevo nulla, solo per raccattare un po' di dischi graffiati. Mi sono chiesto cosa ne avrebbe pensato mia madre, poi ho accettato. Anche Brian si è offerto di seguirmi.

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Due giorni dopo ci siamo beccati con Bargaro e Yessel in Plaza De Cespedes, nel centro della città. Ci sapettavano con un piccolo sacchetto di dischi, forse come testimonianza della loro buona fede prima di metterci in cammino. Siamo saliti su un paio di moto-taxi e, mentre eravamo diretti verso casa di Yessel, ci siamo fermati a un mercato pieno di polli, galli e misteriose medicine a base di erbe, per scattare qualche foto. Oltre i tetti della città, iniziavamo a intravedere le montagne da cui Castro e i suoi compagni sono scesi durante la rivoluzione molti decenni fa.

Ci trovavamo in uno degli storici quartieri degli artisti di Santiago e infatti coi nostri nuovi amici vivevano un sacco di percussionisti e ballerine di rumba, ma Yessel ci viveva da appena un mese, e casa sua era piuttosto spoglia. Era un monolocale con il tetto di metallo e il bagno piccolissimo. Dentro c'erano solo un letto, un boiler elettrico per l'acqua, un paio di sedie e un vecchio stereo. Sui muri aveva appeso parecchi begli ornamenti religiosi e un sacco di foto del suo matrimonio e di sua moglie, che a quanto pare fa l'infermiera in Venezuela. Dopo averci fatti entrare è uscito un attimo, per poi tornare con un grosso mucchio di vinile che, a suo dire, apparteneva a una donna del quartiere. Mentre scrutavo quel pacco di polverosi dischi salsa e affini, usciti per Egrem e per la defunta sublabel Areito, ne sbucarono fuori un paio di grossi scarafaggi. Dopo essermi ripreso dallo shock ho fatto un po' di domande a Yessel e Bargaro sulla loro vita a Cuba, e sul perché fosse così difficile trovare dischi in città.

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Yessel.

Bargaro and Yessel avevano imparato il mestiere del musicista fin da giovanissimi, a Santiago, dove sono nati tutti e tre i principali tipi di rumba: Guaguanco, Columbia e Yambu. Come quasi tutti i musicisti che ho conosciuto a Santiago, si guadagnavano da vivere con lavori procurati dal governo: nel loro caso tramite lezioni di batteria e percussioni nelle sale da concerto, e con saltuarie lezioni di rumba e salsa per turisti. Ogni tanto si occupavano anche di procurare contatti per l'acquisto di dischi agli stranieri che li volevano. Stando a loro, si tratta di un business abbastanza popolare tra le strade di Santiago, e forse anche all'origine della scarsità di vinile.

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"La gente di qui sa dove prendere i dischi e come venderli" ci ha detto Bargaro. "Quando eravamo bambini gli adulti ci facevano sentire la musica dai loro giradischi, ma ora non ce ne sono più: quasi tutti gli anziani li hanno buttati o si sono semplicemente rotti. Oggi è difficile procurarsene: quasi nessuno se li può permettere." Ci ha anche spiegato che molti li avevano venduti a delle biblioteche pubbliche, che a loro volta li hanno rivenduti agli stranieri.

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(da sx a dx) Yessel, Brian, Bargaro

"I dischi qui sono in via di estinzione," ha aggiunto Yessel. "Noi non sappiamo come procurarcene di nuovi, e i turisti continuano a comprare i nostri. Non sono difficilei da vendere, è un buon modo di fare soldi, se ci riesci." Dopo avere chiacchierato un po' ho comprato circa quaranta dischi a un peso l'uno, sentendomi un po' in colpa per avere contribuito all'estinzione di cui mi aveva appena parlato Yessel. Ma quando Bargaro è andato a pagare la donna che ce li aveva venduti, e mi ha detto che aveva fatto i salti di gioia alla vista dei soldi (per capirci: venti pesos, circa diciotto euro, sono lo stipendio mensile medio a Cuba), mi sono sentito più a posto con me stesso.

