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Attualità

Ho visto il nuovo film di Moccia sui giovani con mia sorella, nata nel 2000

I libri (e i film) di Moccia non sono più in grado di raccontare gli adolescenti italiani. Fonte: un'adolescente italiana.
Niccolò Carradori
Florence, IT
Tutti i grab dal trailer del film, via YouTube.

Appartengo a quella generazione che nella prima metà degli anni Duemila ha vissuto l'influsso adolescenziale del "fenomeno Moccia" e di Tre Metri Sopra Il Cielo. Lucchetti a Ponte Milvio, capelli mossi fatti crescere a caso come Frodo per emulare Scamarcio, dediche amorose scritte a vernice sull'asfalto, compagne di scuola che si invaghivano dei teppisti degli istituti professionali sperando che avessero anche una vita interiore, e invece avevano solo citazioni per reati contro il patrimonio.

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Dei libri—e dei film ispirati ad essi—di Moccia si può dire tutto il peggio possibile: brutti, scritti male, banali, superficiali, ecc. Ma hanno comunque avuto un impatto piuttosto esteso, e questo è un dato di fatto: non sono ancora riuscito a capire per quale motivo, ma Moccia con tutti i suoi limiti grotteschi è stato sicuramente uno scrittore generazionale per un po' di tempo per una fetta della gioventù italiana. Riusciva a rispecchiare il modo in cui alcuni nati fra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta vedevano le proprie vite, o almeno come volevano che apparissero, e a 54 anni non ha ancora smesso di essere generazionale.

Giovedì scorso è uscito Non C'è Campo, il film con cui Moccia tenta di diventare il Virgilio di una nuova generazione: quella dei nati dopo il 2000, che secondo l'immaginario comune stanno sempre attaccati allo smartphone e passano il tempo a fare storie su Instagram e farsi infamare su Ask.fm. La sinossi del film è incredibilmente innovativa: una scolaresca di liceali dipendenti dai loro cellulari e dalla connessione internet va in gita per far visita a un artista "affascinato dall'imperfetto" in un luogo ameno in cui non c'è campo, e quindi deve scontrarsi con l'inesorabile dato di fatto che la vita è fatta anche di materia, di paesaggi rurali da ammirare, di sentimenti veri e di tutte quelle cazzate che pensano i cinquantenni mentre postano i meme buongiornisti su Facebook.

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Mia sorella minore è nata proprio all'inizio del 2000 e dal punto di vista anagrafico fa esattamente parte della porzione generazionale che Moccia tenta di rappresentare in questo film. Oltre ad avere una vita sociale molto più appagante e serena della mia alla sua età, mia sorella è completamente avvezza alle dinamiche esistenziali delle persone cresciute in un'epoca in cui essere costantemente connessi agli altri tramite internet è la totale normalità. Lei e l'altra mia sorella più piccola hanno un rapporto di simbiosi naturale e per niente ansiogeno con il loro smartphone, oltre a dei profili social con un numero infinitamente superiore di follower rispetto ai miei. Quando ho creato l'account Netflix, hanno voluto che glielo impostassi sui telefoni, e non sui laptop: una scelta che ancora io non riesco a calibrare, e che mi fa sentire anziano.

Per questo motivo ho deciso di andare a vedere il film insieme a lei, per capire quanto Moccia sia ancora in grado di catalizzare le pulsioni adolescenziali e che tipo di insegnamenti sulle nostre vite intossicate dalla tecnologia ci può fornire Non C'è campo.

Togliamoci subito il peso dell'analisi spicciola: il film è di una bruttezza quasi orgogliosa. Lo stampo è quello classico di tutti i prodotti mocciani, con personaggi stilizzati e orrendamente banali che fanno largo uso di un linguaggio e di un modo di fare che secondo l'autore dovrebbe incanalare le peculiarità di una determinata generazione. Quindi libero spazio ai neologismi internettari che nessuno utilizza più perché sono di uso talmente comune da essere scontati—e che ho il sospetto vengano inseriti nei film di Moccia solo per far tenere il passo alle donne di mezza età che per qualche motivo rappresentano una fetta del suo pubblico nonostante non siano mai state giovani nell'universo-Moccia (ce n'erano almeno una decina senza figli al cinema).

