Altro che Banda della Tartina. A Roma c'è un leggendario club che scrocca cibo come lavoro
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Altro che Banda della Tartina. A Roma c'è un leggendario club che scrocca cibo come lavoro

Vengono chiamati i Portoghesi. Si aggirano per Roma scroccando cibo agli eventi e hanno un loro codice di comportamento. Una storia romantica e nostalgica.
Andrea Strafile
Rome, IT

Hanno il loro codice, che serve a mantenere una facciata esterna per non scadere nel più puro scrocco.

Chiamateli Portoghesi.

Balene bianche dello scrocco italiano. Leggende saltellanti da una mostra all’altra alla ricerca dell’ultimo tarallo che risolve la cena. Dell’ultimo bicchiere di vino che fa dormire felici, come solo qualcosa di gratis sa fare.

Conosco tutti i loro nomi, ma ovviamente non li dirò. Non vorrei mai venissero sgominati come fu per la Banda della Tartina milanese: sono un ottimo diversivo quando il prosecco è di quelli col tappo di plastica e la mostra una noia mortale.

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Forse vi chiederete chi sono questi signori improbabili, cosa nascondono, da dove vengono.

Un anno fa avrete forse sentito parlare della Banda della Tartina: una sorta di club stranamente esclusivo che racchiude giornalisti ancora in gioco, a volte pensionati e altre ancora impiegati d’ufficio, che si riuniscono all’orario dell’aperitivo con l’intento di girare per mostre ed eventi per scroccare cibo a più non posso. Ora è il momento di parlare del loro corrispettivo romano.

Qui a Roma è lo stesso, ma con l’aggiunta unica di qualche vecchio nome del cinema: gente che ai tempi era più che conosciuta. A volte sulla bocca di tutti.

Pian piano ho scoperto come trovare tutte le aperture del giorno e così sono diventate parte integrante del mio calendario. Ero su ogni mailing list, mi ero munito dell’app di Artribune e sì, captavo i bisbigli del passaparola.

Le loro case sono in pieno centro, si trascinano con aria stanca ma soddisfatta dalle gallerie ai portoni massicci con quegli adorabili leoncini per bussare. Ritratto di solitudine portata allo stremo.

Qualche anno fa, quando ho iniziato a scrivere di ristoranti, mi capitava quasi ogni giorno di dover girare per il centro di Roma. E passeggiando per i vicoli sconosciuti alla mandria incontrollabile di turisti pelandroni (sappiate che vi odio, dal profondo), mi imbattevo in piccole gallerie d’arte che presentavano nuove mostre più o meno interessanti. C’erano opere, c’erano cose da spiluccare, c’era vino e avevo tempo a sufficienza per bere un paio di bicchieri prima dei miei appuntamenti.

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Pian piano ho scoperto come trovare tutte le aperture del giorno e così sono diventate parte integrante del mio calendario. Ero su ogni mailing list, mi ero munito dell’app di Artribune e sì, captavo i bisbigli del passaparola.

Erano importanti quanto le cene di lavoro, erano diventate una sorta di piacevole ossessione. Se la mostra era valida, mi arricchivo di novità, se era pacchiana, mi divertivo a bere e a schernire orrendi quadri. Ero arrivato a vederne tre, quattro per volta; guardavo la gente passare per dei saluti, perché interessata, e poi vedevo loro, sempre: da soli o in gruppo, i Portoghesi non mancavano mai. Loro osservavano me, io loro.

La prima volta che ne ho conosciuta una ero alla Festa del Cinema. Una vecchia attrice decaduta che tentava in tutti i modi di offrirmi lezioni di recitazione e di farsi offrire un caffè. Ai tempi la si trovava in diversi film horror, ora potete vederla bere e fumare quasi del tutto disinteressata del mondo esterno. Tutte le altre relazioni dirette, fatte di dialoghi quasi sempre tesi, che ho avuto con ognuno di loro erano volte a scoprire chi fossi. Perché mi comportavo nel loro stesso modo, ma non mi conoscevano?

Hanno tentato di farmi amico, non sapevano se la mia risposta “sono un giornalista” fosse vera; mi attaccavano e si ritraevano come il Minotauro che riceve visite nel labirinto. E io mi divertivo un sacco a fargli credere cose, a vedere fin dove si sarebbero spinti pur di non essere disturbati.

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Una volta ho visto una che apriva i panini, leccava il ripieno, li richiudeva e li rimetteva a posto pronti per essere mangiati da qualcun altro.

Non pensateli come un club, quanto piuttosto come una sottocultura con una contorta struttura gerarchica.

