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La Lega Nord ha invaso Milano insieme ai camerati di tutta Italia

Con la marcia sul Duomo di "Stop Invasione" di sabato, la Lega Nord di Matteo Salvini ha consacrato la propria egemonia sull'estrema destra.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Foto di Marco Valli/CESURA.

L’ultima volta che la Lega Nord aveva invaso piazza Duomo è stata nel gennaio del 2012, per protestare contro il governo Monti. All’epoca il partito—tra scandali finanziari, lauree albanesi e investimenti azzardati in Tanzania—non se la passava per niente bene ed era sull’orlo dell’estinzione politica.

Quel giorno ero a Milano, e aggirandomi per la piazza si notava piuttosto distintamente l'atmosfera da resa dei conti tra il “cerchio magico” di Umberto Bossi e i “barbari sognanti” di Roberto Maroni.

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L’incertezza generalizzata sulla sorte della Lega si era inevitabilmente riflessa sullo stato d’animo dei militanti, che invocano poco convintamente la consueta “secessione” e gridavano gli stessi slogan di sempre (“Roma Ladrona / La Lega non perdona”). La giornata era finita mestamente con i fischi a Umberto Bossi e la netta sensazione che la Rivoluzione Padana fosse spacciata—per sempre.

A due anni di distanza, il 18 ottobre la Lega è tornata in massa (le stime parlano di 40mila persone) nel centro di Milano con la manifestazione “Stop Invasione,” ma nel frattempo è cambiato tutto.

Il nuovo segretario Matteo Salvini è riuscito a evitare al suo partito una morte praticamente certa e, puntando tutto su suggestioni lepeniane, bordate contro l’euro, guerra totale ai “clandestini” e difesa della sacralità dei Patri Confini, l’ha inserito di prepotenza nella grande famiglia in ascesa degli europopulismi di estrema destra.

Le parole d’ordine del corteo leghista, che è stato contrastato da una nutrita contromanifestazione antirazzista tenuta a debita distanza dalla polizia, sono state abbastanza diverse da quelle tradizionali. La xenofobia rimane l’inossidabile marchio di fabbrica e i nemici di turno sono sempre i “clandestini” e i musulmani. Ma questa volta non ci sono né Roma né i terroni; o meglio, ci sono e stanno con Matteo Salvini.

I bersagli principali di questo turno sono sicuramente Alfano (che nei vari cartelloni è definito “Al Fano” o “Angelino zerbino sei il primo clandestino”), Bruxelles, l’euro, la missione militare Mare Nostrum (che finirà a breve), la presidente della Camera Laura Boldrini e ovviamente l’Ebola, che però può anche essere usata per contagiare ministri e altre cariche.

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Anche il parco supereroi è cambiato per stare al passo con i tempi: Capitan Padania è stato mandato in pensione a favore di qualcuno di molto più “identitario” e potente—Vladimir Putin. Il presidente russo, con cui nei giorni scorsi Matteo Salvini si è fatto ritrarre, è ovunque, tanto che a volte sembra di stare al raduno ufficiale del Vladimir Putin Italian Fan Club più che a una manifestazione leghista.

Naturalmente, e non senza mio grande rammarico, le piazze leghiste non sono più dominate da ampolle, copricapi vichinghi e attempati militanti vestiti da indiani.

Certo, c’è ancora qualche striscione che accenna al sogno dell’indipendenza della Padania, come quello con un Alberto da Giussano armato di Kalashnikov che chiede la secessione da questa “I-talia di merda.” Ma si tratta semplicemente di un retaggio folkloristico del passato, più che di uno slancio verso il futuro.

Anche perché il vero progetto politico della nuova Lega di Matteo Salvini, che “Stop Invasione” ha consacrato definitivamente, è quello di uscire dal Nord una volta per tutte e creare un vero e proprio Fronte Nazionale italiano. Ossia un partito modellato sull’ideologia della nouvelle droite francese, depurato (in apparenza) dagli elementi neofascisti, ferocemente contrario all’immigrazione (ma senza più le sparate alla Gentilini) e incentrato sul sovvertimento da destra ("Prima gli italiani!") delle politiche sociali, una formula già sperimentata in Francia dal Front National.

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L’obiettivo finale è piuttosto palese: il rastrellamento delle praterie elettorali lasciate libere da quel che rimane del centrodestra berlusconiano. Gli ultimi sondaggi, che danno la Lega Nord tra l'8 e il 9 percento, sembrano dare ragione a questo nuovo corso.

Tutti questi punti programmatici sono stati sciorinati nel comizio conclusivo di Matteo Salvini, che ha infiammato la piazza in un crescendo di populismo e dichiarazioni d’amore per Vladimir Putin, “il Vladimir giusto” che lui cambierebbe con Renzi “domani mattina.”

Per ribadire ulteriormente che associare “Lega Nord” e “razzismo” sarebbe un’autentica follia, Salvini prima ha definito Mare Nostrum “un’operazione schiavista e razzista,” poi ha detto che “è un paese di merda quello che dà 200 euro a un disabile e 1200 euro a un clandestino” e infine ha concluso dicendo “i veri profughi in Italia sono gli italiani.”

