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Musica

Come il declino di MTV ha compromesso le band italiane

L'epoca d'oro di MTV coincideva con il boom dell'indie-rock in Italia. Ora che non c'è più, la scena è morta o non è mai stata così viva?

Un po' di tempo fa stavo in vena comica e mi misi a scrivere della semantica dei testi dei Subsonica, articolo che mi valse l'odio della enorme fanbase della band torinese, ma mi valse anche, qualche tempo dopo, l'avvio di un dialogo costante con il loro chitarrista, Max, con cui di tanto in tanto mi confronto su temi che non riguardano fortunatamente la semantica dei suoi testi. Ieri Max segnalava un suo articolo, pubblicato su La Stampa, in cui parla di come—ai tempi d'oro di MTV—parecchie band appartenenti al circuito indipendente si siano trovate in una condizione particolarmente favorevole per l'inserimento in un circuito mediatico e di pubblico che ha permesso a loro, come ai Verdena, agli Afterhours, ai Bluvertigo, ai Marlene Kuntz e altri, di saltare fuori dalla nicchia del proprio paesino e di diventare una macro-nicchia, i giganti dell'indie italiano, nel periodo che va dalla fine anni Novanta ai primi Duemila.

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Lasciando da parte tutto il carico nocivo e limitante che una Tv accentratrice e chiaramente filo-estera come MTV potesse portare in Italia, è chiaro che nei primi anni della sua espansione—e più o meno fino a quando, alla fine degli anni Duemila, è stato deciso un nuovo corso degli eventi per il canale—c'è stato del buono in MTV. Ad esempio, anche individui scettici e non certo filo-televisione commerciale come il mio collega Alessandri, riconoscono il valore di trasmissioni come la Chillout Zone, una carrellata senza soluzione di continuità composta da video after-Party Zone che hanno inculcato nei nostri cervelli una serie di sonorità che in Italia non esistevano, roba Trip-Hop, 2-Step, breakbeat o Jungle. Per un'audience a cui le figate internazionali arrivavano praticamente solo sotto al mulino (pur fondamentale) di Red Ronnie, l'arrivo di MTV segnò anche l'esatto istante in cui le nostre band si resero conto che era ora di spingere l'acceleratore, era ora di fare qualcosa di più che suonare cover dei Blur o dei Depeche Mode: era il momento di darci sotto con l'indie.

I videoclip da noi erano arrivati molto prima di Mtv, ma quel canale si impose con grande popolarità, dimostrandosi in grado di incuriosire anche chi non seguiva con attenzione la musica, non comprava riviste, non collezionava cd. Il cosiddetto grande pubblico. Nelle città e nelle province più sperdute. E si creò un'improvvisa falla nel sistema. C'era un contatto, c'era lo spazio. Servivano musica e musicisti in grado di non sfigurare nella competizione con il Pop internazionale. Pop che in quegli anni voleva anche dire"Beastie boys","Nirvana","Blur", "Chemical Brothers", Red Hot… Nè il carrozzone della musica leggera, né i grossi nomi della canzone d'autore erano pronti. Ogni tentativo di adeguarsi al formato clip risultava forzato quando non grottesco. Ed ecco noi: una generazione nutrita con suoni e attitudini provenienti da mondi d'oltre confine che in quel momento presentavano il conto del pesante jet lag culturale. Quel sipario si aprì.

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Così Max Casacci spiega il caso fortunato che ha permesso anche all'Italia di avere i suoi grossi nomi del non-pop, un novero di musicisti che si trovarono al posto giusto al momento giusto. Certo, non si può parlare di caso quando si tratta di band che comunque avevano già alle loro spalle le loro belle gavettone, ma nemmeno si può prescindere dal processo di globalizzazione per cui l'indie rock era diventato il primo genere di nicchia deterritorializzato e senza confini tangibili—un genere di cui davvero tutti potevano appropriarsi.

Anche il resto dell'estetica del canale, ad esempio le grafiche, i temi trattati, persino gli show extra-musicali (vedi Daria, Beavis and Butthead, The Head…) erano assolutamente in linea con la creazione di un nuovo bacino d'utenza, che era quello dei giovani leggermente anticonformisti a cui interessava la musica. Soprattutto all'inizio, MTV era questo, un canale alternativo, ma semplicemente perché era una novità assoluta in tutti i suoi contenuti.

