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La guida di VICE alle Elezioni

Il peggio è successo, adesso che facciamo?

"Ancora oggi, per difendere l’indifendibile, chi come me ha votato PD si attacca a quei pochi, imperfetti provvedimenti che hanno dimostrato un'identità."
Foto di sfondo Wikimedia Commons. Foto di Matteo Renzi via Wikimedia Commons (CC BY 2.0).

Tutti i confronti elettorali tendono a vertere su grandi e risonanti promesse—talune realizzabili, talune meno. C’è proprio una sorta di linguaggio specifico, a tratti così efficace da ridurre sensibilmente il bisogno razionale di capire se effettivamente ci sia un concetto dietro. Sono parole che cominciano a risuonare con una certa insistenza, diventano immediatamente caratterizzanti di chi le pronuncia, si ricordano facilmente e non richiedono spiegazioni. Un piccolo esempio a caso: non credo sia mai esistito qualcuno che dopo aver sentito Salvini dire “ruspe!” si sia chiesto: cosa mai avrà voluto dire?

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Oppure ci sono espressioni che non possono non risuonare positivamente, non importa da che punto le guardi o quanto le si creda possibili, come “reddito di cittadinanza”. È una forma che basta da sola a evocare una visione ben precisa e soprattutto piacevole, già sufficientemente consolatoria da valere la croce.

E poco importa che l’impossibilità di attuazione di questo reddito di cittadinanza sia talmente cristallina da non richiedere obiezioni argomentate (non solo perché non c’è la copertura economica necessaria per la sua realizzazione, ma anche perché è un abuso lessicale che innesta cinicamente una brutta promessa elettorale—un sussidio di disoccupazione particolarmente vincolante, che prevede l’obbligo di accettare un lavoro fra i primi tre proposti per non perderlo—su un tema urgente come il reddito di base, universale e senza contropartita lavorativa, che con la cittadinanza così com’è intesa attualmente non c’entra nulla). Il reddito di base è una formula di sostegno storicamente contemplata da diversi modelli e su cui la riflessione è tutt’altro che morta. Quello proposto dai Cinque Stelle non è universale, e non è un reddito.


Guarda politici di Movimento 5 Stelle, PD, Lega e LeU parlare di giovani e lavoro:


Quello che importa, e che è vero, è la tensione sociale che soprattutto nel Sud Italia ha fatto sì che sia bastato dire “vi diamo i soldi senza lavorare,” perfezionamento di un berlusconianissimo modo di intendere la promessa elettorale, per ottenere percentuali di voto che qualcuno verso le quattro di notte da Mentana ha definito, credo abbastanza realisticamente, superiori a quelle del PCI nel 1976. Non c’erano altre idee alla base della campagna delle forze vincitrici; il binomio era piuttosto via gli stranieri/ecco i soldi.

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Chiaro, ma forse non abbastanza o non per tutti: di sicuro non per il centrosinistra, che ha coscientemente scelto di sottrarsi alla paura e alla richiesta di protezione dei suoi elettori.

Chiunque, credo, è in grado di riassumere in due parole quali siano le idee di Salvini in tema di migrazione. Sono terrorizzanti, sono sbagliate, ma sono chiare. Rispondono a un impulso forte e preciso, con una risposta altrettanto forte e precisa. Non è facile per un forza politica ragionevole mantenere un piano condivisibile con l’elettore quando altri mettono in campo messaggi così estremisti e oscuri, ma il Partito Democratico non ci ha neanche provato. Cosa pensa il PD delle problematiche legate all’accoglienza? Perché offre mille punti di vista deboli e contrastanti a un problema così urgente e sentito dalla popolazione? Se la rappresentazione che i media danno del fenomeno è parte del problema, perché non fare una priorità della diffusione di informazioni corrette? Perché le uniche soluzioni che sembrano emergere, cioè quelle di Minniti, hanno un’aria così estranea e destrorsa? Perché invece di rincorrere voti altrui inseguendo i populismi mentre si nega di starli inseguendo non si prova a elaborare una proposta forte, seria, coerente con la propria storia politica e la propria cultura? Una proposta giusta?

Ecco un piccolo segreto: agli elettori piace che le proposte abbiano un senso, che si possano distinguere dietro un provvedimento, un’identità e un pensiero generale, un modo condiviso di vedere il mondo, non una mera meccanica per rimanere a galla. Ancora oggi, per difendere l’indifendibile, chi come me ha votato PD si attacca come unica motivazione a quei pochi, imperfetti provvedimenti che davvero hanno dimostrato un'identità e portato del cazzo di progresso: i diritti civili, le norme sul biotestamento e poco altro.

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Quello che dimenticano gli eterni lamentatori di questi orribili miLLenniaL$ non interessati al voto è che generalmente chi si avvicina alla politica per la prima volta lo fa alla ricerca di un gruppo compatto di simili in cui riconoscersi, possibilmente con qualcuno al di sotto dei 105 anni che abbia una minima idea della realtà sociale che dovrebbe rappresentare, di un sistema etico chiaro in cui riflettersi, che sia in grado di fornire risposte comprensibili a interrogativi complessi, che sia in grado di formulare—sembra incredibile, ma è così—delle proposte per il futuro che generino entusiasmo e speranza.

