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Serrabyte - Giappo-noia

Non è oro tutto ciò che è giappo, soprattutto per i videogiochi.

Asura's Wrath.

Come molti italiani nati negli anni Ottanta, sono completamente affascinato dalla roba giapponese. Oltre alle giacchette e agli occhiali Made in Japan—che considero migliori per diritto di nascita rispetto a quelli prodotti in Veneto—sono facile preda di fumetti e cartoni animati. E di videogame.

Quando un gioco (capita spesso) tira in mezzo un tipo di estetica che in qualche modo riconosco come "giapponese", ci casco inevitabilmente. È successo con i Final Fantasy, ovviamente, ma anche con la serie di Front Mission, Soul Calibur, giù fino a Bayonetta eccetera. Ecco perché sono stato contento di ricevere Catherine e Asura's Wrath, che sono giochi completamente diversi, ma promettono entrambi viaggi dentro classici mondi manga. Mi solleticano prima ancora di infilare il dvd nella console.

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Catherine è arrivato in Italia un mese fa, ma in ritardo di un anno secco rispetto all'uscita giapponese, quindi avevo già letto un tot di recensioni megapositive; in più, l'ha prodotto lo stesso team della saga di Persona, di cui facevano parte alcuni dei giochi di ruolo più fighi (battaglia finale contro Hitler nel 2!) e più giapponesi che abbia mai visto. Per di più ho letto su Wired che il gioco è pieno di riferimenti a Freud, e che ti racconta una storia intelligente, appassionante, adulta. Wow. Io in sei ore di gioco non ho provato granché oltre alla frustrazione, però.

Catherine è costituito da due fasi distinte, diverse come il giorno e la notte. Anzi, sono giorni e notti nell'esistenza del protagonista, Vincent. La notte è un puzzle/platform: Vincent sogna di doversi inerpicare su per una simil-ziqqurat fatta di blocchi di pietra, per sfuggire alla morte. Il giorno è un gestionale: Vincent deve portare avanti la sua storia d'amore, decidere se stare dietro alla fidanzata storica (Katherine) che vuole sposarlo o all'amante misteriosa & figa (Catherine. A proposito: scopano, wow!). Più che due fasi, sono giochi diversi: la teoria dei videogame dice che il cuore di un gioco sono le regole, il gameplay, e che il resto è un guscio; non sarò certo io a entrare in polemica contro i professori nordeuropei del giro di Frans Mäyrä. Dunque definiamo pure Catherine come gioco-composto-da-due-giochi. Che avrebbero potuto, tutti e due, essere meglio. La gestione della storia d'amore rimane più che altro teorica, e i diversi finali possibili non giustificano lo scarso impatto delle vostre scelte sullo svolgimento della trama: che siate stronzi o romantici, alla fine non cambia granché. La parte puzzle, invece, è più che altro veramente difficile: giocavo in modalità normale, e sono comunque rimasto bloccato un bel po' di volte. Palle.

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Nonostante l'evidenza ho provato a farmi piacere Catherine: con tutte le mie forze ho voluto appassionarmi alla narrazione, cercato di apprezzare i sottotesti. Come i citati riferimenti freudiani, ma anche: 1) alla fine, il gioco è fondato sul cercare di sfuggire alle responsabilità dell'età adulta, e il tema è profondamente sentito da ogni trentenne giant baby; 2) più o meno quando vi pare, potete giocare a un mini-game interno al gioco che è esattamente il contrario della parte puzzle. La meta-roba mi piace sempre, che ci volete fare. Ci sono altre cose belle, ma nonostante questo non posso negare che i miei sforzi siano stati inutili: fingere non serve, se il gioco non funziona. La divisione in due parti assomiglia al coito interrotto: i puzzle game davvero tossici non prevedono la possibilità di spezzare il ritmo. Qui, invece, appena ci prendi gusto ti ributtano dentro una "storia interattiva" con ritmi appena meno lenti di una serie animata giapponese media. Che sono terribilmente lenti per un videogame, il quale richiede per natura una maggiore velocità narrativa rispetto a qualsiasi libro o film o serie televisiva. Adattare il ritmo di un cartone giapponese a un videogioco è più difficile di quello che sembra.

E ora, Asura's Wrath. Tutto il contrario di Catherine, simili problemi di fondo. Prima il riassunto: Asura è un dio, fate conto un mix fra il Mahābhārata e Le bizzarre avventure di Jojo. Viene tradito dai suoi compagni, la famiglia uccisa/rapita. Finisce all'inferno, ma risale verso il mondo dei vivi per vendicarsi. Estremamente figo. Tutto questo è al centro della prima mezz'ora di gioco, cioè della prima mezz'ora di filmati. La scelta degli sviluppatori qui è estrema: si guardano lunghi filmati, poi entrate in un breve evento detto quick-time, tipo quelli di God of War, per intenderci. Dove devi premere i pulsanti che appaiono sullo schermo con il tempismo giusto per riuscire, che so, ad ammazzare il gigante indù-bondage. O roba del genere.

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Il mio tentativo di farmi piacere Asura's Wrath è andato meglio. Perché rispetto a Catherine è molto più spudorato. L'idea è di mettervi davanti un simil-Dragon Ball GT senza umorismo ma con la violenza di Berserk, stordendovi con una serie di sequenze animate che vanno oltre l'eccesso. Su internet girava un trailer del gioco nel quale Asura veniva attaccato da un enorme Buddha grande come la Terra: be', non è la scena più estrema che troverete nel gioco. Ma la spudoratezza non è questa. La vera spudoratezza sta nel trattarvi come un bambino piccolo.

Credo sia un'esperienza comune: in vacanza in riviera siete troppo piccoli per giocare, ma rimanete affascinati dallo schermo colorato visto nel bar di turno. Papà sa che è inutile sprecare due 500 lire (i coin-op sono irrimediabilmente pre-euro, temo)—non durereste 3 minuti nel primo livello di Final Fight—ma non vuole deludervi. E allora, hop: seduti davanti alla demo che passa sempre uguale, a pestare sui pulsanti. Non capite un cazzo uguale, ma siete sinceramente contenti. E a volte perfino meravigliati di quel che riuscite a (non) fare.

È quello che succede con Asura's Wrath. Prendere per il culo uno di trent'anni dovrebbe essere più difficile, e invece: il gioco si gioca da solo, ma per procedere vi viene richiesto, a volte, di premere qualche pulsante. Incredibilmente, riuscendo a farvi credere che sia il vostro piccolo gesto a far esplodere pianeti e Buddha giganti. Quindi sì, questa parte mi è piaciuta.

Ma dopo un po', anche in questo caso ti piglia la noia. Non so come la pensi Frans Mäyrä al riguardo, ma sembra proprio che, finora, i tentativi di riportare i videogame dentro altri limiti narrativi—letteratura, cinema—siano più o meno falliti. Boh, ci risentiamo dopo Mass Effect 3.