Col tempo, già dall'inizio degli anni Duemila, è stata sempre più evidente una differenziazione anche interna dei contenuti di MTV, in cui le grosse hit venivano messe in contenitori (e in fasce orarie) diversi rispetto alla musica e ai contenuti ritenuti "alternativi": MTV si era espansa a tal punto da non essere più lei stessa una nicchia, ma da contenere altre piccole nicchie. Ovviamente gli alternativi si beccavano gli orari da sfigati, ma era sicuramente una condizione che andava bene a entrambe le parti. Agli alternativi, alla fine, piaceva essere considerati sfigati, altrimenti non avrebbero avuto modo di distinguersi dall'incombente minaccia del mainstream.

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Non mi sarei mai sognata di trovarmi d'accordo con un'intervista rilasciata da Massimo Coppola al Fatto Quotidiano, due nomi che già da soli riescono a procurarmi reflussi gastroesofagei, figuriamoci accoppiati. In quest'intervista, Coppola racconta di quanto fosse bello avere libertà assoluta d'espressione e di come la nascita di Brand:New, il programma che ha condotto dal 2000 al 2003, dedicato alle nuove tendenze della musica internazionale, andasse "a colmare un vuoto di entertainment". Quel vuoto oserei dire che non è mai più stato necessario colmarlo, almeno non in televisione, dato che dalla nascita di Brand:New, ovvero dalla nicchizzazione delle nicchie in poi, l'obiettivo di MTV ha iniziato a spostarsi verso la conquista dei grandi numeri, delle grandi masse, e probabilmente un programma che coprisse una fascia oraria ancora interessante non poteva più reggersi con le proprie gambe. Ne è prova il fatto che, sull'onda dell'entusiasmo o delle logiche di mercato, il format Brand:New venne trasformato da programma a intero canale televisivo, come a dire al pubblico alternativo di MTV "ecco, bambini, andate a giocare da quella parte, lasciate stare i grandi". Il canale durò anche per un periodo abbastanza significativo, ovvero dal 2003 al 2011, gli anni d'oro del post-alternative. Poi, a seguito della crisi che investì il gruppo MTV nel 2011, si dovette sostituire Brand:New con un classico MTV Rocks che è un po' il Virgin Radio dei canali tematici.

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Indipendentemente dall'esistenza o meno di uno spazio, anche se confinato ai margini estremi della società televisiva, per un canale musicale "alternativo", o anche solo per un canale musicale, è chiaro che—soprattutto dal 2011 in poi, ma già a partire dalla metà degli anni 2000—non esistesse più una direzione artistica che avesse la volontà di parlare di cultura musicale: si era decretato lo scisma tra un trattamento sensato dei contenuti e un contenitore acritico di video musicali, fratello piccolo di una rete che oramai trasmette soltanto format extramusicali più o meno inutili.

Oltretutto, quelli che un tempo erano i mega-concerti dell'MTV Day, una sorta di Primo Maggio della musica vera in Italia, con tanto di Anti-MTV Day a seguito, avevano quantomeno la decenza di raccogliere migliaia di persone davanti a un palco su cui suonavano gruppi realmente forti e consistenti di una scena musicale alternativa italiana, talmente forte da potersi guadagnare un'alternativa all'alternativa (l'anti, appunto).

Odio autocitarmi (no, non è vero), ma ho quasi sempre ragione, e quando non ho ragione, sono pronta ad ammetterlo, che persona meravigliosa sono. Non molto tempo fa scrivevo che oggi non esiste una via di mezzo tra talent show e la discografia "indipendente" condannata ad essere di nicchia, e davo tutta la colpa al panorama indie italiano, divenuto troppo autoreferenziale e, soprattutto, autoindulgente. Forse però parte della colpa di questa sacca di vuoto è da attribuirsi alla scomparsa, progressiva ma inesorabile, di un mezzo potente come un canale televisivo che portasse al grande pubblico band e realtà che, senza questo megafono mediatico, hanno subìto una sorta di trattamento voodoo tipo quello delle Tsantsas—le teste che, private del cranio, si rattrappiscono così le puoi usare come portachiavi.

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Mancando una cornice mediatica di questo genere, e soprattutto le figure intermediarie dei VJ (che, a loro modo, rappresentavano il ponte tra pubblico e cultura musicale, il segnale che a un qualsiasi ventenne senza particolari doti o conoscenze potesse interessare parlare di musica), è scomparso anche un certo interesse a trattare di musica, quindi si è perso quel terreno in cui crescevano band senza una particolare spinta dall'alto. Guarda caso, le stesse band che ora sono rimaste grosse e inarrivabili, o almeno molto più conosciute rispetto a una qualsiasi band indie-rock nata nell'ultimo decennio.

