Qualche mese fa un amico mi chiama e mi dice “ma vogliamo andarci a mangiare lo spaghetto col soffritto da O’Russ a Sant’Eframo Vecchio?”Per me - e presumibilmente anche per voi - stava parlando coreano, o comunque una lingua a me ignota e incomprensibile.A zuppa ‘e carnacotta” è il piatto tradizionale per eccellenza della classe proletaria; veniva preparato con gli scarti delle carni nobili donate al popolo dalla famiglia reale di Napoli in segno di magnanimità
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Dopo aver subito 20 minuti di analisi e critica della mia napoletanità, accetto l’invito, ma eravamo sotto Natale ed ero troppo impegnata a imbottire di ragù i cannelloni e a sgozzare capponi per il brodo e quindi rimandiamo. A parte gli scherzi, qualche mese dopo decido di andare a conoscere di persona colui che a Napoli tutti chiamano ‘o mast, l’imperatore della trippa, ma che dopo quest’esperienza, io ho deciso di ribattezzare come TRIPPADVISOR.
E così, spinta da una grande curiosità, mi sono messa in cammino verso Piazza Carlo III insieme ad Alessandra, quella ragazza mora che da circa un anno cerca disperatamente e con grande pazienza di immortalare la mia faccia (mentre mi abbuffo) nella sua versione migliore.Usciamo dalla fermata Museo della linea 1 della metro e ci incamminiamo su Via Foria, superiamo l’albergo dei poveri alla nostra sinistra e arrivate a Piazza Carlo III seguiamo la stradina che sale di fronte alla questura della polizia stradale (Via Bernardo Tanucci). Dopo una decina di metri sulla destra, mi affaccio e in fondo ad un vicolo ecco che subito leggo: DA ANIELLO, LA FONTE DELLA TRIPPA, scritto a caratteri cubitali sulla vetrina del negozio.
Si, ok, tutto bellissimo. Ma chi è Aniello?Una volta entrate e fatte le dovute presentazioni, Mauro mi racconta subito che suo padre Aniello, comincia a mettere a frutto la sua arte di carnacottaio nel 1945. Aniello all’epoca aveva solo diciott’anni e viveva a Casoria con i suoi genitori dove la prospettiva lavorativa era quasi nulla. Ma lui, dotato di fantasia e spirito d’iniziativa, decise di avviare un’attività tutta sua posizionandosi col suo carretto di trippa e centopelle al centro di Napoli, alle spalle di Palazzo Fuga, e cominciò a preparare da mangiare per i tranvieri che uscivano dal deposito Atan una volta finito il turno.
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Da lì poi si spostò in Via Tanucci dove aspettava l’uscita dalle sale del cinema Corallo, offrendo cuoppi di trippa sale e limone ai passanti a pochi centesimi.
La signora Lena, moglie di Vincenzo il primogenito di Aniello, interviene dicendo che suo suocero era una persona molto responsabile e precisa.
Aveva messo a riparo la sua trippa da polvere, venti e intemperie con dei vetri e si era anche procurato un grosso contenitore d’acqua con il quale la sciacquava continuamente così da mantenerla sempre fresca e pulita.
Negli anni mandava avanti la sua attività con l’aiuto soprattutto della moglie Anna (Ninarella ‘a rossa) e del suo primogenito Vincenzo Daniele, altrimenti detto‘O RUSS perché aveva appunto i capelli rossi come sua madre.Nel 1968 Aniello aprì il suo primo locale a un centinaio di metri dal luogo in cui compare oggi la taverna, dove cucinava principalmente “‘A zuppa ‘e carnacotta”, che è il piatto tradizionale per eccellenza della classe proletaria, infatti veniva originariamente preparato con gli scarti delle carni nobili donate al popolo dalla famiglia reale di Napoli in segno di magnanimità. È un piatto antico e poverissimo fatto con trippa, interiora e frattaglie varie, sedano, carote, cipolle, peperoncino e una spolverata di parmigiano. Viene servito in una scodella ampia e profonda, solitamente su delle fette di pane raffermo.
‘A zuppa ‘e carnacotta veniva anche chiamata ‘A zuppa ‘e zandraglie perché sotto la dominazione francese i cuochi gridavano “Et voilà les entrailles, magnatevelle!” parlando con le donne che venivano dai quartieri spagnoli a litigarsi gli avanzi, che si sbracciavano e urlavano creando scompiglio. Da lì infatti nasce il termine "zandraglie", ancora oggi molto utilizzato dai napoletani, che indica appunto donne che urlano e si agitano in modo molto plateale.
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In alternativa alla zuppa ‘e zandraglie Aniello cucinava anche “’A Pusecchia”, che non è altro che la versione rossa, ossia con il pomodoro, della zuppa di carne cotta.
Su una parete del locale, appesa in un angolo, c’è anche una poesia che a un certo punto recita:
Beh, è proprio così: c’è da leccarsi i baffi e anche il piatto fino all’ultima pellecchia di pomodoro.Aniello si trasferì qui a Via Sant’Eframo Vecchio nel 1995, dove tutt’ora Vincenzo insieme al fratello Mauro, alla moglie Maddalena (Lena), alle figlie e al genero Marco, prosegue la tradizione di famiglia.Oltre alla zuppa di carnecotta noi abbiamo assaggiato, in ordine, la Trippa alla Buonocore, che nasce dal piatto base trippa, sale e limone, arricchito con olive verdi, gambetti di sedano, carote alla julienne, cipolle e pomodorini a crudo. Il trionfo della callosità.“Po’ te fanno na pietanza,
lloro a chiammano ‘a pusecchia,
tu t’allicche a int’o piatto,
fino all’urdema pellecchia.”
Poi è stato il turno della trippa con le patate, forse il piatto più tenero e delicato di tutti.E per finire, ovviamente non potevamo farci mancare gli spaghetti con il soffritto. Il soffritto viene detto anche zuppa forte e il suo ingrediente base è la coratella di maiale, cioè tutte le frattaglie del maiale, a partire dal fegato per arrivare alla trachea (lo so è hard core per i più sensibili d'animo e di stomaco). 'O suffritt perché i pezzi di carne dopo che sono stati lavati sotto l'acqua vengono soffritti a fuoco vivo in un mix di strutto e olio evo.
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La pasta era “azzeccosa”, ma la consistenza dei pezzi di maiale era fenomenale, il sugo anche, era tutto al punto giusto. Viene fatta sempre con gli avanzi, ma quelli del maiale stavolta.
Ma la cosa più bella arriva quando devi pagare: i prezzi, davvero bassi per la media e per la qualità, siamo sui 4 o 5 euro a piatto.Ora comincio a capire perché il locale è sempre pieno nonostante sia molto spartano.
Lena a fine pasto mi fa entrare in cucina e mi presenta alle figlie che mi regalano qualche minuto del loro tempo facendomi vedere cosa stanno rimestando nei loro pentoloni.
Mentre scattiamo qualche foto immagino i loro figli proprio lì, in quell’unica sede, a raccontare a qualcun altro con la stessa cordialità e gentilezza la storia delle tre generazioni che li precedono.Segui Paola su InstagramSegui Alessandra su Instagram
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