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Collage by Vice. Tutte le foto di Alessandra Mustilli per Munchies 
Cibo

Il mio tour di Procida, per scoprire come si mangia e utilizza uno dei limoni migliori d'Italia

Dal limoncello con le foglie dell'albero all'insalata di soli frutti: il limone campano non è solo quello di Sorrento, e questo giro fra bar e ristoranti ve lo proverà.
I nostri insani food tour in tutta Italia, alla ricerca del cibo di strada migliore o ricette iconiche senza tempo.

A Procida il limone non si compra. Anche se non hai il giardino o non hai una pianta di limoni (cosa molto rara) comunque c’è sempre quella del vicino.

Se tutto il mondo conosce ormai i celeberrimi limoni di Sorrento, non si può dire la stessa cosa per quelli di Procida. La sfida con la fedelissima Alessandra, dopo frittatine di pasta e trippa di Napoli, è quella di raccontare quest’isola spesso in ombra rispetto alla Costiera.

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Qui i limoni hanno l’albedo (la parte bianca tra la buccia e la polpa) talmente spesso che viene chiamato “il pane del limone”. Dovrebbe essere la parte più amara e invece è così dolce che il frutto lo mangi a pezzi.

Quindi invece di pubblicare i vostri lookbook in costiera amalfitana (amalfitani senza offesa eh, VVB) con addosso i vostri vestiti col pattern di limoni - che ho anche io - fareste bene a venire qui a farvi un giro qui. Perché i limoni di Procida sono speciali; hanno una nota dolce in più dovuta al terreno vulcanico dell’isola.

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L'Isola di Procida. Tutte le foto di Alessandra Mustilli per Munchies

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Perché sarà pur vero che Procida è una piccola isola in mezzo al mare, ma l’idea che viva solo di pesca locale è un falso mito. Per farvi capire vi tocca qualche cenno storico: Procida ha subìto un po’ la stessa storia di Napoli, dal punto di vista delle dominazioni straniere, ma le incursioni che soffrì di più furono quelle dei Saraceni nell’alto Medioevo.

I procidani dovettero abbandonare le loro case nell’entroterra per trasferirsi sul promontorio della Terra Murata che, con le sue mura di 91 m di altezza, era l’unico punto dell’isola in cui potersi rifugiare. E l’economia, per questioni difensive, cambiò da marittima a rurale, trasformando Procida in un unico enorme campo coltivato.

Oggi il limone per Procida è un po’ come il pomodorino del Piennolo per Napoli, lo mettono ovunque, lo usano per fare tutto e non c’è Procida senza limone.

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Ora non si sa precisamente chi fece arrivare i limoni sull’isola, se è un retaggio dei romani che lo consideravano un “frutto prezioso” o se invece li impiantarono poi gli Arabi, come nel resto dell’Italia meridionale. Fatto sta che insieme ai carciofi e alle viti (qui si produceva un ottimo biancolella, ad oggi è rimasto giusto qualche vitigno), Procida era totalmente coltivata a limoni.

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Chi non si imbarcava sulle navi rimaneva qui a lavorare la terra e viveva di quello. Oggi il limone per Procida è un po’ come il pomodorino del Piennolo per Napoli, lo mettono ovunque, lo usano per fare tutto e non c’è Procida senza limone.

LA LINGUA DI BUE AL LIMONE DEL BAR ROMA

David – dopo capirete di chi si tratta – viene a prenderci al porto direttamente all’uscita del traghetto; grazie Davide che ci hai scarrozzato per tutta l’isola.

Prima tappa: Bar Roma.

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La lingua di Bue del Bar Roma a Procida

Una delle cose che più amo della vita è senz’altro la colazione e una delle cose che più amo di Procida è senz’altro la colazione a base di lingua di bue.

La lingua di bue (chiamata anche “lingua di suocera” – si dice da qualcuno che non amava particolarmente il proprio parente acquisito) è un dolce tipico procidano inventato agli inizi degli anni ’60. È fatto di dorata pasta sfoglia croccante esterna che racchiude al suo interno una scioglievolissima crema al limone.

