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Musica

Lee Gamble vuole smantellare i vostri ricordi

"Abbiamo tutto e continuiamo ad essere annoiati, allo stesso tempo sovraccarichi ed ebbri."

Poche case discografiche si sono affermate a livelli così alti come piattaforma interdisciplinaria quanto la PAN Records di Bill Kouligas. Conosciuta per produzioni avantgarde e per collaborazioni sperimentali, l’etichetta ha lottato in maniera significativa per testare le limitazioni prevenute della musica elettronica con uscite concettuali e artisti innovativi; il sempre viscerale Helm, l’ingegnere del suono Rashad Becker, il più ballabile Heatsick, e il produttore techno giapponese NHK’Koyxen per fare un paio di nomi.

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Come parte delle celebrazioni per il loro quinto compleanno, che sono partite con un party da 7000 persone al V&A Lates con Boiler Room, PAN ha presentato anche uno showcase speciale per l’Harmonic Series al Southbank Centre di Londra. Curato dal fondatore della label Bill Kouligas, lo showcase ha incluso un nuovo lavoro del vincitore del Turner Prize, Mark Leckey (conosciuto per il cult ‘Fiorucci Made Me Hardcore’) e del leggendario artista del suono Florian Hecker. L’artista della label Lee Gamble ha presentato una serie di “decostruzioni da club” con una performance audiovisiva creato insieme all’artista Dave Gaskarth, mentre Rene Hell e Jar Moff hanno esposto composizioni astratte e lavori di collage con Lars Holdhus, e Mat Dryhurst, direttamente da San Francisco.

Durante questa chiacchierata, Lee Gamble si confronta con Dave Gaskarth sull’arte audiovisiva, il fine ultimo del loro lavoro, e la cultura rave inglese.

Un fermo immagine dallo show collaborativo di Lee Gamble e Dave Gaskarth.

THUMP: Qual è il tuo processo lavorativo quando si tratta di mettere in scena progetti per eventi come quello di Southbank?

Lee Gamble: È sempre difficile trovare abbastanza tempo per lavorare a queste cose, ma generalmente la nostra priorità è di evitare determinate modalità di presentazione. Abbiamo parlato più di quello che non volevamo fare, che di quello che volevamo.

Dave Gaskarth: La prima cultura rave inglese era imbevuta di surrealismo fin dagli inizi, molto più esplicitamente di quanto lo sia ora. Ridisegnare i flyers di Fantazia durante la lezione di arte del 1991 ascoltando Sweet Exorcist portava direttamente al lato accessibile del Surrealismo; Dalì, Ernst. Anche l’immaginario della pop art era una componente importante. Gli elfi dei Rice Crispies ribattezzati “Smack, crack, pot” e stampati sulle t-shirt da rave, erano un detournement che i Situazionisti avrebbero apprezzato. Aggiungi il fatto che la UK hardcore degli inizi era sostanzialmente un frammentato collage interculturale, il che riporta a Burroughs e Brion Gysin.

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Gli show delle classifiche del sabato mattina nei primi anni Novanta avevano anch’essi dei visual sensazionali; cose come il video di Jarvis Cocker per “On” di Aphex Twin. I lavori dei primi artisti digitalir come Lillian Schwartz sarebbero statii benissimo in un qualsiasi club anni Novanta, ma anche in quelli di oggi. La mostra vuole esplorare queste analogie, senza però fare una chiara distinzione.

Lee Gamble: Aggiungerei solo che l’idea di esplorare implicitamente una qualsiasi forma dei temi ‘rave’ o ‘jungle’ non è mai stata intenzionale. Mi interessa più iniziare un completo smantellamento dei ricordi, delle idee e delle ‘cose’ di un certo periodo temporale usando il prisma di una cultura musicale, invece di un genere musicale in senso stretto, o cose simili. Diversion 1994-1996 è stato infatti un punto di partenza per questo. Volevo espandere (e non ripetere) ciò che avevo esplorato rudimentalmente in quell'album. Puoi analizzare un’uscita in vinile solo fino a un certo punto. Gran parte dei visual e dell’audio che io suggerirei ha più a che fare con gli ‘stati’ che con le specificità; L’espansione e la compressione del tempo percepita nella tua testa, ad esempio.

