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A Roma hanno identificato il writer Geco, ma da come ne parlano sembra più la cattura di un boss mafioso

Il dibattito su graffiti come simbolo o meno di degrado non è nato oggi, ma i toni usati da Virginia Raggi stridono abbastanza con le condizioni in cui versa Roma—e non per colpa dei writer.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
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Il materiale sequestrato a Geco. Foto via Facebook/Virginia Raggi.

Come riportano oggi agenzie di stampa e quotidiani, il writer Geco è stato identificato dagli agenti del Nucleo Ambiente e Decoro della polizia di Roma e denunciato alla magistratura per “danneggiamento” e “reato continuato.”

I graffiti con il suo nome sono visibili in molte parti della capitale—dalla stazione Termini a Ostiense, passando per San Giovanni, Monteverde, il Grande Raccordo Anulare, l’uscita dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila e la tangenziale—ma negli anni sono comparsi anche in altre città italiane e capitali europee come Lisbona, dove ha vissuto per un periodo.

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In un’intervista al sito portoghese Ocorvo, Geco aveva spiegato di fare soprattutto “bombing” (ossia coprire le superfici con throw-up o tag veloci da realizzare) e che “il mio stile non differisce da città a città […], voglio diffondere il mio nome più che avere un’estetica elaborata,” anche se nome ed estetica “possono e devono essere complementari.”

Le indagini sulla sua persona andavano avanti da più di un anno, e a dare la notizia in giornata è stata anche la sindaca di Roma Virginia Raggi. Che, allegando una foto del materiale sequestrato (tra cui adesivi, rulli, vernice e bombolette), ha usato toni simili a quelli che si vedono dopo la cattura di un boss mafioso latitante.

“Grazie al lavoro del Nad, e a un anno di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma, i nostri agenti sono riusciti a identificare il writer […] Era considerato imprendibile, ma ora Geco è stato identificato,” ha scritto la sindaca. “Ha imbrattato centinaia di muri e palazzi a Roma e in altre città europee, che vanno ripuliti con i soldi dei cittadini. Una storia non più tollerabile.”

Alcuni giornali, similmente, hanno parlato di "writer più ricercato d'Europa" che è "inseguito dalle forze dell'ordine di mezzo continente." E sebbene il dibattito sui graffiti simbolo o meno di degrado e vandalismo non sia nato esattamente oggi, l’enfasi posta sull’accaduto stona parecchio con le condizioni in cui versa la città dopo quasi cinque anni di amministrazione Raggi (e in cui di sicuro le tag di Geco non sono tra i principali problemi).

Ma del resto, parliamo di una giunta che ha sempre dato grande risalto mediatico al contrasto ai graffiti, in una riproposizione sgangherata e fuori tempo massimo della “teoria delle finestre rotte.” Spesso e volentieri con esiti grotteschi, come quando a Garbatella una scritta storica risalente al 1948 era stata scambiata per un “atto vandalico” e cancellata (per poi essere ripristinata).

Infine, a quanto detto si aggiunge un’altra circostanza curiosa, fatta notare sul proprio account Instagram dal memer RavideMeme: la sindaca segue solo 17 profili sulla piattaforma—e uno è quello di un altro writer, Banksy. Il quale non è certo paragonabile a Geco, ma insomma: seguendo le ferree logiche del decoro, anche lui tecnicamente imbratta “centinaia di muri e palazzi” in giro per il mondo.

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