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A8N1: Diavolo di un satanasso

Tre capitoli da ‘The Loom of Ruin’

Il prossimo romanzo di Sam McPheeters

I lettori abituali riconosceranno in Sam McPheeters l’autore di alcuni dei pezzi più completi di VICE, tra i quali quello sulla sindrome di Gerusalemme, la transizione di Brooks Headley da folle batterista punk a chef di pasticceria di fama mondiale, l’ibernazione fai-da-te, le terapie contro l’aracnofobia, l’ex cantante dei Crucifucks Doc Dart autoproclamatosi messia, Glenn Danzig e tanti altri. Da quest’anno, Sam cura inoltre la rubrica settimanale “The Brutality Report”, mentre nel 2010 ha fatto da guest-editor per il numero “Musica e altre puttanate”. Gli esperti di musica ricorderanno poi che Sam è il cantante di Born Against, Men’s Recovery Prject e Wrangler Brutes. Oltre a ciò, VICE ha avuto l’onore di pubblicare qualche suo racconto. Proprio per questo, quando l’anno scorso Sam ci ha confessato di essere alle prese con il suo primo romanzo, siamo andati su di giri e lo abbiamo tempestato di domande. Non appena ci ha risposto che la trama riguardava “Trang Yang, il gestore di una serie di stazioni di servizio ossessionato da profitto e violenza che si aggira per Los Angeles in cerca delle spie che assediano i suoi distributori,” non ci abbiamo visto più, dovevamo averlo. È dunque con grande orgoglio che vi presentiamo tre capitoli da The Loom of Ruin, che il 1 aprile 2012 uscirà per Mugger Books in formato elettronico e cartaceo (muggerbooks.com, dove è già possibile prenotarne una copia). 1. I NASI Trang era arrabbiato. Se ne stava appoggiato al suo furgoncino bianco ai margini dello spiazzo del Chevron di Hoover Street, il confine estremo del suo impero, intento a osservare le facce dei clienti. Era il primo mattino di ottobre, e la luce era chiara ma ancora tollerabile. Improvvisamente, il vento mosse le palme del complesso di uffici poco lontano distraendo Trang che, sempre con lo sguardo oltre lo spiazzo, irrigidì la mascella innervosito e annusò l’aria in cerca di una conferma al suo sospetto. Stava arrivando qualcuno, era vicino. Come proprietario di nove stazioni di servizio Chevron a Los Angeles, le preoccupazioni non gli mancavano. Quelli delle assicurazioni cercavano sempre di fregarlo. I dipendenti disobbedivano. I clienti mancavano di rispetto alla sua proprietà. La gente di passaggio insudiciava i bagni. E poi c’erano gli altri, né dipendenti né clienti. Vandali. Sabotatori. Nemici. A Trang piaceva considerare le sue pompe di benzina un avamposto solitario nel bel mezzo di un deserto senza la minima traccia di civiltà. Quel mattino, erano i nasi a irritarlo. Andavano lì per spiare; in passato ne aveva già smascherato qualcuno: ficcanaso, agenti, falsi clienti che cercavano di propinare test psicologici sotto copertura. Annusavano qua e là per la sua proprietà come fantasmi, interessati non tanto agli articoli in vendita o ai tre tipi di benzina offerti, quanto a entrare nella sua testa e carpire i suoi segreti. Trang aveva passato le ultime quattro ore immobile, dritto contro il metallo freddo della portiera del furgoncino, a vigilare sulla situazione con sguardo truce. Erano tante le cose che lo infastidivano, ma la fonte della sua rabbia era una sola: da dieci anni non provava altra emozione che una collera perenne. Da quel giorno d’autunno del 2001, quando un detective del LAPD fuori servizio gli aveva accidentalmente sparato colpendolo al volto, la rabbia lo aveva pervaso. Il proiettile era entrato dal