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Ricorda un po’ il carattere dei procidani, scostante e irascibile fuori, ma buono e generoso dentro. Ferdinando IV di Borbone addirittura diceva che Procida inizia con la lingua e finisce con la chiaia (la spiaggia) intendendo che le male lingue procidane producevano delle vere e proprie piaghe. Ad ogni modo ne esistono diverse varianti, c’è anche quella con la crema pasticcera o quella al cioccolato, ma per me l’originale al limone non si batte. Oggi è un prodotto di denominazione comunale ed è il simbolo della pasticceria procidana. Ogni volta che approdo sull’isola non vado via senza averne mangiata una al Bar Roma.

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“Due caffè e due lingue al limone, grazie!”

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È ancora calda, la spezzo e mi sale prepotente il profumo di limone su per le narici. La sfoglia scrocchia sotto i denti e poi finalmente la crema. LA CREMA.

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Il Bar Roma fa la lingua al limone da 60 anni e ancora nessuno è riuscito a farne una migliore. Ne mangerei una seconda e poi una terza e una quarta, ma i tempi sono stretti ed è il momento di andare.

IL LIQUORE ALLE FOGLIE DI LIMONE: IL FOGLIOLI’

Nella ricetta tradizionale del limoncello a Procida si metteva anche qualche foglia, così hanno fatto una prova mettendo soltanto le foglie e dopo vari tentativi ecco un liquore che esalta fortemente il limone, pur essendo meno zucchero e molto più digestivo.

David Lubrano, classe 1981, nato a New York ma dalle radici procidane, dopo 10 anni lontano da Procida è tornato a vivere nella sua terra. Da tre anni insieme a sua moglie Cinzia produce il Fogliolì, un liquore la cui ricetta prende spunto dalla ricetta del limoncello, ma che in realtà è fatto soltanto con le foglie di limone (senza bucce).

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Una bottiglia di Fogliolì, il limoncello fatto con le foglie del limone di Procida

Purtroppo David è in fase di trasferimento per cui non possiamo vedere il suo bel limoneto ma ci facciamo ospitare volentieri all’interno dello splendido giardino di limoni dell’Hotel Tirreno.

“Siamo stati parecchi anni fuori prima di tornare a Procida. E siamo tornati proprio con l’intenzione di fare qualcosa che fosse legato al territorio. Da qui la scelta del limone procidano”  mi dice David.

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Davide e una foglia di limone

Cinzia mi racconta che quando erano a Firenze per loro era sconvolgente dover comprare un kg di limoni, pure cerati, e doverlo pagare 4 euro. A Procida è una cosa che non si compra. Anche se tu non hai il giardino o non hai una pianta di limoni (cosa molto rara) comunque c’è sempre quella del vicino.

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Cinzia mentre racconta del business Fogliolì

David e Cinzia all’inizio volevano fare un limoncello fatto bene. Nella ricetta tradizionale del limoncello a Procida si usava mettere oltre alle bucce anche qualche foglia, e così hanno fatto una prova mettendo soltanto le foglie e dopo vari tentativi è venuto fuori questo liquore che esalta fortemente il limone ma che è totalmente diverso dal limoncello: meno zucchero e molto più digestivo.

Gli chiedo come nasce lavoro azienda: “Ci siamo subito resi conto che il Fogliolì era una novità e quindi abbiamo portato avanti il progetto, abbiamo fondato la società Agre Procida, poi abbiamo creato il marchio e ci siamo inizialmente appoggiati ad una distilleria in Campania (Antica Distilleria Russo). Abbiamo iniziato con pochissime bottiglie; poi è tutto cresciuto in  maniera inaspettata. Specialmente a Procida è diventata una tappa turistica: chi viene qui lo assaggia, lo compra e lo porta a casa. Ma anche a Napoli le principali enoteche lo hanno in carta.”

Intanto David ha versato il fogliolì in dei bicchierini: è verdognolo e la consistenza sembra meno viscosa di quella del limoncello.

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“Stiamo facendo la nuova bottiglia che sarà trasparente perché molti buyer che lo hanno provato hanno avanzato la perplessità che non potendo vedere il colore, è più difficile venderlo al cliente finale. Anche se la bottiglia scura ci ha un po’ aiutato a proteggerlo, il colore. Di fatto il sapore non cambia e la qualità del prodotto resta integra, ma la clorofilla con l’esposizione ai raggi solari si modifica.”

