Le 7 operazioni delle Forze Armate italiane di cui ignoravi l’esistenza

Stando a un documento UE riservato condiviso da VICE Alps, l’Unione Europea sarebbe intenzionata a risolvere la questione libica con l’uso della forza.

In caso di intervento militare in Libia—come già riportato su VICE News Italia dall’analista dello European Council on Foreign Relations di Londra, Mattia Toaldo—l’impegno di Roma in termini militari sarebbe quasi certo.

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Attualmente l’Esercito Italiano impegna circa 4.500 militari dislocati su 28 operazioni internazionali in giro per il mondo, dall’Afghanistan alla Palestina, dai Balcani al Libano. Solo un anno fa, il governo ha autorizzato una spesa di oltre 500 milioni di euro per il rinnovo di diverse operazioni militari internazionali.

L’Italia è il dodicesimo paese al mondo per spese militari: la spesa quotidiana media ammonterebbe a circa 50 milioni al giorno—secondo i calcoli del ministero della Difesa, che fissava a 18,2 miliardi di euro il budget del 2014.

Mentre le voci su un possibile intervento in Libia si intensificano, nel mondo i militari italiani sono impegnati in 26 missioni diverse—di alcune di queste non si parla mai, o molto raramente.

Ecco quali sono.

Antartide

Foto tratta dal sito del ministero della Difesa

L’Italia è presente in Antartide dal 1985, anno in cui fu lanciato un “Programma Nazionale di Ricerca in Antartide” (PNRA). Gli studi sono incentrati su temi come il cambiamento climatico, l’adattamento dell’uomo ad ambienti esterni e l’osservazione dell’ecosistema oceanico e della tettonica globale.

Sul continente, la spedizione italiana può contare su due basi: una in condivisione con la Francia—la “Concordia,” che ha ospitato per sei mesi Letizia Valentino, la prima donna militare ad aver partecipato ad una missione antartica—e la “Mario Zucchelli,” tutta italiana.

Le operazioni del contingente italiano in Antartide si sono concluse proprio in questi giorni: impiegavano 118 militari dell’Esercito, 121 operatori della Marina Militare, 78 ufficiali dell’Aeronautica e un Carabiniere, per un totale di 318 unità dal 1985 ad oggi.

Sul posto, l’operazione dei militari italiani si occupava soprattutto di previsioni meteorologiche, missioni in alta quota, e operazioni navali per agevolare il lavoro di rifornimento della base.

Somalia

Foto tratta dal sito del ministero della Difesa

La missione in Somalia, denominata “European Union Training Mission to contribute to the training of Somali National Security Forces” (EUTM Somalia), è stata lanciata dal Consiglio Europeo nel 2010 a causa dell’instabile situazione dell’area e del Corno d’Africa, ed era stata pensata per contribuire all’addestramento di forze di sicurezza e di istruttori somali.

L’operazione è stata inizialmente schierata in Uganda e Kenya ed è stata rinnovata per tre volte, per un arco di tempo che arriverà almeno fino al dicembre 2016—quando l’impegno europeo, teoricamente, dovrebbe terminare. Dal 15 febbraio 2014 la posizione di Mission Commander è stata assegnata all’Italia.

Attualmente, nella regione, l’Italia detiene circa 70 unità tra cui il comandante e il vicecomandante dell’intera missione, alcuni paracadutisti e degli addestratori provenienti dall’Esercito e dei Carabinieri.

I corsi prevedono 12 settimane di corsi di base per operatori di polizia locale, che comprendono fondamenti di tecniche investigative, controllo di mezzi e persone e studio delle modalità per il sopralluogo sulla scena di un reato. Agli allievi somali vengono in genere donate uniformi italiane.

Oceano Indiano

Foto tratta dal sito del ministero della Difesa

I pirati somali sono una delle piaghe più durature del Corno d’Africa: “nati” sulle ceneri del difficile momento vissuto dalla Somalia negli anni Novanta, quando il paese fu straziato dalla guerra civile, sono ancora oggi un pericolo costante per le imbarcazioni commerciali e civili che solcano le acque dell’Oceano Indiano. Dopo le ripetute richieste d’aiuto del governo di Mogadiscio, sia l’ONU che la NATO hanno lanciato operazioni internazionali per contrastare il fenomeno.

Nelle acque dell’oceano indiano, al largo della Somalia, nel 2012 gli ufficiali della marina militare italiana hanno sventato l’attacco alla motonave italiana Valdarno—in quell’occasione furono arrestati 21 ‘burcad badeed’, i “ladri dell’oceano”, metà di origine somala e metà di origine yemenita.

È all’interno di questa operazione—denominata Atalanta/Ocean Shield—che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone furono arrestati il 15 febbraio 2012 con l’accusa di avere colpito una nave di pescatori indiani, uccidendone due. I due marò si sono sempre difesi affermando di avere sventato un tentativo di abbordaggio da parte di una nave pirata, ma questo non è stato sufficiente per evitare l’arresto da parte delle autorità indiane e la nascita di un caso diplomatico internazionale tra i due governi.

Emirati Arabi Uniti

Foto tratta dalla pagina Facebook dell’Ambasciata d’Italia ad Abu Dhabi

Sul suolo degli Emirati Arabi Uniti, l’Esercito Italiano schiera attualmente circa 90 unità, impiegate per attività di supporto alle missioni in Afghanistan ed Iraq.