basso, attraversandogli la guancia e mandando in frantumi il secondo premolare destro per poi risalire la corteccia frontale e fuoriuscire poco sopra l’attaccatura dei capelli. A ricordare l’incidente gli era rimasto sulla fronte un segno dalla forma e le dimensioni di una bruciatura di sigaro. Svegliatosi dopo tre giorni di coma, Trang si era scoperto rinato. Sentiva di poter finalmente vedere la realtà delle cose: la confusione di prima era stata spazzata via, rimaneva solo l’odio. Dal negozio della stazione di servizio un uomo curvo si stava avvicinando a Trang. Era Rupert Bhatnagar, l’unico dipendente del turno di mattina. Rupert era un derelitto fin da prima di approdare ai Chevron di West 20th Street e South Hoover Street; ogni cosa in lui—l’incurabile lentezza, la pancia flaccida, la faccia butterata e cadente—irritava Trang. Secondo un programma fissato da quest’ultimo per evitare gli straordinari, Rupert faceva quotidianamente più turni nelle diverse stazioni di servizio, arrivando in alcuni casi a lavorare anche 16 ore al giorno per una settimana intera. A seguirlo, le sue profonde occhiaie violacee. Per Trang era difficile resistere al costante impulso di aggredirlo selvaggiamente. “Signor Trang,” disse Rupert senza alcuno slancio, mentre una folata di vento si infrangeva contro il suo riporto oleoso. Trang gli piantò gli occhi addosso, in attesa. “Signor Trang, sono le dieci. È l’ora dei miei dieci minuti di pausa.” Troppo adirato per rispondere, Trang gli fece un cenno con la mano. Rupert si allontanò ciondolante, come avesse appena imparato a camminare. Ecco un latino con una maglietta sportiva oversize scendere dal pickup alla pompa 12. Sotto lo sguardo vigile di Trang, l’uomo si guardò intorno per poi dirigersi verso il negozio di alimentari con la maglia che gli faceva su e giù sul torace. Trang si affrettò a raggiungere l’ingresso opposto, entrando nel negozio nello stesso istante in cui lo faceva il cliente. Notò con disappunto che sulla maglia faceva bella mostra di sé la faccia aerografata di Kobe Bryant. “Lavora qui?” chiese l’uomo. Per tutta risposta, Trang si spostò dietro al bancone senza dire una parola. “Può dirmi come arrivare al Children’s Hospital di Los Angeles?” Trang rimase immobile, bloccato dalla rabbia. L’uomo non seppe far altro che ridere. “Ok, neppure all’altra stazione di servizio lo sapevano.” Mosso qualche passo indietro, l’uomo si mise a osservare l’espositore di caramelle, fischiettando. Scelse due confezioni e le posò alla cassa. Trang era ancora immobile, con gli occhi fissi in quelli dell’estraneo. “Le piaceranno. Sono per mia nipote.” Trang continuava a mantenere la posizione. “I bambini sono tosti,” riprese l’uomo. “Possono sopportare qualsiasi trattamento, ago o altro.” Le sue dita tamburellavano nervosamente sul bancone. “Non so se ha figli, ma guardi… Io sono contento di non averne. Mio fratello, non so da dove prenda la forza per andare avanti. Grazie a Dio hanno l’assicurazione. Comunque, prendo solo le caramelle.” “Sulla maglia c’è faccia di cazzo,” disse finalmente Trang. Per la prima volta, il cliente lo guardò negli occhi. “Tu dici a loro.” “Dire cosa?” Trang non parlava granché bene l’inglese, e formulava frasi lunghe soltanto quando era strettamente necessario. “Tu dici a loro. Nessuno prende mia benzina.” L’uomo batté impotente le palpebre mentre la bocca disegnava un ovale di confusione. Con un movimento deciso, Trang allungò il braccio sotto il registratore di cassa e afferrò il machete, sempre a portata di mano. Producendo un tonfo metallico lo appoggiò sul bancone, tra le caramelle, come fosse una controfferta. “Tu vai,” fece Trang Yang risoluto. “Io vedo te ancora, io taglio testa.” 