Un simile discorso non poteva non entusiasmare i camerati dell’estrema destra, presenti in forze nella piazza. E indubbiamente questa è la novità più rilevante della manifestazione di sabato.

Lo spezzone finale del corteo, infatti, era composto da circa duemila militanti di CasaPound che sventolavano bandiere dell’Unione Europea sbarrate da una grossa X rossa e intonavano canti travolgenti quali “Autarchia / Socializzazione / CasaPound Italia per la Rivoluzione.”

Oltre a CasaPound c’erano altre sigle dell’universo neofascista/estremista, tra cui Progetto Nazionale (il movimento di Pietro Puschiavo, fondatore del Veneto Fronte Skinhead), Destra per Milano, gli Hammerskin milanesi di Lealtà e Azione e i “circoli culturali” né-di-destra-né-di-sinistra come Il Talebano e Patriae.

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E non mancavano nemmeno esponenti dell’estrema destra francese. Tra questi spicca sicuramente Philippe Vardon, il presidente di Nissa Rebela (“movimento politico identitario” attivo a Nizza dal 2005) che ha contribuito alla fondazione del Bloc Identitaire e in passato aveva già intrattenuto rapporti politici con Mario Borghezio.

Avec @claudiodamicoln député @LegaNordPadania et Lorenzo de @GenerazioneID - manifestation #StopInvasione à Milan. pic.twitter.com/Pdl58WHWTb

— Philippe Vardon (@P_Vardon) October 19, 2014

L’eurodeputato leghista—che dal palco di piazza Duomo ha salutato la nascita di una “Lega più grande, immensa, che non ha confini nè politici nè geografici”—è la figura chiave di questa svolta “lepenista,” nonché l’uomo che inaugurato e consolidato la relazione amorosa con i fascisti del terzo millennio.

Durante la vittoriosa campagna elettorale per le europee CasaPound ha attivamente sostenuto Borghezio, che era candidato nella circoscrizione centro; quest’ultimo ha generosamente ricambiato partecipando alle iniziative dei neofascisti a Roma, soprattutto nelle periferie.

Poco prima di “Stop Invasione,” il vicepresidente di CasaPound Simone Di Stefano aveva dichiarato che “con la Lega è in corso un dialogo” e che “c’è la volontà di lavorare insieme.” Nella stessa intervista, oltre a celebrare la “vicinanza d’intenti” con qualche salto carpiato ideologico, Di Stefano ammetteva anche l’esistenza di qualche piccola divergenza tra i due partiti: “Nella Lega esistono ancora settori più legati all’idea del secessionismo o a un odio per l’Italia intesa come nazione. È ovvio che noi non potremo mai sostenere, per esempio, l’indipendenza del Veneto.”

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Com’era inevitabile, questa inedita affinità tra Lega e CPI sabato ha prodotto risultati piuttosto stridenti.

Razzisti: poche idee, ma confuse. (immagine tratta dalla manifestazione #stopinvasione) #Salvini #Lega #Casapuond pic.twitter.com/RDX4B6YhKr

— Pasquale Videtta (@pasqualevidetta) October 19, 2014

Nonostante questi piccoli incidenti di percorso, una parte dell’estrema destra non ha mostrato alcuna esitazione nell’associarsi con le camicie verdi. “Alla nuova Lega di Matteo Salvini,” si legge sul sito Rinascita.eu, “non si può guardare che con estrema simpatia e con spirito di mobilitazione e costruzione comune: ed è proprio questo il dovere di tutti gli uomini liberi.”

Dico “una parte” perché, lo stesso giorno di “Stop Invasione”, Forza Nuova e Fratelli d’Italia sono scesi in piazza in diverse città d’Italia protestando più o meno per le stesse cose. Ma mentre i primi sono stati relegati all’irrilevanza dalle contestazioni (che sono sfociate in scontri a Bologna e Ancona) della sinistra antagonista, i secondi non se li è filati proprio nessuno—nonostante un tricolore di 300 metri per le strade di Reggio Calabria e i selfie di Giorgia Meloni.

Ma del resto, non poteva andare altrimenti. Nella giornata dell’orgoglio xenofobo della destra italiana, la Lega Nord ha consacrato la propria egemonia sull’intera area.

E mentre Salvini & camerati stanno continuando a celebrare sui social network il grande successo della manifestazione, io non posso fare a meno di pensare alle parole pronunciate da Borghezio nel corso di un raduno dell’estrema destra francese di qualche anno fa. “Ci sono delle buone maniere per non essere etichettati come fascisti nostalgici,” aveva spiegato Borghezio ad alcuni militanti. “Una di queste è presentarsi come un movimento regionale o cattolico, ma sotto sotto rimanere gli stessi.”

Ecco: la marcia sul Duomo ha dimostrato piuttosto chiaramente che ora, finalmente, non c’è più alcun bisogno di travestirsi da partito regionalista per nascondere la propria natura.

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