Come si allineano al tuo essere artista gli imperativi più concettuali che stanno dietro a PAN in quanto quanto sfogo audiovisivo?

Lee Gamble: Io e Gas (David Gaskarth) siamo amici dai tempi della scuola e Gas è un designer, per cui c’è stata un sacco di impollinazione incrociata tra gli aspetti sonori e visivi delle nostre idee, per molto tempo. Certo, mi piace anche lavorare fianco a fianco con Bill (Kouligas) per gli artwork, il design e il layout dei miei dischi.

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Un fermo immagine dalla collaborazione di Lee Gamble e Dave Gaskarth.

Ci sono molte affinità tra gli artisti della label, o vi sentite ben distinti a livello di identità artistiche?

Lee Gamble: Credo che siamo ben differenziati. Alcune di queste persone sono miei amici, e adoro molta della musica pubblicata dall’etichetta, ma penso che ciò che la rende così potente e interessante è che gli artisti e il proprio lavoro sono ben distinti l’uno dall’altro.

Credete che ci siano delle difficoltà nell’idea e/o nell'atto di portare la musica verso una cultura più alta?

Lee Gamble: La musica e le altre arti hanno sempre cozzato e si sono sempre incrociate tra loro. Mi interessa sfumare i confini tra queste. Personalmente, mi trovo a volte nella posizione imbarazzante per cui le mie uscite si basano su dei concetti ma voglio anche che possano funzionare come dischi da ascoltare. Voglio offrire qualcosa di più che musica puramente funzionale, e possibilmente senza sembrare presuntuoso e senza perdermi in paroloni, o menandomela per promuovere qualcosa che altrimenti non sarebbe interessante. L’idea di dover giustificare quello che fai nella musica elettronica in “un’ottica artistica”, o far suonare la tua musica a una “vera orchestra” e cose simili, sono tutte stronzate. Mi è sempre interessata, però, l’idea di fare della musica che abbia in sé l’opzione di trascendere sé stessa se è quello che l’ascoltatore desidera. I testi di Dutch Tvashar Plumes sono un esempio perfetto. Puoi estrapolarne altro se ti prendi del tempo per esplorare quel determinato aspetto. Ma poi, "Plos 97’s", una traccia di quell’album, viene suonata nei locali da DJ come Ron Morelli e finisce nel mix Fabriclive di Pangaea, il che è una gran cosa.

La mera funzionalità mi annoia, ad essere onesti. Da piccolo rompevo le calcolatrici. Forse il mezzo di comunicazione tramite cui la musica è pubblicata può interferire, facendo sì che la gente la tratti come qualcos’altro rispetto ad un semplice oggetto mercificato. È qualcosa di disponibile alla vendita all’ingrosso, mentre l’arte è vista come elitaria, costosa, unica e inaccessibile.

Avete qualche aspettativa o obiettivo rispetto alla reazione che un pubblico nuovo o non familiare avrà del vostro lavoro?

Lee Gamble: È bello quando la gente non ha idea di cosa aspettarsi, è più naturale così. È fantastico, mi piace molto quand’è così. Spero anche che ci sia una componente intrigante. Con uno show come questo, vorrei spingere un po’ la gente verso quei meandri del cervello apparentemente inutili, che non sono ancora stati programmati per farti comprare cose, andare al lavoro e rendere tutto noioso. Il mondo dei noumeni, in un certo senso. Mi piace l’idea di impiantare qualcosa nella testa di qualcuno. La loro interpretazione personale di quel suggerimento è il punto cruciale del lavoro, a quel punto. Illustrare tutto alla gente non ha alcuna utilità, mi piace la ricerca, mi piacciono i processi di cambiamento e le cose decostruite. Mi piace la roba dai contorni vaghi. La vita di tutti i giorni può diventare così fottutamente monotona per certa gente. Dai un’occhiata a una strada del centro di sabato sera: abbiamo tutto e continuiamo ad essere annoiati, allo stesso tempo sovraccarichi ed ebbri. È tutta una piatta forma di decadenza monocromatica, servita in una squallida borsa di tela del supermercato.