3. GLI INTOCCABILI “Cosa manca? Abbiamo già parlato degli intoccabili?” In una tavola calda a otto isolati di distanza, il sergente Stephen Berquist sedeva di fronte all’agente Jimmy Rango. Tra loro, una fetta ancora intatta di torta alla crema di cocco faceva da giudice alla prima settimana dell’agente nel LAPD. Rango alzò gli occhi scrollando le spalle. Era il cognato della cognata di Stephen, un tipo ancora giovane non tra i più brillanti. Ma la famiglia è la famiglia, e Stephen aveva promesso alla moglie che avrebbe preso il novellino sotto la sua ala. Berquist riprese. “Intoccabili, quelli che non possiamo arrestare, hai presente?” “I personaggi famosi?” azzardò Jimmy dopo un po’. “Personaggi famosi? Sì, quelli sono assolutamente off-limits.” Rango non sembrò scomporsi. “Jimmy, sto scherzando. Che si fottano, quelli. Vederli in manette è una meraviglia. Parlo di persone che non possono mai e poi mai essere arrestate.” “Ovvero?” “Esistono tre categorie di intoccabili. Uno: i diplomatici,” iniziò Berquist contando sulle dita. “Hanno con sé una tessera, piccola e arancione. Assicurati che sia di carta, coi caratteri in rilievo, non plastificata. Devi sentirlo col pollice.” “Due: il sindaco. E con lui, il capo dello staff, il vice capo e il responsabile delle comunicazioni. Impara i loro nomi. Se succede qualcosa, fermi tutto e chiami la centrale per avere istruzioni precise.” Jimmy annuì, la bocca leggermente aperta. Fu allora che Stephen pensò che non ci sarebbe voluto molto per costringerlo a mettere la faccia nella torta. Avrebbe sempre potuto dire alla moglie che si trattava di un rito d’iniziazione. “Tre: Trang Yang.” “Una gang?” “No, no. Niente gang. È un uomo. Trang. Yang. Si chiama così.” “Un uomo?” “Un cinese. Arrivato in America nel 2000, dopo una settimana in città è alla pensilina del bus mentre si svolge una manifestazione di protesta—diritti per i messicani o cose del genere. Nel posto sbagliato al momento sbagliato, come si dice. Uno dei nostri gli lancia un lacrimogeno e lo colpisce alla testa con un manganello. Lo risarciscono. Un anno dopo, il coglione è in macchina con la moglie, e boom! Si ritrova con una pallottola in faccia. Era capitato nel mezzo di una sparatoria per furto, ma a far esplodere il colpo è stato un poliziotto. Coincidenza cosmica. L’unico motivo per cui la stampa non ne ha fatto un 11 settembre è che erano le 22.30 del 10 settembre 2001. Sarebbe stata un’enorme tempesta di merda, per tutto il dipartimento. Perciò, apri bene le orecchie, se gli capita qualcos’altro in cui siamo coinvolti anche noi, un solo, minimo sgarro, si arriva alla terza guerra mondiale. Gli hanno dato in fretta e furia 2.1 milioni di dollari, una cifra record. Da allora, è off-limits.” Per la prima volta da quando aveva indossato la divisa, Jimmy assunse un’espressione quanto più simile alla contemplazione pensierosa. “Qui funziona così,” concluse Stephen, “anche se non lo vedrai scritto da nessuna parte.” 