Il ruolo di MTV Italia, d'altronde, non è mai stato quello di selezionare buona musica, né di creare un dibattito intellettualmente denso, piuttosto quello di creare nel suo pubblico l'impressione che ci fosse qualcosa di cui parlare, che la musica fosse un discorso per tutti, che fosse doveroso interessarsi a determinate band, perché quelle band erano la scena musicale italiana. Con lo slittamento dell'interesse verso il puro intrattenimento privo di mediazioni, è venuto a mancare anche quest'unico merito di MTV, e i ragazzini orfani del proprio acquario telemusicale preferito hanno dovuto ripiegare su altre fonti di intrattenimento.

La conseguenza di questa rivoluzione senza rivoluzione è che le uniche fonti da cui, in Italia, si può attingere universalmente alla musica sono YouTube e i talent show, è chiaro quindi che i musicisti che continuerò a chiamare indie anche se non ha senso per tanti motivi continuare ad usare questo appellativo, i musicisti senza major diciamo, sono costretti a trovare una via per la diffusione capillare della propria musica che passi dal populismo dei testi intellettuali/stracciafiga Vascobrondiani, dalla parodia politicizzata dei vari Stati Sociali, o dal manierismo urlato del Teatro degli Orrori. E così da una decina d'anni abbiamo un orfanotrofio di musicisti che ricorrono a metodi che Internet chiamerebbe di clickbaiting per evitare di passare totalmente inosservati, operazioni commerciali che sfruttano l'unica arma rimasta all'indie-rock—la nostalgia—tipo le compilation omaggio agli 883, o, da ultimo, il sacrificio massimo: tapparsi il naso e partecipare a un talent.

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E non solo i musicisti, ma anche la stampa di settore risente del fatto di non avere più sulla propria testa l'ombra di quel grosso dirigibile, e si trova anch'essa a doversi confrontare con gli unici output televisivi della musica in Italia, ossia i Talent Show.

E qui veniamo a un punto che ci riguarda più da vicino: questo impoverimento del supporto mediatico alle band indipendenti ha come conseguenza secondaria il fatto che nemmeno più la stampa musicale ha grossi argomenti a cui appigliarsi—banalmente, un'intervista a Cristiano Godano su queste pagine, o anche sulle pagine più altisonanti di Rolling Stone, avrebbe molto meno peso rispetto all'intervista che gli fece il collega Coppola nel suo Brand:New. Ogni produzione musicale che non abbia un impianto di diffusione da major è quindi condannata in un certo senso a rimbalzare su blog o siti che hanno, nel migliore dei casi, il peso di un post virale su Internet. Un peso effimero, che non cambierà la vita a nessuno in tema di vendite. Le riviste o i siti musicali italiani non hanno neanche lontanamente la portata che aveva un canale televisivo in chiaro, posizionato su uno dei tasti principali del telecomando. Consapevole del raggio limitatissimo d'azione, chi si occupa di musica nei migliori dei casi diventa autoreferenziale, ripetitivo, sensazionalistico o comunque poco incisivo, nel peggiore tiene un blog sul Fatto Quotidiano.

Mtv non amava la diversità, proponeva sempre gli stessi noiosi video.
Mtv mi è sempre sembrato poco, troppo poco rispetto a quello che si sarebbe potuto vedere, poco rispetto al bisogno di conoscenza e quindi di crescita di un paese arretrato e sganciato dai circuiti internazionali della musica quale è l'Italia.
Anche vent'anni fa.
In forma di impoverimento i risultati di quella pochezza si vedono ancora bene vent'anni dopo, anche se già allora erano palesi.

Così scrive il musicista Teho Teardo, ricordando quando la sua band dell'epoca, i Meathead, si ritrovò un po' per caso a suonare all'MTV Day inaugurale del 1997. E in effetti, se mettiamo via le considerazioni sulle grandi masse e ci concentriamo sulla varietà faunistica delle produzioni musicali, oggi è un buon momento per essere musicisti in Italia, ed è un ottimo momento per chi desidera resettare il modo in cui si parla di musica e la selezione di artisti di cui un medium disinserito da giri giusti o accordi economici con uffici stampa e major si può occupare. A vederla così, una volta scardinata la struttura piramidale della produzione e diffusione della musica, si ottiene la libertà assoluta di ripensare il quadro generale in un'ottica molto più democratica e pluralistica. "Il pensiero moderno nasce dal fallimento della rappresentazione, come dalla perdita delle identità e dalla scoperta di tutte le forze che agiscono sotto la rappresentazione dell'identico", scriveva Deleuze in Differenza e Ripetizione. E in un certo senso, ora che le grandi ideologie, anche in campo musicale, hanno fatto il loro tempo, è il momento di agire, anche in maniera totalmente scoordinata e casuale, all'interno di questa nuova, fantastica, falla del sistema.

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