Il reparto Task Force Air (TFA), ubicato sin dal 2002 nel complesso dell’Aeronautica Militare di Al Bateen, dal 1 luglio è stato rilocato presso l’area aeroportuale di Al Minhad (Emirati).

Nato col nome di “Nucleo Aeroportuale Interforze” (NAI), il team lavora come supporto all’impegno militare italiano per la missione “Enduring Freedom,” l’operazione militare lanciata dagli Stati Uniti all’alba degli attentati dell11 settembre 2001.

La base serve a garantire l’afflusso di personale, mezzi e materiali in quegli scenari critici, per fare da tramite tra Roma e i contingenti schierati, e gestire le evacuazioni sanitarie.

Nella stessa area, in Qatar e in Bahrein, alcune unità del personale italiano fungono attualmente da collegamento con le forze americane. Per la proroga dell’operazione negli Emirati, esattamente un anno fa, il Governo italiano ha stanziato circa 14 milioni di euro.

Kosovo

Foto tratta dal sito del ministero della Difesa

Villaggio Italia è la grande base militare situata nelle colline di Peç, a poche centinaia di metri dall’enclave serba di Gorazdevac. Qui i “tempi d’oro” sono passati ormai da tempo: i negozi un tempo fiorenti che popolavano l’esterno del reticolato spinato che ospita il contingente italiano sono stati ormai abbandonati. L’attenzione mediatica, a parte un picco datato 2008—quando il paese autoproclamò l’indipendenza dalla Serbia e venne lanciata dall’Unione Europea anche la parallela Eulex—si è andata spegnendo.

Eppure, la missione italiana in Kosovo resiste dal 1999, pur avendo subito una progressiva diminuzione nel numero delle unità. Oggi qui prestano servizio circa 500 militari (all’inizio della missione erano 2.200), i quali offrono “un contributo al processo di sicurezza e stabilizzazione dell’area Balcanica fornendo personale specializzato in vari settori.”

La presenza italiana resta tuttavia forte e solida nella coalizione: uno dei due Multinational Battle Group è a comando italiano, così come una delle unità multinazionali JRD (Joint Regional Detachment). Nel territorio del piccolo stato balcanico che ha autoproclamato l’indipendenza dalla Serbia nel 2008, sono operativi oggi anche un Reggimento Carabinieri MSU, a Pristina, composto esclusivamente da militari dell’Arma e un Reggimento con funzioni di Riserva Tattica, di composizione multinazionale.

Gibuti

Foto via Wikimedia Commons

Nel corso del 2015, oltre 30mila profughi yemeniti si sono rifugiati nel piccolo stato del Gibuti—810mila abitanti, più di metà dei quali risiedono nell’omonima capitale—attraversando i 20 chilometri di mare che separano le due nazioni.

Alcuni di questi rifugiati sono stati soccorsi da una rappresentanza di militari italiani provenienti dalla Base Militare Italiana di Supporto (BMIS) in Gibuti, costruita senza squilli di tromba nel corso del 2012, e definita dall’allora Capo di Stato Maggiore della Difesa Luigi Binelli Mantelli, al momento dell’inaugurazione, “la prima vera base logistica operativa permanente delle forze armate italiane fuori dai confini nazionali.”

Ma cosa ci fa una base italiana in uno stato politicamente stabile come Gibuti, sul cui territorio non ci sono operazioni militari internazionali in corso? La base, si legge sul sito del ministero della Difesa, “fornisce supporto logistico ai contingenti nazionali che operano nell’area del Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano.” Gibuti, aveva detto all’inaugurazione della base l’allora capo di Stato maggiore della Difesa Luigi Binelli Mantelli, è centrale “sia per quanto riguarda l’antipirateria, sia per il contrasto al terrorismo.”

Nella BMIS trova ospitalità una guarnigione di circa 80 militari; insieme a loro i genieri del 6° reggimento pionieri, impegnati nell’ultimazione dei lavori del quartier generale italiano nell’instabile regione centroafricana. Dal marzo 2015 si il comando della base è stato assunto dal Capitano di Vascello Massimo Pellegrini.

Malta

La costituzione della Missione Italiana di Cooperazione Tecnica e Militare in territorio maltese, oggi Missione Italiana di Collaborazione nel Campo della Difesa, ha compiuto quarant’anni nel 2013—venne stipulata nel 1973, dopo l’indipendenza dell’isola dal Regno Unito. Negli anni, poi si succedettero diverse missioni di stampo analogo, consolidate dalla ratificazione di numerosi accordi (1981, 1988, 2009).

Dal 1° dicembre 2011 è stata costituita la Missione Italiana di Collaborazione nel Campo della Difesa (MICCD), con una sostanziale riduzione dell’impegno italiano nell’addestramento di piloti dello ‘stormo aereo maltese’.

Secondo il Ministero, “il passaggio dalla forma di assistenza tecnico-militare a quella di collaborazione nel settore della difesa, ha modificato radicalmente lo sforzo militare italiano ed i termini della cooperazione.” In pratica si è passati oggi a una disponibilità a chiamata, o meglio “a domicilio,” per consulenze e assistenza alle forze armate maltesi e per sviluppare progetti comuni di cooperazione.


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Foto di U.S. Army Europe Images rilasciata su licenza Creative Commons