Cultura

Un po' di stranieri spiegano cosa li ha spinti a trasferirsi in Italia

Quali sono i vantaggi della vita in Italia per chi ci si trasferisce per studio o per lavoro? Abbiamo chiesto a un po' di persone cosa le ha stupite, e cosa cambierebbero.
Niccolò Carradori
Florence, IT
trasferirsi in italia
Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati.

Per un po’ ho frequentato un forum in cui persone anglofone sulla trentina, per lo più americane e canadesi, si confrontavano sui propri piani per trasferirsi in Italia. Molte richieste erano di un candore invidiabile, altre suggerivano che gli autori avessero studiato tutto nei minimi dettagli, fino ai confronti sui prezzi delle panetterie nella zona di Pontassieve in cui progettavano di comprare un casale. Tutti, però, erano accomunati dall’attrazione per lo “stile di vita italiano.”

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In questi decenni l’Italia ha prodotto tantissimi espatriati, ma anche il numero delle persone che dall’estero si stabiliscono qui per studiare o lavorare è cresciuto con costanza.

Ho pensato di intervistarne alcune, per capire come sono finite in Italia, cosa hanno capito vivendoci e quanto è probabile che decidano di restare.

CAROLINE, 28 ANNI (DALLA DANIMARCA)

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VICE: Come e quando hai deciso di trasferirti a Milano?
Caroline:
Sono venuta per finire un master, studiavo economia e marketing. Era da tempo che pensavo che mi sarebbe piaciuto vivere in Italia—parte della mia famiglia (non di sangue, ma per scelta) vive in Toscana—e questa occasione è stata il momento giusto. Poi mi sono innamorata, ho trovato lavoro, e mi sono costruita una vita. Ho fatto molta fatica a capirlo, ma ormai mi trovo così bene che non mi vedo altrove.

Prima di stabilirti qui cosa ti piaceva dell’Italia?
Lo stile di vita. Cercavo “la dolce vita”, per usare un’espressione comune. Una quotidianità meno rigida, che ti consenta di goderti di più le cose che fai. Io poi amo mangiare, e quindi...

Com’è stato il primo impatto?
In realtà normale, perché sapevo già cosa aspettarmi. Ho frequentato spessissimo la Toscana da quando avevo dieci anni, e a Copenaghen avevo molti amici italiani. Quindi conosco abbastanza la vostra cultura. E mi piaceva molto: le relazioni, la gestione del tempo libero...

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La cosa che continua a stupirmi in negativo, però, è quanto le cose siano lente. Si sente sempre parlare della burocrazia italiana, e a ragione: sto qui da quasi cinque anni, e non ho ancora ricevuto né la carta d’identità, né la tessera sanitaria. È una cosa a cui è difficile abituarsi.

Secondo te cosa dovrebbe sapere una persona prima di trasferirsi in Italia per un periodo?
Che le città italiane sono molto diverse fra loro, e soprattutto lo sono rispetto alle province. Vivere a Milano è come vivere un paese differente, quindi bisogna avere ben chiara l’idea di dove ci si deve trasferire, perché lo stile di vita cambia molto.

In cosa potrebbe o dovrebbe migliorare l’Italia?
Allentando un po’ il legame con le tradizioni. Per quanto sia bella la tradizione Italiana, è anche un freno. Lo vedo anche nel mio lavoro, il mondo della cucina [Caroline si occupa di comunicazione nel mondo della ristorazione]. Mi piace molto il detto “la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri.” Fuori dall'Italia c’è più spazio per la sperimentazione, la curiosità, il rischio. Credo che da questo punto di vista potrebbero essere fatti molti passi in avanti. 

ALEC, 49 ANNI (DALLE BERMUDA)

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VICE: Cosa ti ha spinto a voler vivere in Italia?
Alec:
Avevo conosciuto una ragazza italiana, e per molti anni ho fatto viaggi per venirla a trovare, quindi ho avuto modo di confrontarmi con la cultura italiana nel corso del tempo.

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La cosa che mi ha spinto a restare è lo stile di vita. In tutti gli altri paesi in cui ho vissuto, come il Regno Unito, c’è meno rispetto per la dimensione umana. Mi sembrava che in Italia ci fossero più pause, più spazio per se stessi.

È stato difficile ambientarsi?
In realtà no. L’unico ostacolo forse è stata la lingua. E devo dire che trovo ancora complesso riuscire a capire come funziona la vostra politica. È molto ingarbugliata.

Sul lavoro [Alec è un tecnico del suono e delle telecomunicazioni] noti molte differenze? C’è qualcosa che vorresti cambiare?
Mi trovo meglio qui. Si lavora seriamente, ma senza caos. C’è più flessibilità. Sempre dal punto di vista del mio lavoro, la cosa che cambierei sono le infrastrutture per sostenere lo sviluppo tecnologico. Non è possibile che in alcune aree sia così difficile collegarsi ad internet.

Cosa consiglieresti a una persona che vuole venire a vivere in Italia?
Di comprendere fin da subito che il ritmo della vita è diverso, perché venendo dall’estero questo aspetto cambia molto. Se uno capisce questi ritmi, integrarsi diventa più facile.

Come vedi il tuo futuro? L’Italia è una tappa, o credi che vorrai vivere qui per sempre?
Ormai sento l’Italia come casa mia.