Provo a mettere il bicchierino al sole per qualche istante e in effetti dopo poco il liquore diventa di un giallo acceso quasi fosforescente.

È mezzogiorno del 28 luglio, sto grondando sudore nonostante l’ombra degli alberi che mi sovrasta e sento intorno a me come il rumore di qualcosa che si scolla – probabilmente la mia anima – ma non resisto e bevo.

La prima nota che sento è erbacea. È molto alcolico (32 gradi) e fresco allo stesso tempo, non ti lascia la bocca impastata, anzi te la pulisce. Cinzia mi dice che c’è stato chi le ha detto che da piccolo aveva l’abitudine di masticarsi le foglie di limone e che bevendo il Fogliolì ha provato la stessa sensazione.

Tranquilli, lo so cosa state pensando, volete la ricetta.David ahimè non vuole svelarmi le quantità, ma gli ho scucito gli ingredienti

Gli ingredienti del Fogliolì:

  • Molte foglie di limone stagionate (non quelle fresche appena germogliate ma quelle più scure)

  • Poco zucchero

  • Acqua

  • Alcol
  • *

Macerazione di una settimana
Conservazione 40 giorni
No aggiunta di coloranti o agenti chimici

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Cariche di bottiglie ci infiliamo in macchina di quel sant’uomo di David. NEXT STOP: CORRICELLA

IL RISTORANTE PIÙ ANTICO DELLA CORRICELLA: LA GRAZIELLA

Potrei scrivervi un componimento poetico sulla Corricella. Sul fatto che Troisi ci girò il suo ultimo film Il Postino (in molti la ricordano solo per quello), sul suo intreccio di casette colorate, sui pescherecci, le reti, le gradinate, gli archi, i gatti che si strusciano tra le gambe e la dimensione atemporale in cui ti proietta tutte le volte. Ma non ce n’è bisogno, perché la verità è che le foto iconiche su Instagram e la gente che viene qui soltanto per dire “ci sono stato” purtroppo la allontanano da chi la ama davvero e la vive nella sua autenticità.

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La Graziella, il ristorante più antico di Procida

E la maniera più autentica è rappresentata da un gigantesco piatto di spaghetti coi limoni a La Graziella. La Graziella è il ristorante più antico della Corricella. Nasce nel 1964 da un’idea del padre di Vincenzo in onore della moglie Graziella. Tra l’altro nome molto comune a Procida; lo scrittore francese Lamartine scrisse un romanzo omonimo a fine ‘800  che raccontava la sua storia d’amore autobiografica con Graziella, donna procidana per antonomasia, bellissima, dai tratti mediterranei, fedele e solare.

“Ecco il nostro lavoro, un lavoro operaio” mi dice Vincenzo porgendomi il pane. Li vedi tutti questi ristoranti 4 stelle? Io le stelle le guardo solo la sera”

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Vincenzo

All’inizio La Graziella era il ritrovo dei pescatori di rientro dalla giornata di lavoro, qui si giocava a carte ed era più che altro un bar con il forno a legna per le pizze. “Poi con la morte di mio padre l’ho rilevato io.”  Vincenzo si è seduto a tavola con noi e mentre parla io aspetto trepidante e salivante il mio fabbisogno giornaliero di pasta: devo riprendermi dai 32 gradi del fogliolì.

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“Man mano con il tempo ho dato la possibilità ai miei due figli maschi di gestirlo e li ho messi in società. Poi il più piccolo ha lasciato e si è imbarcato, mentre il più grande è rimasto qui e ha cominciato con la cucina vera e propria, abbiamo tolto la pizza e abbiamo cominciato ad utilizzare i prodotti del territorio. In particolare i limoni.”

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La pasta alle vongole con particolare sulla quantità di limone presente

Nel frattempo la tavola sembra la cena de “La grande abbuffata”: spaghetti limoni di Procida e menta, spaghetti cozze e limoni, spaghetti limoni e alici, spaghetti friarielli e limoni.

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Pasta con Alici e Limone

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Pasta Vongole e Limone

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Pasta al Limone e Menta

Mi fiondo, Alessandra mi segue a ruota; vi giuro è davvero difficile ricordare che siamo qui per lavoro.

