Attualità

Perché Facebook sta bannando molte pagine italiane pro-curde?

Dopo l'offensiva della Turchia nella Siria del nord i contenuti pro-curdi stanno venendo rimossi o nascosti, a riprova del fatto che il meccanismo di moderazione di Facebook è sempre più problematico.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
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Un momento della manifestazione a Bologna contro l'offesiva turca in Siria del nord. Questa foto di Michele Lapini è stata rimossa e ripristinata su Instagram.

Nell'ultima settimana—in concomitanza con l’offensiva turca nella Siria del nord—si stanno moltiplicando le denunce sulla chiusura o sospensione di pagine Facebook di organizzazioni o reti pro-curde italiane, nonché di siti d’informazione e singoli giornalisti.

Tra i primi casi c’è quello di Binxet – Sotto il confine, pagina del documentario girato dal regista Luigi D’Alife che dal 2017 pubblica aggiornamenti sul Rojava. Poi è stato il turno del fotografo Michele Lapini, che si è visto rimuovere (e poi ripristinare) da Instagram la foto di un corteo anti-Erdoğan a Bologna, e successivamente è successo a pagine come quelle di Radio Onda D’Urto, Infoaut, GlobalProject, MilanoInMovimento, Ya Basta Êdî Bese e altre.

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In un comunicato congiunto delle pagine colpite, intitolato “La censura di Facebook aiuta la guerra di Erdoğan,” si legge che i contenuti cancellati evidenziavano “il sostegno alla causa curda” ed esprimevano “il legittimo dissenso a quanto sta succedendo in Siria del Nord a opera della Turchia.”

La giustificazione fornita da Facebook è la violazione degli standard della comunità. Ma se in altri casi recenti (su tutti, in Italia, la cancellazione degli account di CasaPound e Forza Nuova) la decisione è stata almeno motivata, qui appare meno comprensibile. Anche perché si muove su un piano diverso e molto più complesso del contrasto al suprematismo bianco o ai discorsi d’odio dell’estrema destra.

Il contesto da tenere in considerazione è, per l’appunto, la politica di moderazione dei contenuti pro-curdi (o che parlano di curdi tout court) sulla piattaforma. Ed è una gestione a dir poco ondivaga, che è già stato oggetto di numerosi articoli in diverse parti del mondo.

Nel 2013, giusto per fare un esempio, Al Jazeera parlava del “problema curdo di Facebook” e citava un documento interno risalente al 2012 che conteneva regole molte specifiche ed evidentemente ritagliate per il contesto turco. Tra queste, oltre alla rimozione di contenuti offensivi verso Atatürk, c’era l’eliminazione di ogni post che supportava il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) o ritraeva il leader curdo Abdullah Öcalan.

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In un articolo su BuzzFeed del 2016, che raccoglieva le critiche di alcuni attivisti curdi o pro-curdi nel Regno Unito che si erano visti bannare le proprie pagine, Facebook ha però spiegato che quelle regole sono “datate” e non riflettono più le attuali regole di moderazione. Il punto è cercare di capire a quali criteri siano ispirate le attuali cancellazioni di post e pagine pro-curde.

Nel saggio del 2017 Twitter and tear gas, la ricercatrice turca Zeynep Tufekci ha provato a far luce sulla questione. Come le ha confidato Richard Allan, un ex alto dirigente che ha lasciato il social network nel 2019, Facebook si rifà alla lista delle organizzazioni terroristiche stilata dal dipartimento di stato americano—lista che include anche il Pkk. Allo stesso tempo, Allan ha però garantito che vengono rimossi “i contenuti che inneggiano alla violenza.”

Per Tufekci, tuttavia, questa spiegazione non è affatto sufficiente. Esaminando alcune delle pagine curde rimosse nel tempo, scrive, emerge come Facebook “non riesca a distinguere tra propaganda del Pkk, contenuti sui curdi e la loro cultura, e notizie sul gruppo o sui conflitti armati.” E lo stesso, probabilmente, si applica anche per i contenuti delle e sulle YPG (Unità di Protezione Popolare), l’esercito curdo nella Siria del nord strettamente legato al Pkk.

Un altro motivo dietro la cancellazione di pagine e contenuti curdi potrebbe essere l’intensificazione delle segnalazioni nei momenti politici più caldi. Per Tufekci, può benissimo essere che “i nazionalisti turchi segnalino pagine curde dove ad esempio compaiono immagini di manifestazioni, e che i team di moderazione di Facebook che si occupano della Turchia le rimuovano per ignoranza o per simpatia con la causa nazionalista.”

Questa è solo un’ipotesi, perché la realtà è che non lo sappiamo fino in fondo. Ciò che sappiamo, tuttavia, è che i meccanismi di moderazione di Facebook sono oscuri, poco trasparenti, pieni di errori; e non è affatto raro che le pagine siano rimesse su e i contenuti ripristinati, con tanto di scuse.

In più, Facebook deve sempre navigare tre diverse sensibilità politiche e rispondere celermente alle richieste dei governi. Le cose si complicano ancora di più se tali richieste arrivano da regimi autoritari come quello di Erdogan, che mal sopportano la critica e la libertà d’espressione; e la Turchia, infatti, è tra i paesi che fanno più richieste di rimozione a Facebook e Twitter. Ma sono ugualmente complicate quando a farlo sono i governi di Stati Uniti o Israele, come ha recentemente notato il giornalista Glenn Greenwald su The Intercept.

L’enorme questione politica che sta dietro a casi come la rimozione delle pagine pro-curde (e non solo) è proprio questa: “Esattamente come fanno i governi,” scrive Greenwald, “queste aziende usano il loro potere di censura per servire, e non contrastare, le fazioni più potenti del mondo.”

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