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Dopo casa di Yessel, siamo montati su altre due moto. Tra un tiro e l'altro dalla sua sigaretta senza filtro, Bargaro ha dato l'indirizzo della nostra prossima destinazione all'orecchio del guidatore, che ci ha velocemente condotti al raduno di Santeria, con me che mi aggrappavo alle barre metaliche del sedile per non rimanerci secco. Ci siamo presto trovati in un apparentemente infinito oceano di cubi di cemento. Mentre ci intrufolavamo nel caseggiato popolare—uno sprawl di blocchi numerati coi muri chiari e qualche slogan politico sprayato qua e là, i ragazzi ci hanno portati in un mercato a comprare un paio di birre fredde. Qui ci hanno speigato che le sezioni più nuove del complesso erano state costruite dal governo venezuelano, che è da sempre un alleato economico e politico di Cuba. C'erano bambini che giocavano a calcio sul cemento e in mezzo qualche piccola aiuola terrosa, mentre qualche vecchio si rilassava all'ombra.

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Al che siamo entrati in uno dei palazzi non numerati, siamo saliti sù per quattro rampe di scale e siamo entrati in un altro monolocale, dove siamo stati salutati da molta gente, tra cui parecchi amici di Yessel e Bargaro e un sacerdote. Una donna anziana dai capelli argentati, chiaramente la matrona della casa, ha salutato me e Brian con un bacio. Si trovavano tutti lì per una cerimonia chiamata "Cajon de Muertos", una pratica tradizionale incentrata sulla venerazione di un igbodou (altare), decorato con drappi bianchi, rossi e blu.

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Il Santero, o sacerdote, vestito casual, ha officiato la cerimonia mentre i partecipanti si inchinavano a turno. Una volta arrivato il mio, il sacerdote mi ha detto di spalmaarmi un po' di acqua di cocco sulla fronte (una famosa benedizione), e poi suonare una campanella dopo avere versato un paio di pesos in un canestro, come donazione per la prossima cerimonia. Davanti a me c'era una torta glassata gigante, un paio di bottiglie di rum chiuse e dei biscotti: tutte offerte alla divinità di cui non ho capito il nome. C'era anche una donna sui vent'anni, vestita di bianco da capo a piedi, che mi hanno detto stare attraversando un rituale di Asiento, "ascesa al trono". Da quanto ho capito, si tratta di una specie di battesimo per adulti.

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Nel corso della cerimonia, tre percussionisti ornati a festa hanno battuto continuamente sulle loro conga mentre un ragazzo intonava con gioia dei canti a botta-e-risposta in Lucumi, un dialetto Yoruba di Haiti. Qualcuno riprendeva le danze con gli smartphone, e tutti bevevano birra fredda mentre ballavano, cantavano, saltavano, battevano le mani. Il tutto è durato diverse ore, e qualcuno lo avrebbe potuto scambiare per una festicciola pomeridiana.

Ci è stata solo una pausa, quando qualcuno ha trovato una SIM per terra, dato che a Cuba la telefonia mobile è scarsissima, e queste cose valgono oro. Dopodiché tutti si sono messi a tavola per un banchetto a base di riso, verdure e spaghetti freddi con carne di maiale e salsa bianca. Bargaro e Yessell ci hanno anche presentato molti dei loro amici, molti dei quali musicisti di rumba a loro volta. Anche se eravamo estranei americani, ci siamo davvero sentiti i benvenuti.

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Il sole iniziava a tramontare, per cui io e Brian abbiamo deciso che era ora di tornare a casa. Abbiamo salutato Bargaro e Yessel, che avremmo visto di nuovo suonare il primio giorno del MANANA, ae abbiamo preso altri due moto-taxi vero l'AirBnb. Mentre sfrecciavo sul retro di quella motocicletta scassata, con quel mucchio di vecchi dischi stipato nel mio zaino, ho rilfettuto sulle esperienze della giornata. Tutti i collezionisti ti diranno che il vinile è un formato che richiede lavoro duro—dallo spendersi tre quarti di stipendio al trascinare una pesante borsa di dischi per mezza città—e le nostre scorribande cubane non sono state da meno. Tuttavia, come qualsiasi digger navigato sa, il bello sta tutto nella caccia, e nelle storie e personalità che incontri lungo la via. Recentemente, mentre facevo il DJ a Brooklyn ho finalmente suonato uno di quei tesori cubani, un album salsa di Los Van Van. Quando un tipo si è avvicinato per chiedermi cosa fosse, be'… Non sono riuscito a non gongolare.

Con mille grazie a Brian Merlano per le sue traduzioni.