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Musica

Benvenuti a Pula, UK

Un report dall'edizione 2013 del Dimensions fest, occasione annuale in cui la croazia si trasforma in una colonia dell'impero britannico

Quando vado all’estero trovo sempre molte cose che mi riconciliano con quello che faccio finta di odiare, cioè l’Italia. Solitamente queste cose sono riassumibili nell’espressione generica: la gente. Il Dimensions è un festival alla seconda edizione e si svolge in quella stupenda terra che il cemento ha iniziato a sputtanare che è la Croazia. Passi Trieste e non ti sembra di stare sul Gra con millemila auto, è tutto pressochè deserto. La mia visione etnocentrica e terzomondista della Croazia viene avvalorata dal fatto che non siano ancora nell’euro e che la benzina costi 10kune/L. Cioè: un cazzo. La cosa riempie di gioia me e i miei compagni, il sole e Radio Rjyeka con simpatiche canzoni balcaniche che parlano di degrado come lo farebbero i Modena City Ramblers fanno il resto. Andiamo a piazzare il culo nella nostra minuscola mansarda a 5km dal festival, non prima di esserci fatti accompagnare dal proprietario. Razza slava vera, ma con la parabola e un inglese che levati, che sfreccia con casco tra una cosa che la Croazia vanta persino più dell’Italia: le rotonde. La fotta è abbastanza grande e trova conferma in questo tizio che wow, se si diverte lui, figuriamoci io.

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Yo mate, pimp my wheelchair [ph. Dan Medhurst]

Ogni volta che mi è capitato di andare a festival seri (due: SanRemo e la Sagre dai Pirus di Pavia di Udine) mi eccitavo all’idea di avere un pass. L’operazione ritiro va a buon fine e io mi gaso vedendomi con un braccialetto NON PLASTIFICATO VIP/ARTIST + pass stampa classico. E allora mi rendo conto e rifletto sul fatto che ci siano due tipi di persone: quelli che lo piazzano legato al collo, come fossero vacche al pascolo col campanaccio, e quelli di sinistra che lo legano ai pantaloni con improbabili nodi. L’effetto fuorisede è assicurato. La paura gigante di perderlo mi fa aderire alla prima categoria sportiva per eccellenza: i poser.

Tipica circolazione sanguigna rallentata da festival

Appena dentro (controlli serrati aka no bottiglie di vodka solo il primo giorno, poi sciallanza generalizzata aka nascondere le bottiglie negli asciugamani) mi accorgo che qui il concetto di esclusività da pass non esiste. Ce l’hanno almeno un quinto dei presenti, addirittura i volontari. Indignato a sufficienza, sarei dovuto tornarmene nella mia amata fricolandia con il mio esclusivo taxi pullman. Scendo a compromessi coi miei principi e rimango lì.

Il festival mi accoglie così.

Minchia

Punto primo, su cui ritorneremo in svariate occasioni: la fauna. Solo inglesi/scozzesi/trogloditi. Fortunatamente Pola non è Dublino. E quindi capita che non ci siano allegri branchi di quella categoria dello spirito quali sono i napoletani. Non c’è forma umana vivente che non habli un inglese strettissimo, al punto da aver messo in crisi ogni mia residua speranza che sì, l’inglese a scuola serva a qualcosa. In questo senso sono sempre rimasto affascinato dagli stati sottomessi da altri stati, siano questi Honk Kong, l’India, San Marino o chissà che altro. Purtroppo non mi ero mai trovato a visitarne, però ora posso dire d’averlo visto coi miei occhi: Il Dimensions è una specie di enclave britannica, un luogo dove puoi essere una femmina inglese senza vergognartene, dove puoi sembrare la cosa più vicina a un protagonista a caso di Geordie Shore andandone (giustamente) fiero. Qui non solo non esiste lingua che non sia l’inglese, probabilmente per ragioni che riassumo nella locuzione: boh, ma non c’è proprio anima che non provenga tipo da Swansea o Birmingham o regioni di livello tipo l’Essex. E insomma orde di ragazze con ombretto e fard oltre i livelli nazionali di guardia. E, moda a me sconosciuta, glitter ovunque.

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[ph.Marc Sethi]

[ph.Benjamin Egle]

“Ho sbagliato festival?” [ph.Zoe Lower]

[ph. Marc Sethi]

“No no, tranquilla” [ph. Marc Sethi]

Il tutto è inserito all’interno di un forte abbandonato con una organizzazione logistica della madonna. I promoter inglesi sono gente furba e, fiutando l’affare del secolo, da qualche anno a sta parte, organizzano lì festival di livello (l’Outlook ad esempio, che è la versione Bob Marley del Dimensions). Perché in Croazia? Spiaggia figa, bel tempo, costi di gestione inferiori, permessi—eufemismo—agili. Ci sono otto differenti stage (tutti con impianti ellamadonna tipo il Void) che, a parte il The Clearing, sono tutti abbastanza vicini. Ci si fa belle camminate, fate conto d’essere in quelle zone della Calabria dove per strade si intende un luogo in cui calpesti sassi e sei in pendenze da acido lattico immediato. Insomma mi sento un po’ Fiammetta Cicogna,con la differenza che l’esperienza hardcore vera (tirate di musica di 8-9 ore) è ovviamente la mia. Sentieri sterrati immersi tra piante mediterranee e lucertole. Un paradiso (a meno che non abbiate il culo peso) che, incredibilmente, rimane inalterato dal buon grado di civiltà dei coloni albionici in materia di rifiuti.

