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Cannabis

Quando Salvini era a favore della legalizzazione della cannabis

Dai Comunisti Padani al lancio di Scuole Sicure​, il pensiero di Salvini sulla droga è cambiato radicalmente.
Rielaborazione grafica della foto di Matteo Salvini (originale via Wikimedia Commons, licenza CC BY 3.0 it)

Ieri, annunciandolo con un tweet contro gli “spacciatori di morte,” il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha presentato al Viminale il nuovo piano "Scuole Sicure." Si tratta di un programma straordinario per combattere il consumo e lo spaccio di droga attraverso lo stanziamento di 2,5 milioni di euro per incrementare i controlli, assumere agenti della polizia locale e potenziare gli impianti di videosorveglianza nei pressi delle aree scolastiche.

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A leggere la circolare ministeriale in cui si spiegano i dettagli del piano, mi sono venute in mente diverse cose. Come la grande campagna antidroga lanciata nel 2016, quella fatta di perquisizioni nei licei di tutta Italia e criticata da professori e associazioni per la sua inutilità—a fronte, peraltro, di scarse quantità sequestrate. O il livello del dibattito dopo il caso del ragazzo di 16 anni di Lavagna, che nel 2017 si è tolto la vita dopo che in un controllo all'uscita da scuola gli avevano trovato una decina di grammi di hashish in tasca. O la narrazione mediatica che ne è seguita, basata su tutorial dal titolo “Cosa fare se tuo figlio si fa le canne” ed editoriali che sottolineavano che “la 'canna' è droga. È la chiave che apre la porta della perdita di sé stessi e del proprio futuro. È l'inizio della dipendenza. Porta al crac, all’eroina, alla cocaina, passando per ecstasy e pillole.”

Questo tipo di narrazione non ci ha abbandonati nemmeno oggi. Come scordare l'incontro dal titolo “L’erba della morte,” una sorta di processo alle droghe leggere patrocinato dal Comune di Piacenza, partecipato da politici locali e senatori leghisti? In linea con questa dialettica è altrettanto indimenticabile il recente articolo di Antonella Boralevi su La Stampa, dove sottolinea che siccome “farsi è, per non pochi adolescenti, un’attività come un’altra, un modo per restare nel gruppo, per non farsi prendere in giro,” allora “l’idea del ministro Salvini di far presidiare a polizia e carabinieri le scuole, ha senso. Funziona.”

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In mezzo a tutti questi ricordi, legati a doppio filo al tema del proibizionismo, ce n’è uno che sembra stonare. In una puntata di Coffee Break del 2014, Matteo Salvini si dichiarava pronto a parlare di un’eventuale legalizzazione delle droghe leggere. Il che è abbastanza incredibile, per chi oggi si fa paladino della tolleranza zero a braccetto con il nuovo responsabile droghe del governo, Lorenzo Fontana, e dice di non fare distinzione tra droghe pesanti e leggere in pieno stile giovanardiano.

Eppure quel “parliamone”—pronunciato quattro anni fa—non è frutto di un lapsus, o di un improvviso colpo di calore causato dalla testardaggine di voler indossare la pesante felpa STOP INVASIONE sotto la calura dei riflettori televisivi. Al contrario, l’apertura di Salvini alla legalizzazione era già avvenuta in altre occasioni.

“Noi ci rapportiamo alle tematiche classiche della sinistra, dalla forte presenza statale alla liberalizzazione delle droghe leggere,” diceva un 25enne Salvini in un’intervista del 1998 al Sole delle Alpi. L’attuale leader del Carroccio, a quei tempi, aveva appena concluso l’esperienza da consigliere comunale a Milano e ricopriva l’incarico di capolista del movimento dei Comunisti Padani. Era un altro Salvini, insomma, lo stesso che—a suo dire—frequentava il Leoncavallo e che in una seduta della giunta comunale aveva difeso le migliaia di ragazzi che erano scesi in piazza contro lo sgombero del centro sociale.

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Il Salvini legalizzatore è durato per qualche anno, poi c'è stato il cambiamento radicale. Nel 2015, un anno dopo la sua stessa apertura alle droghe leggere nella trasmissione di La7, l’attuale vicepremier parlava così: “Sono contrario a qualsiasi tipo di apertura a qualsiasi tipo di droga.” Una chiusura apparentemente totale, ma che nella realtà dei fatti rivelava la transizione in corso—non ancora conclusa—nella testa dell’ormai ex legalizzatore Salvini, che si dichiarava ancora favorevole alla cannabis terapeutica: “Se per i medici è utile, sono d'accordo. Ma non come svago."

"A Milano c'è il sindaco Giuseppe Sala del Pd che dice di essersi fatto le canne. Mi sembra che l'emergenza del Paese sia seminare 'maria' e farsi due canne,” ha dichiarato il leader del Carroccio lo scorso anno. “La gente chiede lavoro, vuole cancellare la riforma Fornero, la gente è arrabbiata per gli aumenti dei pedaggi autostradali, non ce n'è uno che mi ferma per chiedere di legalizzare le canne. Le droghe sono droghe,” ha ribadito qualche mese fa, mentre a inizio estate ha dato il via alla sua personale guerra contro i negozi di cannabis light, definiti "come i centri massaggi cinesi, che mascherano dei veri e propri bordelli.” Nessun riferimento, invece, alle mafie, che Salvini ha detto di voler combattere e che, ricordiamolo, vedono nel traffico di stupefacenti la loro maggiore fonte di reddito in Italia.

Quello che stupisce, in tutta questa situazione, è che il proibizionismo di Salvini sia arrivato proprio quando sono sempre più evidenti e certificati i benefici della legalizzazione—in termini di medicina, lotta alle mafie e introiti per lo stato, con fior fior di case studies positivi provenienti dall’estero. Al contrario, il Salvini legalizzatore apparteneva a un’era in cui i vantaggi dell’antiproibizionismo erano sì già chiari, ma fermi a un piano teorico e in attesa di un banco di prova.

Oggi l’ex legalizzatore Matteo Salvini preferisce militarizzare le scuole, aprendo una nuova, ennesima stagione di war on drugs. E la sensazione è che anche i suoi compagni di governo, dal Ministro del Lavoro Luigi Di Maio al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede—entrambi firmatari nel 2015 della proposta di legge sulla legalizzazione—stiano vivendo il suo stesso trapasso proibizionista.

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