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Italia

In Italia sono nati i primi centri di recupero per uomini che maltrattano le donne

Tra le varie battaglie per la parità di genere, quella contro la violenza sulle donne è sicuramente tra le più urgenti; e forse anche quella in cui diventa sempre più necessario un forte coinvolgimento maschile.
Una manifestazione contro il femminicidio a Bologna. [Foto via Flickr/Marco Monetti]

"Uomini—vorrei cogliere l'occasione di estendere un invito ufficiale. La parità di genere è anche un vostro problema."

Così parlava l'attrice Emma Watson nella sede dell'ONU di New York, il 20 settembre del 2014, per il lancio della famosa campagna HeforShe, in supporto dei diritti delle donne.

Tra le varie battaglie per la parità di genere, quella contro la violenza sulle donne è sicuramente tra le più urgenti; e forse anche quella in cui diventa sempre più necessario un forte coinvolgimento maschile.

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Allora nascono così, anche in Italia, servizi dedicati al recupero degli uomini violenti. L'ultimo, il centro ascolto "Uomini fuori dalla violenza", inaugurato lo scorso 14 marzo dalla Usl Umbria 2 a Terni, al centro di salute Colleluna.

Stando agli ultimi dati ISTAT pubblicati nel 2015, nel nostro paese quasi un terzo delle donne tra i 16 e i 70 anni (il 31,5 per cento) ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. E, secondo i dati, sono proprio gli attuali compagni o gli ex a commettere gli atti più gravi — in molti casi, anche omicidi.

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Questo martedì ad esempio è stato arrestato il marito di Stefania Amalfi, accusato di aver ucciso la moglie un anno fa, forse per incassare 30mila euro da una polizza assicurativa sulla vita.

A Firenze, domenica, un uomo si è tolto la vita confessando con un biglietto l'omicidio della moglie. E ancora, a Roma, soltanto pochi giorni prima, un altro uomo aveva ammesso di aver ucciso la moglie in un bar, con quattro colpi di pistola.

"La violenza di questo genere, dell'uomo nei confronti della donna, pesa fondamentalmente su una cultura che vede nel rapporto uomo-donna una disparità, per cui all'uomo sono permesse cose che non sono tipiche di un rapporto equilibrato," spiega Maurizio Bechi Gabrielli, uno degli psicologi impegnati nel progetto umbro "Uomini fuori dalla violenza."

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Con l'attivazione di un numero verde e l'apertura di due centri di ascolto, a Terni e a Narni Scalo, si tenta dunque di contrastare il fenomeno della violenza sulle donne partendo dalla riabilitazione dei colpevoli, offrendo loro una serie di colloqui individuali e, in seguito, la partecipazione a gruppi di confronto, condotti da operatori sanitari.

"Quello che abbiamo fatto è considerare queste persone come persone che possono essere aiutate, e non solo criminalizzate. Questo fermo restando che non esiste una lettura di questi comportamenti che in qualche maniera li giustifichi," precisa Bechi Gabrielli a VICE News.

"La prima cosa che diciamo alle persone che si rivolgono a noi è che la violenza non si discute, è negativa, va immediatamente abbandonata e la persona deve assumersi la responsabilità di voler porre fine agli atteggiamenti violenti."

Il centro è in contatto non solo con i centri antiviolenza locali dedicati alla tutela delle vittime, ma anche con la questura, i tribunali e le autorità locali, perché possano consigliare il servizio a chi ne abbia bisogno. Nonostante ciò, il percorso rimane completamente volontario.

Come sottolinea Bechi Gabrielli "se non c'è la disponibilità dell'utente, non si esce dalla situazione di violenza. Già l'uomo tende spesso a svalutare l'evento [violento], quindi deve esserci un'attivazione diversa. Noi non forniamo un alibi, del tipo: 'Vado lì perché così ottengo uno sconto della pena o vedo mio figlio.' Non vogliamo avere un ruolo strumentale."

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E se la presa di coscienza rispetto alla violenza rappresenta sicuramente il primo passo fondamentale, rimane anche la conquista più difficile.

"[Gli uomini violenti che si rendono conto di dover fare un percorso] non sono moltissimi," fa notare lo psicologo. Dal 14 marzo a oggi, Uomini fuori dalla violenza ha accolto finora un solo utente, arrivato lo scorso giovedì, su suggerimento di un giudice del tribunale minorile di Perugia.

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"Può anche essere che all'inizio [il percorso volontario] sia di natura strumentale, o perché la compagna lo obbliga o il tribunale lo spinge. Noi cerchiamo di lavorare sugli aspetti di motivazione al cambiamento: può essere la presenza di un figlio, se questo è l'atteggiamento che vuole mostrare o che ritiene più adatto per mantenere una relazione, che cosa si può fare per cambiare. Questo è lo sforzo, riconoscendo alla persona una potenzialità di essere migliore."

Lo psicologo inquadra il problema della violenza sulle donne come un fenomeno che si inserisce e viene alimentato all'interno di una cultura maschilista ancora piuttosto diffusa.

"L'unica possibilità è quella di rendersi disponibile verso gli uomini che cercano di uscirne e dall'altro fare opera di prevenzione, cercando di educare e costruire una cultura in cui la violenza di genere non sia considerata una cosa normale," spiega.


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Foto in apertura di marco monetti via Flickr in Creative Commons.