ZHABILA, 29 ANNI (DALL’INDONESIA)

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VICE: Perché hai deciso di venire a studiare in Italia?
Zhabila: È stata, diciamo, una scelta di “convenienza”. Volevo fare un master e lavorare nella moda, e tra le città più importanti per questo settore, Milano era più economica rispetto a Londra e Parigi.

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Che idea avevi dell’Italia?
Non ero mai stata in Europa, quindi non ne avevo un’idea precisa. Le mie aspettative erano legate al fare nuove esperienze, conoscere una nuova cultura, e farmi nuovi amici.

Quali sono state le maggiori difficoltà nell’impatto iniziale?
La lingua! E tutte le componenti burocratiche: periodicamente c’è qualche nuova rottura di scatole che devi affrontare per rimanere qui. Una mia amica indonesiana tempo fa mi ha chiesto quali fossero i passaggi burocratici per trasferirsi: non sono riuscita a dirglieli con precisione neanche io che ci sono passata. 

E quali sono invece le cose positive che hai scoperto?
Molte. La cosa che mi piace di più dell’Italia è la sua diversità: viaggiando scopri tantissimi luoghi, con caratteristiche uniche. Il cibo cambia tantissimo.

Quali sono le principali differenze fra l’Indonesia e Italia?
Il riso [ride]! Infatti non mi piace il risotto, perché è troppo cremoso: molto diverso rispetto a come mangiamo noi il riso. A parte gli scherzi, ci sono alcune differenze. Gli indonesiani sono amichevoli, ma più timidi. I giovani, poi, non hanno tutto questo desiderio di andare a vivere da soli dopo i 30 anni, spesso restano con la famiglia. Il mio è anche un paese molto più legato alla religione, mi sembra. 

Vedi il tuo futuro qui?
È una cosa su cui ho riflettuto molto in quest’ultimo periodo. A volte penso di sì, che la mia vita sarà meravigliosa qui, a volte invece mi spaventa, perché mi sento lontana da casa.

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MAHER, 30 ANNI (DALL’EGITTO)

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VICE: Tu hai viaggiato molto, e parte della tua famiglia vive negli Stati Uniti, ma alla fine hai scelto l’Italia.
Maher:
Quando tre anni fa ho deciso di lasciare Alessandria d’Egitto per terminare gli studi, ho pensato a un paese europeo per non essere troppo lontano da casa. In Italia il settore dell’ingegneria chimica va fortissimo, quindi è stata una scelta legata alle opportunità universitarie e lavorative.

Prima di arrivare che idea avevi dell’Italia e degli italiani?
Un pochino falsata. Avevo già lavorato con alcuni manager italiani, e mi ero fatto l’idea che l’Italia fosse bene o male come i paesi del Nord Europa: molta apertura mentale, e una buona padronanza dell’inglese. Con il tempo ho scoperto che l’Italia è ancora molto legata alle tradizioni, un po’ chiusa e che non proprio tutti sanno parlare inglese [ride].

È stato difficile all’inizio?
Spaesante, più che difficile. Ma ho notato che se tenti di migliorare il tuo italiano e di inserirti, gli altri ti facilitano. Ti aiutano tantissimo, ma prima devi imparare la lingua. Anche in un posto come il Politecnico di Milano noti questa cosa: gli studenti che parlano solo inglese sono un po’ isolati.

Cosa ti piace della cultura italiana?
La voglia di dedicare un po’ di tempo ogni giorno alle relazioni umane. Per me è molto importante. Venendo in Italia ho scoperto la cultura dell’aperitivo, del ritrovarsi dopo il lavoro al bar, e stare ore a chiacchierare. Lo trovo bellissimo.

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E quello che invece cambieresti?
Il fatto che si parli poco inglese, e in generale il senso di sfiducia dei giovani.

Quali sono le principali differenze fra Italia ed Egitto?
In realtà vivendoci ho scoperto che le nostre culture per molti versi sono molto simili—come il modo di comunicare, l’attaccamento per le tradizioni.

BABETA, 30 ANNI (DALLA REPUBBLICA CECA)

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VICE: Perché tre anni fa hai deciso di trasferirti in Italia?
Babeta:
Ci ero venuta molte volte in vacanza, e mi è sempre piaciuta tanto. Un giorno mi sono detta “sei ancora giovane, single, hai sempre desiderato viverci: prova!” Quindi ho messo diversi annunci come ragazza alla pari, e ho trovato lavoro come babysitter in una famiglia.

Cosa ti piaceva?
Amavo la lingua, la leggerezza della vita, il cibo. Tutto. In realtà non avevo fatto molto ricerca su altri aspetti dell’Italia: ero un po’ naïve.

Come è stato poi l’impatto reale con la vita di tutti i giorni invece?
Difficile. Dopo un paio di mesi ho iniziato a notare alcune cose che non mi piacevano. Principalmente la difficoltà e la lentezza nel trovare lavoro [a Praga Babeta era ostetrica]. Devo essere sincera: il primo anno pianificavo di tornare a casa. Poi ho conosciuto il mio fidanzato, e ho deciso di restare.

Quali sono le altre principali differenze fra Italia e Repubblica Ceca?
La cordialità delle persone. La voglia di conoscersi, di stringere un legame profondo. Ci sono conoscenti in Italia che sanno più cose di me dei miei amici in Repubblica Ceca. Qua ti senti parte di qualcosa.

Cosa cambieresti dell’Italia?
Quello che cambierebbero tutti: la burocrazia!