Sono italiano, ascolto Theo Parrish alle transenne e non mi muovo

Provando a riflettere sul cosa spinga un britannico a spararsi questo überfestival, sono arrivato persino a darmi una risposta. Mi spiego: abitassi a Londra, Boddika, Funkineven, Mount Kimbie me li vedo ogni settimana o giù di lì. Cosa li spinge a venire qua? La risposta è: non è gente che frequenta abitualmente club, oppure sì ma senza troppa cognizione di causa sul chi andare a sentire. Il megadeal spiaggia + musica elettronica, insomma, li attira come zanzare in Brianza, e non badano troppo a cosa c’è, ma all’esperienza complessiva. Ovviamente ci sono diversi appassionati di genere, e li riconosci a colpo d’occhio in fatto di vestiario/pass, però nel complesso non mi sembra una platea così diversa da quella che potresti incontrare a un concerto random Qui però sta il merito principale di una maniera di vivere la musica che io trovo ingenua però, proprio per questo, sincera. Niente di costruito, niente di artefatto. Vanno lì per divertirsi, e non fanno niente per nasconderlo. I miei obiettivi al Dimensions sono le fighe esattamente gli stessi, ma un tipo di divertimento legato principalmente all’ascolto. In questo sconto una deficit importante: quello della sociopatia. Il che significa ballare per i cazzi miei, parlare zero durante le esibizioni e tutto quel campionario di sfiga che ben potrete intuire.

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Psyschaccole a buffo

Fortunatamente viene in mio soccorso la nebbia. Quella sì, almeno lei, rimane. Che poi è anche decisamente più drammatica ed il linea con le coordinate geografiche (al netto di un atmosfera meridionale). Per nebbia ahimè si intende fenomeno atmosferico di merda quella roba che esce da macchinari il cui funzionamento non mi spigherò mai: gli sparafumo. Comunque meglio di niente.

[ph. Benjamin Egle]

Capita però che debba sorbirmi pure un po’ di musica quando il sole è ancora alto. Quale migliore occasione quindi per osservare la fauna inglese in pascolo in spiaggia. Punto primo: non sanno nemmeno cosa sia una spiaggia, come ci si muova. Quindi mega ammucchiata, gente che cammina in tranquillità sui tappetini.

Dapprima mi incazzo e vorrei quasi far notar loro che almeno toglietevi le ciabattine prima di camminarmi sopra. Poi guardo bene lo scenario e OK…

Amore, su, siediti che è ora di spulciarsi [ph. Sirus Olpo]

Insomma questi inglesi si muovono in spiaggia come fossero in una delle loro città manifatturiere a caso e fanno amicizia solo tra loro. Nel frattempo, maledicendo il cellulare scarico, noto un canotto col simbolo sardo delle teste di moro. Rarissimi sono gli italiani, figurarsi i profughi del primo maggio, in compenso la moda trainante è quella del vestiario con stampe atzeche e simili.

Il primo artista che decidiamo consapevolmente ad ascoltare è Ron Morelli. L’esalto è praticamente immediato dato che per una buona mezzora spara holdenismi krauti, desert-space come le prime cose dei Ducktails o le solite cose di Sun Araw. E qui si palesa quello che può essere agilmente decretato idolo del festival. Fa parte di una razza in via di estinzione, e chiedersi cosa lo motivi è totalmente inutile. C’è e basta. Ecco a voi l’audiofilo:

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“Non vedo l’ora di convertirlo in .flac”

Le prime due sere prevedono un programma già abbastanza totale. Oltre a divinità Surgeon che però, cristosanto spiegatemi perché, in dj set lo sento sempre un po’ bloccato in una apatia che nemmeno la cassa dritta di Ben Klock, si segnala un enorme Pearson Sound a spiegarti il come, il cosa e il quando dell’esistenza tutta. Blawan che tira pere a 140bpm, Machinedrum impazzito a 160. Vince il premio set-merda-tornatene-a-casa mr. Jimmy Edgar, che piazza roba velocissima, ma non abbastanza da ripigliare mia nonna che mi chiama per comunicarmi che la Palombelli, che ha sostituito di Rita Dalla Chiesa a Forum, è “un po’ spenta”. Io benedico la nonna che mi fa spendere preziosi denari che potrei impiegare per postare foto brutte su Instagram. Livello alto anche per il set dei Dopplereffekt che non si sa cosa facciano e credo non lo sappiano neanche loro. Mi perdo i Karenn (Blawan+Pariah) e credo me ne pentirò per tutta la vita. Mi vedo Model500 e, al netto della storia davanti agli occhi, riconosco d’aver buttato nel cesso un’ora.

