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Musica

Il magico mondo degli zampognari

Vi siete mai chiesti cosa sia una zampogna? E chi siano gli zampognari che allietano (o straziano) le nostre orecchie in questo periodo? Ne abbiamo intervistato uno.

È arrivato Quel periodo dell’anno. Quel periodo dell’anno in cui sei costretto ad entrare nel girone del Cenone—un buco spaziotemporale obbligatorio in cui le domande sono la regola e non l’eccezione, e la risposta a quelle domande (sugli esami, il lavoro, la tipa, il passato, il futuro e la morte) il peggiore supplizio a cui sottostare per pervenire all’unico scopo della serata: spacchettare la bustarella.

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Ma c’è anche qualcosa di bello, divertente e caratteristico in Quel periodo dell’anno, e sono gli zampognari.

Proprio questa mattina, mentre cercavo del coraggio per spiumonarmi via le coperte e riportare il corpo a una temperatura quantomeno vivibile, ho sentito il suono, QUEL SUONO, che sin da piccolo rendeva Quel periodo dell’anno un po’ meno Quel e un po’ più Questo. Così, temerario e impavido, coraggioso e prode, mi sono affacciato dal balcone per ascoltare meglio quel suono e vedere quei buffi tizi portatori di momentanea felicità fatta di pelle di capra.

Quando poi ho scorto tanta felicità nello sguardo dei bambini sotto casa, mi sono chiesto perché gli zampognari siano fonte di tanta esuberanza e il mio approccio critico alle luminarie natalizie, fonte di dispendio energetico eccessivo, sono state scalzate da quesiti metafisici sulla zampogna. Ho deciso che mi sarei informato sull’architettura dello strumento e sui suoi suonatori, sulla loro cultura e le loro usanze. Quello degli Zampognari è un fenomeno tutto italiano, prevalentemente meridionale, dispensatore di felicità nei bambini e rotture di coglioni per chi stravacca nel letto post-sbronza del sabato sera durante il periodo di Natale (vedi Stendhal che si lamentava di questi "grossolani contadini coperti di pelli di montone").

Eh, ssiconno li gusti. Filumena
se fa vvení cqueli gruggnacci amari
de li scechi: Mariuccia e Mmadalena
chiameno sempre li carciofolari; e a mmé mme pare che nun zii novena
si nun zento sonà li piferari:
co cquel’annata de cantasilena
che sserve, bbenemio!, sò ttroppi cari. Quann’è er giorno de Santa Caterina
che li risento, io ciarinasco ar monno:
me pare a mmé dde diventà rreggina. E cquelli che de notte nu li vonno?
Poveri sscemi! Io poi, ’na stiratina,
e mme li godo tra vviggijj’e ssonno.

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[G. G. Belli]

Non è d'accordo con le lamentele il Belli, che risponde attraverso le parole della contadina nel suo sonetto "La Novena di Natale" a chi si lamentava degli orari sempre più barbini a cui gli zampognari attaccavano a suonare.

In una cultura in cui il settore primario è un mondo ormai sconosciuto, lontano anni luce dal web-living, la riscoperta di un fenomeno primario come quello della tradizione pastorizia assume tutte le sembianze di un ritorno all’umanità, al soffio caldo dell’otre che esprime per quei dieci minuti di passaggio della tradizione, un azzeramento dal mondo circostante sovraccarico di connessioni, per un ritorno ad un mondo che ci appare lontano anni luce, ma che fino a neanche mezzo secolo fa era più vivo che mai: il mondo pastorale.

Ed è dal mondo pastorale che la tradizione folk ha tratto le sue origini, partendo dal suono della foglia, come quella di zucca o quella d’edera prettamente lucana, al più semplice fischiettio a due dita del pastore per la transumanza del gregge, fino ad arrivare ai canti corali sardi a tenores, nati come riproduzione dei suoni naturali, come il su bassu che imita il muggito del bue o la sa contra che riproduce il belato della pecora, oppure l’intonazione solista della sa boche che sta a simboleggiare folcloristicamente colui che è riuscito a dominare la natura e i suoi suoni, il pastore stesso.

Insomma, sebbene ci sia da aprire una parentesi incredibilmente grande su quanto la pastorizia e i particolarismi delle nostre regioni abbiano tanto influenzato le origini della musica popolare, e studiare il fenomeno da un punto di vista etnoantropologico, ad oggi la zampogna rimane a mio avviso la tradizione più affascinante tra tutte.

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Navigando in rete, tuttavia, non ho trovato spiegazioni sufficienti che ripagassero lo sforzo immane dell’aver affrontato il gelo del balcone mattutino: così, per documentare meglio la ricerca, ho contattato uno zampognaro vero—Giovanni Borraro di zampognari.com—e ora sono pronto a parlarvi delle gesta eroiche dei veri ed unici aiutanti di babbo natale: gli zampognari, oh zampognari! (emoticon cuore).

Noisey: Ciao Giovanni, spiegami chi sono gli zampognari.
GB: La tradizione vuole che nel periodo dall’otto dicembre al sei gennaio, per strada si possano incontrare personaggi che indossano pellicce consunte, grandi mantelli, enormi ciocie ai piedi e paffuti cappelli a pan di zucchero. Tendenzialmente in due, massimo tre, suonano rispettivamente la zampogna e la ciaramella. Se sono in tre, il terzo provvede a raccogliere offerte dalle persone e accompagnare il suono con canti tipici. Secondo tradizione, funzione degli zampognari è quella di proclamare l’avvento natalizio prima del tempo, aprendo le danze a quello che è un periodo di festa.

E, più nello specifico, che cos'è una zampogna?
La zampogna è un aerofono (di cui l’otre in genere viene ricavato dalla pelle di capra o quella di pecora) composto da 4-5 canne. Due di esse che fanno da bordone mentre le altre sono strumentali, collegato alla bocca con un insufflatore e terminante con le fontanelle che emettono il suono: mentre poi la canna di destra è il pilastro della melodia, quella sinistra viene utilizzata per l’accompagnamento con dei fori dedicati alle varie tonalità. La ciaramella invece non ha sacche né chiavi: fa parte della famiglia degli oboi con ancia doppia e imboccatura e accompagna il suono della zampogna.

Che differenza c'è con la cornamusa?
Mentre la cornamusa si appoggia su un discorso prevalentemente melodico, di accompagnamento del suono, la zampogna, lavorando su due canne diverse, sfrutta maggiormente l’armonia rispetto alla melodia.

Come si diventa zampognari?
Innanzitutto è molto importante la tradizione, la cultura di appartenenza (prevalentemente pastorizia) e la familiarità con le vecchie generazioni, per questo genere di mestiere. Perché, seppur un secondo lavoro, è un lavoro a cui vanno dedicate passione e costanza sia nella costruzione artigianale dello strumento che nel perseverare l’impegno di portare avanti una tradizione secolare con orgoglio.

Trovi che ultimamente ci sia più urgenza nel voler recuperare le tradizioni?
Negli ultimi anni stanno aprendo scuole e corsi di zampogna, di cui uno perfino a Lugano. Il dato di fatto è che si sta riscoprendo un enorme interesse per la musica popolare, e questo è ciò che conta per chi dedica tanto tempo come me a consacrare certe tradizioni tutte Italiane.

Riccardo ama le zampogne, potete seguirlo su questa pagina.