Non ho idea del perché si chiamino così, ma mi piace pensare a qualche storia di marinai portoghesi che venivano e razziavano tutto quello che si poteva trovare. E se non vi piace, chiamateli pure “merenderos”, letteralmente coloro che arrivano per fare merenda.

Hanno il loro codice, che serve a mantenere una facciata esterna per non scadere nel più puro scrocco. Si conoscono tutti, ma agli eventi, alle aperture o ai convegni, fanno finta di essersi appena incontrati.

“Oh, ma è un grande piacere, l’ho vista alle volte. Se vuole noi dopo si va all’ambasciata per un aperitivo con l’ambasciatore in persona, si unisca a noi”.

Tu li segui e te li ritrovi all’apertura di un negozio di cartoleria poco distante.

Partiamo dalle basi: come si riconosce un portoghese al primo sguardo?

Ognuno ha la sua identità e il suo stile, ma c’è una cosa che li accomuna tutti. Dal momento che sono professionisti del mestiere si confonderanno sempre tra la folla elegante di una galleria d’arte. Le giacche e le camicie sono di buona fattura, le cravatte, le pellicce e gli abiti da sera un obbligo. Ma saranno sempre i primi a fiondarsi dal cameriere per rubare quanti più stuzzichini possibili, le mani esperte capaci di tenere piatti e bicchieri pieni di vino tutto insieme.

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E quando portano il cibo alla bocca, chi più, chi meno, lo farà nel modo più disgustoso che possiate mai vedere in tutta la vostra vita. Si aggirano per la sala con le salse che colano da un lato della bocca e gli occhi spenti e si radunano in piccoli gruppetti così grotteschi da sembrare un vecchio film horror.

Dopo tanto tempo passato a studiarli nei minimi dettagli ho capito che non sono cani sciolti, hanno dei capi e delle regole.

C’è quello che chiamo il Presidente, uomo burbero e snob che coordina la truppa attraverso segnali segreti. Poi c’è l’Amministratore Delegato, uomo serio e impettito che sembra sempre in procinto di fare affari con chiunque.

Le donne sono più facili da scovare, perché non riescono a essere sobrie. La vecchia nobile dai capelli rosso fuoco sporchi, sempre provocante, gira con la madre decrepita. Le attrici cercheranno sempre di attaccare bottone, mentre le impiegate del Comune sono quelle che fingono di interessarsi davvero alle opere (o forse lo sono davvero chissà).

Ognuno ha la sua mania, le sue preferenze gastronomiche.

Il rapinatore si prende la ciotola intera e se la mangia da solo in disparte. La finta celiaca si appropria di ogni cosa senza glutine per fare la sofisticata, ma appena arrivano i piatti di pasta ne mangia a profusione.

Naturalmente ci sono i vegetariani, i pretenziosi, gli ubriaconi e la mia preferita: quella che di sera non mangia carboidrati. Per cui apre i panini, lecca il ripieno, li richiude e li rimette a posto pronti per essere mangiati da qualcun altro.

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Esistono anche delle differenze di comportamento a seconda del luogo, come una specie di etichetta. Se si è ad una mostra cercano di mantenere un certo contegno. Se la mostra è organizzata da enti pubblici, il cibo vola in sputacchi frequenti e se invece ci si ritrova all’opening di un nuovo locale, beh, allora lì si possono vedere cose straordinarie.

All’apertura di un locale non si limitano a mangiare finché lo stomaco non cede, nossignore. Si portano borsette e ventiquattr’ore vuote che a fine buffet riempiono fino a farle strabordare. In gran segreto o spudoratamente. La signora elegante coprirà i tramezzini con un tovagliolino prima di nasconderli, l’uomo metterà tutto in tasca e le nuove leve, eccessive come un film di Sorrentino, possono arrivare a dei livelli così alti che nemmeno a pensarci una settimana.

Giuro, non lo scorderò fin quando campo, ci fu quella volta in cui una donna ingioiellata tagliò del parmigiano direttamente dalla forma intera e ci riempì tutta la borsetta da sera.

Ed è in quel momento che ho deciso di non volerli vedere mai più, che i miei occhi avevano varcato una linea spessa tra umano e disumano.

Le creature leggendarie lo sono perché non hanno niente di ordinario. E ho avuto la fortuna di vederle da vicino, di parlarci, a volte. Chiamateli Portoghesi, immaginatevi le loro gesta ma ricordatevi di non disturbarli.

Sanno essere vendicativi, cerberi della notte movimentata.

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