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C'è il tizio che fa continuamente vlog ed è ossessionato nel riprendere tutto il mondo esterno col telefono senza godersi la realtà, la ragazzetta innamorata che muore di paturnie se il fidanzato visualizza i messaggi ma non risponde e posta foto sui social con altre ragazze, il bulletto arrapato e sciupafemmine che è abituato a gestire le sue relazioni solo tramite applicazioni di appuntamenti online, ecc. E poi ovviamente c'è la solita retorica mocciana delle relazioni. Rapporti d'amore che sembravano solidi ma invece si rompono, rapporti d'amore che sembravano impossibili ma invece si creano, rapporti d'amore che si dovrebbero creare ma alla fine si rompono perché la vita va anche così.

Una formula che ha fatto la fortuna di Moccia, ma che su mia sorella sembra non avere effetto: "i protagonisti di questo film sono orrendamente sfigati. Anche quelli che dovrebbero essere fighi sono sfigati. Nessuno di quelli che conosco parla o si esprime così… sarebbero considerati dei reietti. Sono tutti dipendenti da internet ma sembra che nessuno di loro l'abbia mai usato o sappia come funziona. Sembra la trasposizione dell'idea che il babbo ha della mia vita."

A fare da contraltare alla parte dei giovani con lo smartphone nel film c'è la figura dell'artista che abita nel paesino ameno in cui non prendono i cellulari—interpretato da Corrado Fortuna—e che vive la vita in modo libero e senza ansie, perché è affascinato dall'imperfetto. Quello che fa nella pratica questo tizio è cercare di instradare gli alunni della classe verso attività ed emozioni che non prevedano l'utilizzo dello smartphone mentre cerca di accoppiarsi con Vanessa Incontrada (la professoressa). Spinti dall'esempio dell'artista, gli alunni protagonisti del film sperimentano una serie di situazioni che secondo Moccia non sarebbero passate loro per la testa se avessero avuto modo di usare il telefono.

Questa la sentenza di mia sorella riguardo alla parte riflessivo-esistenziale proposta dal film. "Allora, secondo il film di Moccia le possibilità che mi si parano davanti se limito la mia vita su internet e mi dedico a quella 'reale' sono le seguenti: ammirare campi tenuti a maggese in Puglia, giocare a calcetto con una lattina sul tetto di un palazzo, passare il tempo elogiando le proprietà organolettiche del caciocavallo, perdere un appuntamento con una ragazza che poteva piacermi e finire a giocare a burraco con dei vecchi in un bar, non avere modo di controllare l'attività social del mio ragazzo e perdere il senno per la gelosia. Bello schifo la vita senza smartphone."

Ma il vero punto paradossale di questo film, sta proprio in una piccola falla di trama. Non è vero che nel paese i telefoni non prendono totalmente: sul tetto di un palazzo il segnale arriva, e ogni sera tutti vanno lì per usare il telefono. Gli snodi reali della trama passano proprio dal fatto che un po' lo smartphone si può usare, e le relazioni fra i protagonisti vanno avanti grazie a questo. "Sono un po' basita sinceramente," mi ha detto mia sorella mentre tornavamo alla macchina. "È il film stesso che ti comunica come la vita con lo smartphone sia più interessante. Che senso ha questa roba? Perché abbiamo speso un'ora e mezzo del nostro tempo a fare questo? Abbiamo anche preso il diluvio per venire al cinema. Non coinvolgermi più nei tuoi articoli, per piacere."

Cercando di tirare le somme riguardo alla capacità di Moccia di rivolgersi alle nuove generazioni, quindi, posso dire che Non C'é Campo è un fallimento completo. Prendendo il campione incredibilmente rappresentativo impersonificato da una delle mie sorelle, posso dire che ormai Moccia non ha più la capacità di far sognare le nuove generazioni e instradarle verso una serie di fallimenti amorosi ed esistenziali in nome di sentimenti fasulli. Non esiste alcun tipo di attrattiva in questo film, né immaginifica, né di proiezione. Nessuno dei nati dopo il Duemila vorrà vivere un'adolescenza così come la immagina Federico Moccia, o prenderà la sue citazioni come spunto esistenziale. Un salto evolutivo importante.

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