Last night a Jerusalem Falafel saved my life

Come da foto ecco la nostra salvezza di tutte e quattro le serate: Il cibo merda. Con puntualità svizzera ci prendiamo ogni sera una pausa, l che è sinonimo di svacco più birra a 30token (si paga in gettoni, unità di misura che mi sarei aspettato al Tomorrowland, non qua) e divertirsi al contrario vedendo che la gente purtroppo né si droga né beve eccessivamente. Pochi in emmedì, poche vomitate, molto pollo violenza-piccante. La fame chimica del mio sodale raggiunge livelli di tensione da terza internazionale socialista e mi unisco nel lauto pasto.

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Louis CK a spinnare dubboni on the beach

Dato che nel generalizzare e fare gli snob spesso ci si prende giusto, ecco un luogo comune verissimo proprio in quanto luogo comune: i ragazzi sono tutti depilati. Quando dico tutti, intendo tutti. Sarà che è razza nordica coi peli biondi, non lo so. Pare anche che invece di avere una vita vadano in palestra allietati dai mansueti consigli di Jill Cooper. Indossano canotte scollatissime, pantaloncini ben sopra il ginocchio e ovviamente, da ubriachi, ti si avvicinano seguendo, per dirti nonsisacosa, il seguente cursus:

1. Un gimme five, che non si nega mai a nessuno

2. frase a caso (di solito richiesta di filtrini/cartine/sigarette) seguita da una mia vergognosa risposta “Could you repeat please?”

3. “ahsaugdusigdsagfaga”

4. “No, sorry” (salva il culo, sempre) / “Yo mate” e ti salutano sorridenti

Ragazzotti piazzati bene (quasi mai in sovrappeso) che al minimo accenno di cassa alzano le mani, urlano, saltano. Insomma si divertono.

Arrivano Moodyman e la cugina che tutti vorremmo avere che offrono gin a nastro. Fortunatamente non servono dialoghi di sorta per afferrare un bicchiere.

Nella terza sera, scremando le indie-ate del cazzo, ci sono quattro-cinque cose da vedere. Tikiman & Scion che rifanno la roba Rhythm & Sound che è un ciao al mondo, coi tech-dubboni in loop e il nero a cantare qualcosa, [Pariah](http:// www.residentadvisor.net/dj/pariah) che fuga ogni dubbio sul suo essere un fuoriclasse, Tony Allen a ricordarmi che anche la fusion può essere decente (ottimo il set pure il giorno prima di Lonnie Liston Smith) e, decisamente la cosa più figa del festival, Omar S. Che cazzo, lavora per la Ford, è un operaio e lo vedi. Immobile, tira giù bordate deep-techno, caccia gli acidoni e, a dispetto della sboroneria che lo contraddistingue, scatena l’inferno come nemmeno su Dresda nel djset più assurdo che forse abbia mai visto (per intensità pari solo a Morphosis, tanto per intenderci). Impossibile non essere colti da una necessità di muoversi in maniera scomposta, col beat pulsante e l’acid a scaraventarti altrove. Avete presente? Ecco.

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Omar S [ph. Marc Sethi]

Fossimo in un mondo serio, dopo un set come quello di Omar S, avrebbero dovuto chiudere il festival. Io sono in lacrime, in virtù anche del fatto che mi viene chiesto se nel mio vino voglio del ghiaccio. Vado a dormire.

Ultimo giorno e Blackest Ever Black. Sono ben conscio che la mia vita potrebbe agilmente concludersi con questa cosa qua. Il dj set è pazzesco, Kiran Sande riesce nell’impresa di farmi ascoltare un pezzo dell’ultima ciofeca di Lustmord senza sbadigliare. Venti presenti circa e io con la maglia di Vatican Shadow a corredare un concentrato di sfiga allucinante. Poi partono i Demdike Stare che oramai ci sono sotto con la jungle. Infatti arriva la gente che, per non saper né leggere né scrivere, giustamente balla.

Decido stoicamente di proseguire e mi butto sul piatto forte: 3Chairs. Capita che, finalmente, arrivi un po’ di sano dramma padano: la pioggia. Purtroppo le capre inglesi non comprendono il mio reale stato di eccitazione. Per loro è una fuckin normalità andarsene in giro con la testa che puzza di muffa, ma il fatto che io stessi ballando sotto il diluvio universale, rifiutando categoricamente ogni tipo di protezione (fosse questa il cappuccio o i dreadlock del tizio di Boiler Room davanti a me) mi ha fatto sentire un vero hippie. Mi sembrava la cosa più naturale del mondo, ora me ne vergogno profondamente ed esorcizzo la mia hybris scrivendone e dandomi al pubblico ludibrio. Fortunatamente Theo Parrish (esaltante il set di 3Chairs aka lui, Moodyman, Pittmann e Whilhite) riporta le lancette all’ora peggiore. Quella in cui il festival finisce. Basta pass braccialetti, token, finito l’odore di polvere e sterpaglie e mi sento tipo in analisi con me stesso. Ora A4 e casello di Latisana. Momento di scrivere queste parole stupidissime.

Tutte le foto sono dell'autore, tranne dove indicato