Tornando per un attimo al lato economico: ci sono intere categorie di lavoratori escluse senza speranza dal dibattito politico, con possibilità di incisione prossime allo zero. E non parlo delle categorie tradizionalmente più deboli. I sindacati sono stati per secoli il canale di comunicazione della massa lavoratrice con il potere economico—una chiara dinamica d’espressione politica per la sinistra, un chiaro legame con la propria base, ma con un ruolo che negli anni si è consumato e svenduto fino a perdere qualsiasi significato nelle loro (sempre più esigua) area di riferimento. Il tutto, senza che sia stata elaborata nessuna forma di assistenza collettiva per le sempre più numerose categorie di lavoratori al di fuori del contesto di fabbrica e di lavoro dipendente in grandi realtà pubbliche. Il 100 percento dei lavoratori fra i 20 e i 30 anni che conosco non ha mai avuto un contatto, un vantaggio, uno scambio qualsiasi con un membro qualsiasi di un sindacato. In compenso, la stragrande maggioranza che lavora con partita IVA in situazioni di precarietà è stata dilaniata dalla tassazione come una gigantesca vacca sacrificale. Una delle applicazioni più concrete, reali e diffuse dell’idea che la sinistra aveva negli ambienti di lavoro si è polverizzata, tanto per dirne una.

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È anche per questo che le elezioni sono state almeno importanti, perché probabilmente hanno portato all’attenzione questo piccolo dettaglio sfuggito in questi vent’anni di sconfitte contro Silvione: non puoi pensare di definire politicamente la tua identità in esclusiva opposizione a qualcos’altro. Oltre che essere di una pigrizia intellettuale sconfortante, il noto “Votateci perché siamo meno peggio di *inserisci nome di personaggio surreale ma in testa ai sondaggi*” è probabilmente il messaggio elettorale meno sexy della storia (chiaramente, non considero all’interno di questo articolo l’operazione LeU, cioè “Vogliamo vivere” di Emilio Fede in chiave radical chic, e vorrei davvero avere l’ottimismo necessario per votare una formazione residuale come Potere al Popolo, che festeggia l’1,6 percento come un risultato significativo).

Ai miei amici e alla parte di me stessa che in infinite discussioni hanno manifestato la legittima volontà di “votare un partito davvero di sinistra” ho sempre risposto che hanno ragione, ma io preferisco vivere in un posto di sinistra—e quindi sono abbastanza interessata all’idea di vincerlo, un confronto elettorale, non di raccattare le briciole di consenso altrui. Ma visto che la capacità di autolesionismo del PD fa sembrare delle pippe quelli che s’appendono coi ganci ai soffitti, c’è chi (come Emiliano) ha ritenuto naturale ignorare il responso elettorale, aprendo a un governo con i Cinque Stelle dopo una campagna basata su un unico, efficacissimo “AAAAAAA NOOOOOO TUTTO MA NON I CINQUE STELLEEEE SALVA L’ITALIAAAA VOTA IL PD.”

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Ora, io sono una ragazza semplice, però così a occhio, i pochi elettori rimasti del PD sono rimasti quasi esclusivamente per fermare la minaccia di un governo Cinque Stelle e cominceranno a estrarsi lentamente gli organi vitali con dei ferri da uncinetto se questa alleanza si verificherà.

La sinistra deve ricostruire la sua identità se vuole tornare a essere efficace—non continuare a diluirla.

Ciò detto, non credo sia particolarmente utile eleggere un responsabile supremo dello sfascio della sinistra, né mi auguro nulla in particolare per il centro o per le ramificazioni più puriste, perché ritengo più o meno che tutta la sinistra così formata a livello di sigle sia ineluttabilmente destinata all’annichilimento e all’autodistruzione. Credo che nuovi soggetti politici cominceranno a popolare questa nostra martoriata scena, e forse allora ci sarà qualcosa di cui discutere.

È anche molto giusto che sia così, perché se c’è un messaggio che è venuto fuori chiaramente da questo voto è che le persone hanno voglia di veder governare i Cinque Stelle o chiunque altro non ci abbia ancora mai provato e ne hanno così tanta voglia che sono disposti a passare sopra il fatto che molto probabilmente non ci siano le competenze e gli strumenti.

Nel frattempo ci sono cose molto più urgenti del nostro Parlamento, peraltro. C’è da ricostruire un senso identitario accettabile dentro cui sentirci veri e comodi, e questo non accadrà nei pressi di Montecitorio. Quello che deve esserci chiaro è che senza la partecipazione personale non ne usciremo bene, non ne usciremo presto.

Sono tante le cose che possiamo fare per difenderci da questo futuro apocalittico che ci aspetta. Possiamo abbandonare l’idea che andare a votare una volta ogni cinquemila anni costituisca parte significativa della nostra azione politica. Possiamo discutere e informarci, possiamo chiedere che nelle scuole vengano insegnate le principali tecniche di advertising online e a operare un minimo fact checking sulle notizie, possiamo produrre e confrontarci, possiamo sbatterci e parlarci e fare rete, possiamo fare della cultura con qualsiasi mezzo abbiamo a disposizione.