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Politică

Abbiamo smontato i principali stereotipi italiani sull'Unione Europea

"Uscire dall'Euro salverà l'Italia", "la Germania vuole conquistare l'Europa" e "l'unico modo per ripagare il debito pubblico è tagliare la spesa."
Niccolò Carradori
Florence, IT
Pietro Amoruoso
illustrazioni di Pietro Amoruoso

Fra i sentimenti popolari che hanno segnato l'ultimo decennio italiano, quello dell'euroscetticismo è sicuramente uno dei maggiori. Dalla crisi del 2007/2008, e con l'avvento del governo tecnico Monti, si è aperto un dibattito enorme in cui la politica dell'austerity, le relazioni internazionali e i vincoli per far parte dell'area euro sono diventati parte integrante delle nostre vite.

Considerato che i rapporti di forza con l'Unione Europea saranno uno dei filoni principali dell'attuale governo, abbiamo selezionato e analizzato un po' i luoghi comuni italiani sull'Unione Europea. Dal reale potere esercitato dalla stessa alla possibilità di uscire dalla moneta unica, dalla natura dei vincoli economici che imbrigliano l'Italia all'idea secondo cui l'unico modo per salvare il paese è ridurre il debito pubblico attraverso il taglio della spesa.

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L'abbiamo fatto con l'aiuto del professor Fabio Sdogati, docente di Economia Internazionale al Politecnico di Milano e al MIP (International Business School del Politecnico di Milano). Da anni Sdogati gestisce un blog in cui analizza gli scenari economici mondiali, con posizioni che si discostano sia dagli euroscettici sia da chi valuta l'Unione Europea acriticamente.

LUOGO COMUNE 1: LA COMMISSIONE EUROPEA HA UN POTERE ENORME, E SCHIACCIA I SINGOLI STATI CON LE SUE POLITICHE L'immagine di una Commissione Europea dotata di poteri sovranazionali tali da annullare l'autonomia dei singoli stati è probabilmente il falso stereotipo che fa da cornice a tutti gli altri.

Alla base di questa credenza non c'è soltanto una visione irreale dell'attuale conformazione dell'Unione, ma anche una concezione di stato nazionale che, per quanto riguarda l'Italia e gli altri cinque stati fondatori, non esiste più dagli anni Cinquanta del Novecento. E che risale addirittura alla Pace di Vestfalia del 1648.

"Ancora oggi quando pensiamo a uno stato nazione, pensiamo all'immagine uscita da Vestfalia," mi ha detto Sdogati. "Ovvero una sedia che ha quattro gambe: la politica commerciale, la politica monetaria, la politica della regolamentazione del tasso di cambio e la politica fiscale. I sei stati nazione fondatori dell'Unione Europea non fanno la propria politica commerciale dal 1968 (quando entrò in vigore il Mercato Europeo Comune). E non fanno la propria politica monetaria e del tasso di cambio dal 1999 (quando entrarono in vigore le decisioni prese con il Trattato di Maastricht del 1992). Ai singoli stati, però, rimane ancora il quarto potere: scegliere riguardo alla spesa pubblica, e poter tassare o detassare le classi sociali che preferiscono. Un potere enorme. Al quale i politici nazionali difficilmente rinunceranno."

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Il rapporto di forza fra UE e singoli stati è dunque frutto di un equilibrio fra due poli. Ma pensare che il più forte dei due sia rappresentato dalla Commissione Europea è falso. "La forza esecutiva dell'UE è in sostanza un consiglio di subordinati ai capi di stato, che hanno poteri limitatissimi. Non sono dei politici." Per capire a cosa si riferisce Sdogati, basta osservare gli effettivi campi d'azione dell'UE e le restrizioni alla sua autonomia: su svariati aspetti, l'Unione non può intervenire senza il benestare dei singoli stati, e spesso basta il veto di un'unica potenza per annullare la capacità di movimento.

L'Unione Europea, insomma, è un potere monco. E lo è storicamente, visto che nel corso del tempo e dei trattati le singole potenze nazionali hanno quasi sempre cercato di limitare la crescita dell'Europa. I padri fondatori dell'Unione come Jean Monnet pensavano che la cooperazione economica fosse solo il primo passo per unire politicamente gli stati europei. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale si erano accorti che l'Europa aveva perso quasi tutta la sua autonomia in favore di Stati Uniti e Unione Sovietica: e con la prospettiva di un mondo sempre più globalizzato, comprendevano che l'unico modo che aveva la "piccola Europa" per competere con le altre potenze, era quello di stare insieme. Ma questa visione si è sempre dovuta scontrare con impronte nazionaliste—ne è un esempio il concetto di "Europa delle patrie" di Charles de Gaulle, o alcune delle odierne proposte della Germania. Non si parla quindi di un'Europa federalista, ma—ancora oggi dopo più di 70 anni—confederalista (ovvero in cui i singoli hanno maggiore autonomia). In questo senso, quindi, non sono i tecnocrati non eletti a dominare l'Europa, ma il contrario.

