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Qualcuno spieghi agli italiani chi era McCain

Sabato scorso è morto il senatore repubblicano John McCain: in molti lo stanno esaltando come un esempio.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Sabato pomeriggio è morto a 81 anni il senatore repubblicano John McCain, il candidato che aveva sfidato Obama alle presidenziali del 2008. Veterano di guerra, e membro del congresso dal 1987, è stato per almeno un ventennio uno degli esponenti più famosi e discussi del Partito Repubblicano—aveva corso alle primarie contro Bush anche nel 2000—e della politica statunitense in generale.

Un uomo di destra "vecchio stampo", eletto in uno degli stati—l'Arizona—storicamente più conservatori del paese; e un politico "di rottura" che si è spesso presentato come outsider rispetto anche all'establishment del suo stesso partito.

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Come è normale che sia, in queste ore i tweet e i messaggi di cordoglio sono stati molti, anche nel nostro paese. Ma quello su cui si sta concentrando un gran numero di persone nell'esprimere dispiacere per la morte di McCain—anche solo indirettamente o velatamente—è il contrasto fra la sua figura e quella di Donald Trump.

McCain, infatti, è stato uno dei politici americani di destra che ha più osteggiato Trump in questi due anni. Per citare soltanto un episodio, è stato uno dei soli due senatori repubblicani contrari allo smantellamento dell'Obamacare—la riforma sanitaria creata da Obama—voluto dall'attuale presidente USA. Il senatore vedeva Trump come un populista senza scrupoli, amico di Putin, ed esecrava i suoi modi grotteschi e offensivi di fare politica. Uno scontro culminato nella richiesta esplicita di McCain di non far presenziare Trump in qualità di presidente al suo funerale. E nel rifiuto, da parte di Trump, di utilizzare la parola "eroe" nel comunicato ufficiale di cordoglio per la sua morte.

Il messaggio che sembra trasparire dal cordoglio comparativo di molti tweet, servizi del tg e articoli, insomma, è quello relativo alla perdita di un politico di destra come non se ne vedono più. E i toni, in questo senso—almeno a me—sono sembrati quasi elegiaci. Anche da parte di avversari politici e ideologici di McCain.

Prendiamo l'Italia: molti esponenti del PD hanno salutato il senatore come una specie di esempio della politica americana. "Solo preghiere, rispetto e commozione," ha twittato Renzi; "leader repubblicano che ha sempre messo al primo posto i valori dell’America e del mondo libero," ha scritto Paolo Gentiloni.

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In queste ore sono girati diversi video in cui si tenta di evidenziare l'esempio di politica "morale" offerto da McCain. Due lo spiegano meglio degli altri: il famoso discorso tenuto dopo essere stato sconfitto da Obama—in cui dichiara che rispetterà sempre il presidente anche se dissente dalle sue idee—e soprattutto quello in cui lo 'difende' dall'accusa di essere "un arabo" pronunciata da un'elettrice durante un Town Hall Meeting della campagna elettorale. "È una persona per bene," risponde McCain.

Si è enfatizzato, quindi, il suo rispetto per gli avversari (anche se il rispetto per un avversario modulato opponendo "arab" a "decent man" non è un grande esempio, eh?), e la sua devozione verso le cariche pubbliche. Sempre con l'ombra di Trump a fare da contraltare.

Ora: non per fare i cinici a tutti i costi, ma l'avversione pubblica verso l'attuale presidente degli Stati Uniti e il rispetto verso Obama bastano a inquadrare McCain come esempio politico? Pur rispettando il lutto, in una situazione come questa è giusto chiedersi che tipo retorica si stia utilizzando, e per quale motivo. Perché McCain era così diverso da Trump, nella sostanza? Quali erano i "valori dell’America e del mondo libero" che perseguiva? Non era un populista come Trump?

Per capirlo è utile ricordare il percorso politico del senatore americano: che, devo dirlo, in questi due giorni in molti hanno cercato di mitigare. Veterano del Vietnam, McCain doveva buona parte del suo successo politico—almeno mediaticamente—al suo essere stato un prigioniero di guerra. Catturato ad Hanoi nel 1967, con due braccia e una gamba spezzate, McCain divenne oggetto di un gioco diplomatico: suo padre era diventato il comandante di tutte le forze navali americane nel Pacifico, e i nord vietnamiti volevano utilizzare la sua liberazione come merce di scambio. Ma McCain rifiutò di farsi liberare per rispettare il codice militare. Rimanendo prigioniero per altri cinque anni, in condizioni disumane.

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Questo episodio drammatico ed eroico della sua carriera militare gli fu estremamente utile quando si presentò come candidato alle primarie repubblicane del 2000. All'epoca, infatti, McCain era "la grande speranza populista" della politica americana, come lo definisce David Foster Wallace in Forza Simba!, un lungo reportage sulla campagna elettorale del senatore. Era il politico che si autoproclamava come restauratore degli "antichi valori americani"—propaganda antiabortista, controllo quasi inesistente sulla vendita delle armi, annullamento dei finanziamenti alla televisione pubblica, negazione dell'idea secondo cui l'orientamento sessuale debba essere inserito come aggravante nei crimini d'odio, incremento esponenziale della spesa militare ecc ecc—e che lo faceva tramite una retorica interamente basata sulla sincerità, la genuinità, e slogan come "riconsegnare il paese al popolo". Proprio in qualità di veterano che aveva dimostrato ampiamente come fosse capace di sacrificarsi a scopi più alti, e che dava ai suoi colleghi dei disonesti e dei ladri perché si facevano finanziare dalle lobby. Vista in prospettiva, insomma, McCain non appare proprio come un paladino che si ergeva contro i populisti.

Ripensiamo al video in cui difende Obama dall'accusa di essere "un arabo", e ricordiamo che si è trattato di un politico che per anni, pubblicamente, si è riferito agli asiatici con il termine "musi gialli", che si è schierato a favore della cancellazione del Martin Luther King Day e che è stato protagonista di spot elettorali come:

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Nel saggio Gook: John McCain's Racism and Why It Matters Irwin A. Tang analizza il personaggio politico McCain, e ne esce un quadro abbastanza desolante. Quello di un repubblicano con rapporti piuttosto ambigui con i suprematisti bianchi, che si batte per la libertà di esporre la bandiera dei confederati, e che ha spinto e appoggiato ogni guerra che gli americani hanno anche solo lontanamente ipotizzato.

Ora, non stiamo facendo un processo post-mortem della politica di McCain. Quello su cui vale la pena riflettere, piuttosto, è questo: sembriamo ormai globalmente dominati da questa "intelligenza da sciame" per la quale basta che un esponente politico sia avverso al personaggio negativo del momento per dar vita a un processo di rivalutazione e onorificenza. In un contesto in cui la memoria politica, le idee, i fatti passati sono materiale che può essere anche manipolato per un fine attuale.

È solo una questione formale? McCain va stimato e apprezzato di default perché i suoi modi erano più rispettosi degli avversari politici, e non si avvicinavano alle grottesche trovate comunicative di Donald Trump? Dal mio punto di vista, se siamo arrivati anche solo a chiedercelo, forse non vorremmo realmente conoscere la risposta.

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