PODIO:

  1. COZZE E LIMONI UBER ALLES
  2. ALICI E LIMONI
  3. LIMONI E MENTA
  4. 1.

FRIARIELLI E LIMONI: non classificato non per scarsa bontà, ma perché è stato l’ultimo che ho assaggiato e la calura che cominciava a salire dal pavimento, annebbiandomi la vista e alterando il gusto

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“Ecco il nostro lavoro, un lavoro operaio” mi dice Vincenzo porgendomi il pane. Li vedi tutti questi ristoranti 4 stelle? Io le stelle le guardo solo la sera”

LO SPAGHETTO AI RICCI DI MARE E LIMONE: LA GORGONIA

Avevamo la necessità di avere i limoni sull’isola. I procidani erano per lo più naviganti e a bordo c’era sempre bisogno dei limoni. I limoni guarivano dallo scorbuto.

Stavo per cedere all’abbiocco post abbuffata, mi sentivo leggermente satolla ma dovevo rimanere impavida – pensateci bene quando insistete nel dirmi “fai il lavoro più bello del mondo”. Ci spostiamo qualche metro più a sinistra verso quello che è forse il mio ristorante preferito dell’isola: La Gorgonia. Il nome deriva dal greco gorgòne e indica quelle ramificazioni di coralli di cui i fondali procidani sono pieni e che somigliano ai capelli delle Gorgoni, creature della mitologia greca con serpenti al posto dei capelli.

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L'insegna di Gorgonia

Aniello lo ha aperto nel 1989, il locale ha praticamente la mia età e da 30 anni tutte le sere la madre di Aniello scende ancora a cucinare.

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Aniello

Qui viene a mangiare un target di clienti molto variegato: tedeschi, svedesi, inglesi, procidani e napoletani, ma il cliente medio è francese (infatti La Gorgonia ogni anno conferma la sua fama di ristorante “melting pot” sulla guida Le Routard).

“Noi però non nasciamo come ristoratori, ma come marittimi” mi dice Aniello “e per questo avevamo la necessità di avere i limoni sull’isola. I procidani erano per lo più naviganti e a bordo c’era sempre bisogno dei limoni. I limoni guarivano dallo scorbuto.”

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Intanto mangio una  bella insalata di limoni. Vedo la vostra diffidenza…Qui i limoni hanno l’albedo (la parte bianca tra la buccia e la polpa) talmente spesso che viene chiamato “il pane del limone”. Dovrebbe essere la parte più amara del frutto e invece è così dolce che mangiarli così, a pezzi, belli maturi e conditi con un po’ di cipollotto, menta e peperoncino fresco è una goduria. Sono così buoni che la regina Vittoria si faceva portare i limoni fin da Procida.

Aniello mi racconta che addirittura quando era bambino andava in giardino a cogliere i limoni, li sbucciava e li mangiava a morsi, al massimo li tagliava a pezzi e ci metteva un po’ di zucchero sopra.

Ok mi sento già meglio, quel limone calloso mi è scoppiato in bocca manco fosse la festa di Sant’Anna. Proseguiamo.

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Le alici marinate al limone che ho davanti mi guardano e parlano.

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“Con che criterio hai fatto il menu del ristorante?” Chiedo. “Procida era il carcere dei Borboni - Terra Murata divenne un carcere per mano di Ferdinando II di Borbone - , che coltivavano soprattutto a vite, patate, carciofi e limoni. Il mio menu è molto legato ai prodotti della nostra terra e del nostro mare. È un menu tradizionale, ma che funziona e quindi negli anni non l’ho mai cambiato molto.”

La prossima portata ha per me una valenza speciale: da novembre a marzo (periodo di chiusura) io non aspetto altro che venire qui a godermi il mio spaghetto ai ricci di mare.

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La pasta limone e ricci di mare

In realtà il periodo migliore per mangiarli è proprio a luglio, nei mesi di maggio e giugno vige il fermo biologico della pesca del riccio di mare, sia perché sono i mesi di riproduzione sia perché negli anni ne è stato fatto un prelievo eccessivo da parte dei pescatori professionali e dei pescatori sportivi - isolani e non. Ma dal primo luglio campo libero.