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Quando si blatera sulla mancanza di potere dei singoli stati dopo l'unione monetaria, e si sostiene che sia alla base dei disastri successivi alla crisi, basterebbe guardare questo video, in cui Giuliano Amato spiega quali siano state realmente le dinamiche in gioco ai tempi di Maastricht.

LUOGO COMUNE 2: L'ITALIA PRIMA DELL'EURO ERA UNA POTENZA ECONOMICA. DOBBIAMO RIPRENDERCI LA SOVRANITÀ MONETARIA, COSÌ DA POTER STAMPARE MONETA E CONTROLLARE FINALMENTE IL DEBITO PUBBLICO "La prima frase di questo stereotipo io la accetto," spiega Sdogati. "Ma va osservata bene. L'economia italiana dalla fine degli anni Cinquanta fino a parte degli anni Novanta ha giovato della liberalizzazione degli scambi internazionali, ed è andata crescendo. Era un'economia forte, imperniata però attorno a un modello industriale ad alta intensità di lavoro [ovvero imprese dove la maggior parte dei fattori della produzione è costituita da manodopera]. Mentre da Enrico Mattei in poi abbiamo cominciato a smantellare la grande industria di stato—che ci dava notevoli capacità—demandavamo quasi tutto alle piccole e medie imprese. Nella globalizzazione queste imprese non hanno la capacità di competere, perché sono poco produttive e non hanno potere di investimento. È stato con la mancata crescita tecnologica che noi abbiamo perso terreno, non con una moneta. Come adesso stiamo perdendo quello sulla digitalizzazione."

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Far coincidere l'inizio del rallentamento italiano solo con l'entrata nell'Euro, e non considerare i fattori industriali che rendono difficile all'Italia competere, è miope. "Dalla crisi del 2007-2008 l'Italia è il paese che progredisce più lentamente. Siamo ancora, come PIL pro capite, all’8 percento in meno rispetto ad allora. Non la Spagna, non il Portogallo, non l'Irlanda (la Grecia non la consideriamo perché è stata massacrata dalla crisi). Solo noi."

A questo punto, però, la seconda parte di stereotipo per alcuni continua a sussistere. Se non siamo strutturati industrialmente, perché non staccarci e riprenderci parte dei poteri che consentono di tutelare la nostra realtà?

"Ponendo la prospettiva di un'uscita dall’Euro dobbiamo guardare agli effetti di breve e di lungo periodo. Quelli di breve quali sono? I cittadini che possono permetterselo, e gli investitori stranieri, portano i propri soldi all’estero. E lo si è visto benissimo con i problemi delle ultime settimane: 38 miliardi che se ne uscivano dall’Italia. Un danno enorme."

Però, direte, almeno stampiamo la nostra moneta e controlliamo il debito pubblico. "Ma che senso ha stampare moneta? I nostri debiti, in particolare i debiti del governo, sono comunque denominati in euro. Cosa fa un governo che vuole introdurre una nuova moneta? Traduce i valori in euro nella nuova moneta. Quale che sia il tasso di cambio che si inventa, nella sostanza non si fa altro che portare via ai cittadini una moneta comunitaria, e creare carta straccia. Perché quella moneta non è accettata dai creditori internazionali come mezzo di pagamento. Quelli vogliono gli euro."

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Ultimamente, poi, si è molto parlato di minibot: una specie di moneta alternativa all'Euro proposta dalla Lega. Progettati da Claudio Borghi, secondo l'economista di fiducia della Lega rappresentano la porta d'uscita dalla moneta unica. In sostanza sarebbero dei Titoli di Stato al Portatore non convertibili in euro e di piccolo taglio ( tra i 5 e i 100 euro), che potrebbero essere usati per coprire parte dei debiti della Pubblica Amministrazione (per somme non superiori ai 25000 euro). Nelle teoria, secondo i leghisti, sarebbero un primo tentativo di trovare valute alternative all'euro, perché in diversi ambiti avrebbero il potere di sostituirlo.

