Salute

Perché non sopporti parlare al telefono, spiegato da uno psicologo

Ci sono vari motivi per cui una persona odia stare al telefono o evita spesso di rispondere. Come affrontare questa paura?
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Immagine di NeoLeo via AdobeStock.
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"Chiedi a...", ovvero risposte a domande pressanti, esistenziali o curiose

Forse già conosci la sensazione: quell’inconfondibile mix di fastidio, insofferenza e paura che sembra esplodere dal nulla quando senti squillare o vibrare il telefono—ed è proprio il tuo, sì. D’istinto silenzi magari la suoneria, sperando che la persona dall’altro capo desista o che tu trovi la faccia tosta di buttare giù senza rispondere. Ma non sempre si può, e magari in fondo nemmeno si vuole. Senza considerare che a volte a dover chiamare siamo proprio noi.

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Parliamoci chiaro, per molte persone telefonare non è affatto un problema. Per alcune, anzi, è un piacere. Ma perché altre odiano o vivono male l’esperienza del parlare al telefono? “È un tema di preferenza,” spiega Gabriele Raimondi, presidente dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna. “C’è una scarsa abitudine a farlo, sostituita nei giovani da tanti altri modi comunicare: i post, i messaggi, o anche i messaggi vocali.”

In generale, il fastidio e la preoccupazione che può destare una telefonata sono legati alla difficoltà di poterne controllare i ritmi e la direzione.

Come fa notare Raimondi: “C’è un tempo di risposta diverso da quello del messaggio. Non per forza più lento, ma più legato all’aspettativa dell’altra persona.” In più, colti su due piedi, potremmo preoccuparci di non riuscire ad articolare i nostri pensieri come vorremmo. Per messaggio mancano tutta una serie di elementi, a partire dal tono della voce, ma “i tempi di elaborazione della risposta possono darci più tranquillità.”

Soprattutto nelle persone che convivono con un disturbo dell’ansia, la telefonata può accentuare il timore del giudizio dell’altro, di esprimersi in maniera non adeguata, di non ricevere apprezzamento. “Il feedback della persona [dall’altro lato della cornetta] è immediato e abbiamo sempre un rischio di interpretarlo in modo sbagliato o inadeguato, leggendo in questo la conferma delle nostre paure,” commenta a proposito Raimondi.

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A complicare il nostro rapporto con il telefono ci si è messa anche la pandemia. “Il fatto di poter essere contattati in diversi momenti della giornata, anche al di là del canonico orario di ufficio—perché i tempi di lavoro si sono dilatati, sono andati a invadere gli spazi personali—è uno dei grandi temi di fatica psicologica rispetto al mondo del lavoro attuale,” spiega Raimondi. 

Di per sé, la scarsa preferenza per le telefonate non è certamente un problema di cui doversi preoccupare. Lo diventa se arriva a inibire la nostra attività professionale o personale, spiega lo psicologo: “Se mi rifiuto di rispondere al telefono, posso perdere occasioni importanti di confronto. [Oppure se] penso di perdere il controllo, se non riesco a gestire le telefonate, se non riesco a gestire l’uso delle videochiamate, per esempio.”

È importante anche contestualizzare il disagio: “Se io reagisco con fastidio, fatica e stanchezza alla prima telefonata della giornata è diverso che se reagisco allo stesso modo alla 140esima. C’è un dato di contesto molto differente.”

Per questo è importante, dove possibile, stabilire delle regole. Che si decida banalmente di staccare il telefono la sera o di essere invece raggiungibili 24 ore al giorno e sette giorni su sette, la cosa fondamentale è riuscire a riconquistare uno spazio di autonomia, definito in base alle proprie esigenze e sottratto alla logica del dare seguito a qualsiasi stimolo indiscriminatamente.

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“È importante per le persone legittimare se stesse anche nella scelta di rispondere o meno al telefono,” continua lo psicologo. “Valutare quindi anche l’importanza dell’interlocutore e del possibile contenuto. Non devo per forza rispondere a tutto e tutti in qualunque momento.”

Nell’eventualità di dover fare o ricevere una telefonata, per alcuni può essere utile prepararsi anticipatamente. “Provo a immaginarmi le richieste che devo fare, soprattutto se per lavoro,” dice Raimondi. “Anche la consapevolezza delle mie reazioni corporee mi è d’aiuto: so che quando mi arriva la telefonata, il mio cuore batte più velocemente, per esempio. Conoscere le proprie reazioni corporee è importante per gestirle meglio ed esserne meno colpiti.”

Un po’ come in un’interrogazione a scuola, una buona preparazione può contribuire a ridurre un po’ l’agitazione. “Quindi avere consapevolezza dei contenuti, ma anche del modo in cui reagisco di fronte a una telefonata,” ricorda Raimondi.

Non sempre, tuttavia, è una questione di esercizio, fa notare lo psicologo. “Nelle esperienze, c’è una certa desensibilizzazione facendo più volte la stessa cosa, ma non per tutti è così. Anzi, per alcuni diventa un elemento di fatica ulteriore: le telefonate di oggi si sommano a quelle di ieri.”

Nella maggioranza dei casi, l’insofferenza verso le chiamate è dovuta comunque a un momento di fatica, che può essere tranquillamente superato anche con l’aiuto di un professionista. “La cosa più importante è prendersi il tempo di fare un lavoro su di sé per trovare la propria modalità migliore,” ricorda lo psicologo.

Il punto è quello di arrivare a un uso consapevole del telefono come mezzo per ciò che riteniamo importante, senza percepirlo come il segnale di una richiesta sociale per noi insostenibile, un vincolo o un obbligo. “[Questo ci permette di] selezionare gli stimoli quando interessanti e dominare il rapporto, che torna così ad essere sano,” dice Raimondi. “Se perdiamo questa capacità, e ci sentiamo chiamati o costretti a rispondere a qualsiasi stimolo, allora possiamo andare in ansia.”