La parte commestibile del riccio di mare sono ovviamente le gonadi, ossia quella polpa arancione tenue un po’ densa e pastosa che a vederla è quasi raccapricciante. A mangiarla però è un’altra storia.

Ve lo dico, qui ci vogliono palati sensibili ma rozzi, forti del desiderio di sentire tutto il mare del mondo in bocca. Arrotolo la prima forchettata e…com’è che faceva quella canzone? Poi d’improvviso venivo dal riccio rapito, e cominciavo a volare nel cielo infinito….AH NO.

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Quello che amo di questo posto è che ha un’offerta culinaria di un livello molto alto senza mai farne un vanto, senza mai essere ammaliante ma sempre onesto.

Ah quasi dimenticavo! Anticamente la ricetta degli spaghetti ai ricci di mare si faceva con le tagliatelle fatte in casa e soprattutto indovinate con cosa? Ma con il limone procidano naturalmente!

Aniello ci ha conservato la sua ricetta originale e io non perdo tempo e la trascrivo solo per voi (bugia).

Tagliatelle ricci e limoni di Procida

Ingredienti:

  • Tagliatelle (fatte in casa)
  • Olio
  • Aglio
  • Menta
  • Limoni di Procida
  • Ricci di mare
  • Sale (q.b.)
  • *

Procedimento

Salare abbondante acqua, portare a bollore e cuocervi le tagliatelle.

Nel frattempo tritare dell’aglio e rosolarlo in padella con poco olio, aggiungere la menta tritata finemente e aggiungere i ricci. Poco prima che la pasta giunga a cottura aggiungere al composto dei ricci qualche goccia di limone procidano. Scolare la pasta molto al dente e amalgamarla con poca acqua di cottura. Disporre in un piatto da portata e decorarla con spicchi di limone di Procida e menta fresca. A questo punto era necessario un pit stop. E che fai sei a Procida a fine luglio e non te lo fai un bagno a mare alla Chiaiolella?

IL LIMONETO: CARMINE SCOTTO DI CARLO

Raccolgo un limone da terra, è delle dimensioni di un pallone da calcio e avrà il peso specifico del ferro

Parentesi tuffi a cufaniello e piedini nella sabbia a parte è tempo di cultura contadina.

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Carmine, appartiene a una delle famiglie più antiche di Procida, gli Scotto di Carlo, e nella sua proprietà ha un limoneto che si estende per mezzo km quadrato. Marittimo anche lui dal 1970, come l’80% dei procidani nati a cavallo tra gli anni ‘50 e ’60, quando è tornato definitivamente nella sua terra ha cominciato a coltivare limoni.

“Prima gli alberi di limoni a Procida si coltivavano in altezza, nella struttura “ad ombrello”, si costruiva un telaio di legno attorno e si piegavano i rami, così la pianta proteggeva se stessa, i limoni stavano tutti sotto. Mentre a Sorrento costruivano dei palchi e ci mettevano una rete sopra per proteggerli dalla grandine.”

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Carmine e Paola nel limoneto

Raccolgo un limone da terra, è delle dimensioni di un pallone da calcio e avrà il peso specifico del ferro. Ecco perchè l’epiteto di “cape ‘e criature”.

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Carmine mi spiega che il mercato dei limoni una volta era molto fruttuoso ma poi non ha retto e si è saturato, “non li volevano, erano troppo grossi” mi dice. Hanno provato poi a piantare delle piante di agrumi provenienti dalla Sicilia e dopo una ventina d’anni sono diventati come quelli procidani, ma è normale “È la terra che comanda”.

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Il limoneto di Carmine ha ospitato anche un progetto dell’università di agraria di Napoli: hanno prelevato dei germogli di limoni e li hanno puliti da ogni malattia in laboratorio, poi hanno interrato delle piantine e mettendoci delle marse hanno fatto degli innesti. L’innesto viene fatto sempre su piante selvatiche come il cedrangolo nel periodo che va da luglio a settembre, si aspetta che la buccia del frutto scrocchi un pochino e si spacchi aprendosi come un libro.

“Uno lo hanno piantato qui. Questo è un puro limone di Procida.”

Riassumendo: due lingue di bue, due bottiglie di Fogliolì, un gallone di vino contadino e due buste di limoni di pane. Siamo pronte a tornare a casa.

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