Un esperimento già tentato vent'anni fa in Argentina, e che ha portato dei risultati disastrosi. "Nel 2001 l'Argentina creò il corrispettivo dei minibot, i cosiddetti Patacones (le patacche). L'unico effetto fu che i pesos in poco tempo si svalutarono mostruosamente, e le conseguenze di quella crisi si fanno sentire ancora oggi. La moneta argentina è in picchiata, e i politici sono di nuovo col cappello in mano dal Fondo Monetario Internazionale per farsi dare dei prestiti."


Prima delle elezioni, abbiamo rivolto ai candidati dei principali partiti qualche domanda anche sull'Europa:


LUOGO COMUNE 3: PER COLPA DELL'UNIONE EUROPEA E DELL'EURO, LA POLITICA ITALIANA È IN MANO AI MERCATI E AI POTERI OCCULTI

"Innanzitutto cominciamo col dire che il più grosso attacco al debito italiano è avvenuto nel 1992. Una svalutazione mostruosa. Dov'era l'Euro allora? Non c'era. Questi fenomeni sono sempre esistiti, perché i mercati sono sempre esistiti. Esistevano nel 1992, come nel 1971, quando dovemmo presentarci in ginocchio al Fondo Monetario Internazionale," puntualizza Sdogati.

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Fatta questa precisazione, bisogna tornare su un punto fondamentale: i paesi dell'Unione Monetaria sono particolarmente vulnerabili agli attacchi, perché l'Unione Europea è sempre stata limitata nel potere di protezione. Alla BCE è stato letteralmente impedito di comprare direttamente i titoli pubblici dei singoli stati in difficoltà (non stiamo parlando di Quantitative Easing, ovviamente). Un meccanismo di protezione che ad esempio avrebbe consentito di evitare il disastro greco (per una spiegazione più dettagliata di come sarebbero potute andare le cose all'epoca se l'UE avesse avuto più autonomia, c'è un video dello stesso Sdogati).

Ma non solo: esiste un sistema di controllo dei conti pubblici in mano alla Commissione Europea. Nel 2004 Barroso chiese di potere irrobustire i controlli—per prevenire proprio situazioni come quella greca—ma gli venne negato. Ancora una volta, quindi, l'Italia non è assoggettata ai mercati per colpa dell'UE: ma a causa della spinta sovranista dei singoli stati.

LUOGO COMUNE 4: LA SOGLIA DEL 3 PERCENTO DEL DEFICIT SUL PIL È UN PARAMETRO ECONOMICO SCELTO CASUALMENTE E IMPOSTO CON LA FORZA, CHE DANNEGGIA I "PIIGS"

In un documentario di qualche anno fa sulla situazione dei cosiddetti PIIGS—narrato Claudio Santamaria e con contributi di Noam Chomsky, Yanis Varoufakis ed Erri De Luca—si analizza l'origine di uno dei vincoli economici stabiliti a Maastricht per consentire ai singoli paesi di entrare nell'Unione Monetaria: quello della soglia del 3 percento del deficit sul PIL.

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Intervistando Guy Abeille—il creatore, negli anni Ottanta, di questa formula economica che era stata adottata dal governo francese—si viene a sapere che in effetti il parametro fu scelto quasi causalmente. E che non ha basi teoriche in grado di poterne spiegare l'efficacia.

Questo è un fattore importante nella retorica degli euroscettici: se uno dei parametri che vincolano e stritolano l'economia italiana—per entrare passammo dal 10,9 percento al 3— fu scelto casualmente, dicono, siamo in mano a un sistema campato in aria. E che serve a distruggere i "PIIGS."

"Riguardo a questa questione," dice Sdogati, "bisogna comprendere un fattore fondamentale. Non sono le regole a fare le economie, ma le contrattazioni. La retorica italiana vuol far sembrare che questo parametro sia stato imposto, ma al tavolo erano seduti anche i nostri rappresentanti. Non esiste alcuna cultura della contrattazione in Italia. Noi non discutiamo: accettiamo delle regole, e quando ci stanno strette vogliamo qualcuno che sbatta i pugni sul tavolo e le rinneghi."

Questa incapacità vale per tutto l'asse politico: il primo governo Prodi accettò parametri economici deleteri, mentre il Regolamento di Dublino—quello che sta incendiando la questione dell'immigrazione in questi giorni—fu firmato dal governo Berlusconi nel 2003.

"Quando si parla di questo parametro come deleterio, poi, non si deve far più riferimento ai PIIGS. Ma alla sola Italia. Mentre fino al 2015 esistevano i PIIGS, oggi ci siamo solo noi. La Grecia sta facendo la figura della vergine del mondo perché ha sputato sangue ma si sta riallineando, il Portogallo ha uno spread negativo nei nostri confronti, così come la Spagna. Non parliamo poi dell’Irlanda che sta andando molto bene. Ancora una volta, dobbiamo chiederci perché l'Italia non riesca a stare al passo. Non può essere un regolamento o una moneta. Guardiamo i portoghesi: hanno fatto politiche di deficit, esattamente come noi urliamo di voler fare, e oggi hanno una situazione finanziaria molto migliore della nostra. Il punto è che nelle unioni bisogna saper discutere."