6. I MESSI NOTIFICATORI Da giovane, Nick Skirmopoulos aveva fatto il pugile. Era un greco dalle spalle larghe, il fisico sproporzionato e grosse mani che spesso si trovava a usare contro la testa di qualcuno. Aveva lasciato il ring dopo essersi guadagnato una cattiva reputazione per aver rotto i timpani a un avversario, ed era diventato messo notificatore per il tribunale. La paga era buona, il lavoro non mancava mai e gli dava la possibilità di immischiarsi in qualche zuffa senza ripercussioni legali o finanziarie. Nelle contee di Los Angeles, Orange, Riverside e Ventura, era lui l’uomo da chiamare per comunicare ai più cocciuti e irascibili l’invito a comparire in tribunale. A mezzogiorno in punto di un martedì, Nick parcheggiò la sua Buick di fronte alla stazione di servizio di Vermont Street e aprì il portabagagli. Anche i messi notificatori hanno specifici ferri del mestiere, e le loro auto nascondono ogni tipo di accessorio per il travestimento: cappellini e gilet da fattorino, uniformi varie, barbe finte, occhiali da sole, copricapi. Sebbene Nick rispettasse il suo lavoro e la tradizione di messi notificatori che lo aveva preceduto, il sotterfugio non era da lui. I suoi unici strumenti erano due casseruole di acciaio inossidabile che aveva acquistato al “tutto a un dollaro” tre anni prima. “Dov’è quel figlio di puttana di Trang Yang?” urlò Nick sbattendo le pentole una contro l’altra mentre percorreva lo spiazzo ed entrava nel negozio. Le carte del tribunale erano infilate nella cintura come il fodero di un pirata. “Trang Yang è un fottuto spilorcio leccaculi!” proseguì facendo su e giù per i due corridoi del market. A ogni passo allargava le braccia e le richiudeva facendo risuonare le due casseruole. “Trang!”—clank, crash—“Trang!” Da dietro la cassa, un Rupert perplesso e sotto shock si rivolse a lui chiedendo, “Signore?” Era reduce dal turno alla pompa di benzina di Hoover Street, pronto per altre otto ore di lavoro. Nick fece un giro su se stesso. “Sei tu Yang?” Rupert ripeté, “Signore?” Nick lasciò cadere il pentolame sul bancone ed estrasse le scartoffie. Poi lesse RUPERT dalla targhetta in plastica al petto dell’uomo che gli stava di fronte e grugnì. “Sono stato a sei Chevron oggi, non ho tempo per i tuoi giochetti. Dammi la prova che sei veramente Rupert.” “Signore?” “Niente ‘signore’. Forza, il portafoglio.” “Signore?” “Cazzo, dammelo! È un ordine!” La porta dell’ufficio sul retro si spalancò improvvisamente, facendo cadere a terra una fila di pacchetti di Winston e Salem. “Tu chi?” fece Trang. Nick si trovò davanti un piccoletto asiatico, più basso di lui di quasi una testa, con gli zigomi affilati e una cofana di capelli neri striati di grigio. Stava fermo con le mani sui fianchi, lanciando occhiatacce in direzione di Nick come fossero stati vecchi nemici. Divertito, Nick rispose, “Tu chi?” “Signor Trang,” sussurrò Rupert angosciato. “Grazie,” esclamò Nick. “Sono…” Mosso qualche passo in avanti, Trang strappò le carte del tribunale dalla mano di Nick. Era la prima volta che una delle sue vittime si comportava così, pensò il notificatore. “Ottimo, ti sei servito da solo, amico.” Gli occhi di Trang non si erano mossi di un millimetro. “Cosa è?” “Una denuncia, Jack. Una bella, grossa denuncia.” “Chi denuncia.” “È te che denunciano.” “Nessuno denuncia me.” “E invece sì. È da parte del Nadir Imaging Services. Sorpresa.” “No, no denuncia,” ripetè Trang sconcertato. Nick piegò le sue grosse braccia e sorrise. “E perché non ti denunciano, piccoletto?” “Tu fai. Tu fai ritirare denuncia.” “Perché mai dovrei?” “Io dico.” “E come pensi di riuscirci?” “So dove abiti.” Nick rimase in silenzio per un momento, incredulo. “No che non lo sai.” “È su patente.” “Ma tu non ce l’hai la mia patente.” “In tuo portafoglio.” “Certo,” disse Nick mettendo inconsciamente una mano sulla tasca. “È proprio qui.” “Tu dai me portafoglio, ora.” Nick si appoggiò al bancone e sorrise ancora, stavolta nervoso.