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LUOGO COMUNE 5: LA GERMANIA DOMINA L'UNIONE EUROPEA, DISPREZZA L'ITALIA, E ADOTTA POLITICHE CHE LA DANNEGGIANO PER ARRICCHIRSI

L'idea secondo cui la politica europea sia sostanzialmente la politica tedesca è piuttosto diffusa. E non solo fra gli euroscettici. Le frange più estreme di quest'ultimi, però, dipingono la Germania come un paese egemone in senso tirannico: per Diego Fusaro, ad esempio, la politica estera ed economica tedesca è una sorta di nazismo economico.

Queste teorie vengono poi infiammate dalle terribili uscite di alcuni giornalisti tedeschi, e sono state avvalorate dalle posizioni austere dell'ex ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble.

"Da tempo sostengo che certe politiche portate avanti dalla Germania sono dannose per l'Unione Europea," esordisce Sdogati. "Ma in generale quando si tratta di conflitti fra nazioni, io tendo sempre a svelenire gli animi. E a mettere l’accento sul fatto che il processo europeo procede lentamente perché sono tutti i politici a volere che sia così. Quindi, per forza di cose, anche quelli tedeschi. Tutti impongono delle soluzioni più o meno su scala nazionale e protezionista. Non cooperativa. E quando succedono disastri, come in occasione del bailout della Grecia, se ne pagano le conseguenze. Chiunque abbia seguito da vicino le dinamiche di quel 'salvataggio', sa benissimo che in realtà vennero salvate le banche tedesche e francesi, non lo stato greco."

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Fino a quando i singoli stati non smetteranno di perseguire semplicemente i propri interessi, continua il professore, "vedremo una Germania che fa la cattiva. E politici italiani che attribuiscono errori di causa a delle finte correlazioni. "

Il professor Sdogati, poi, evidenzia come l'inizio delle guerre intestine riguardo al colpevole delle politiche che hanno portato a questa disparità—il famoso spread—sono iniziate nel 2007. Non con l'entrata dell'Euro. La verità è che fino alla crisi, i parametri economici di tutti i paesi dell'area euro si stavano avvicinando fra di loro. L'unione monetaria, insomma, stava funzionando. È la mancanza di strutture in grado di sopperire al costo della crisi, che ha messo in sofferenza il sistema.

Il grafico mostra l'allineamento nei parametri economici dei vari paesi dell'area euro dall'introduzione dei vincoli di Maastricht, fino alla crisi del 2007-2008. Immagine Via.

LUOGO COMUNE 6: RIDURRE IL DEBITO ATTRAVERSO IL TAGLIO DELLA SPESA È LA PRIORITÀ ASSOLUTA

Questo non è uno stereotipo euroscettico. È il mantra portato avanti di chi è completamente acritico nei confronti dell'Unione Europea e delle sue politiche di austerità, e addossa all'Italia tutte le responsabilità.

"Bisogna innanzitutto rendersi conto che lo stato non è una famiglia," mi dice Sdogati. "Una famiglia che ha dei debiti ha solo due modi per eliminarli: o spende di meno, o lavora di più. Perché non esiste alcun legame di covarianza fra reddito e spesa. Per uno stato la cosa è completamente diversa. Se uno stato decide di chiudere cinque ospedali di una regione, si deve poi pensare a dove mandare i medici, gli infermieri, le ditte delle pulizie, le cooperative che forniscono i pasti. L’impatto sull’economia è gigantesco, e genera la reazione incattivita e violenta di quelli che oggi vengono definiti populisti nei confronti dell’Unione Europea."

L'allarmismo riguardo al debito è conseguente ai problemi sistemici di questa Unione Europea. Il problema non è quindi il concetto di struttura sovranazionale, ma la natura di questa struttura. Affidarsi ciecamente alle dinamiche estere, dando per scontato che gli altri abbiano un'idea più chiara di come risolvere i problemi rispetto a noi—e che non soffrano in parte delle stesse spinte nazionaliste—è un atteggiamento che ricalca quello secondo cui la Germania è una "nazione usurpatrice." Solo al contrario.

Sono quindi atteggiamenti basati su sensazioni, idee vaghe, e sentimenti popolari. E finché sussistono, è difficile progettare un'Unione Europea che vada oltre le sterili procedure e conferenze intergovernative.

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