Cibo

Un esperto mi ha spiegato cos'è la neofobia alimentare e come affrontarla

La neofobia alimentare è la paura di provare nuovi cibi. Non è riconosciuta come un disturbo alimentare, ma potrebbe essere un segnale di rischio.
Neofobia alimentare
Immagine via Shuttershock in creative commons.

“La neofobia non è un disturbo del comportamento alimentare, ma può manifestarsi all’interno dei disturbi del comportamento alimentare come sintomo.”

La paura di qualcosa, qualsiasi cosa, accomuna tutti noi. Però ce n’è una che mi interessa in maniera particolare: la neofobia alimentare, la paura di quanto ci è sconosciuto in fatto di ingredienti e nuove ricette. 

Personalmente sono naturalmente attratta da tutto ciò che non conosco, inesplorato—soprattutto se parliamo di cibo—, ma c’è invece chi, a differenza mia, si spaventa alla sola idea di mettere in bocca qualcosa di mai assaggiato. Sono abbastanza sicura che ognuno di voi abbia almeno un amico o un’amica così.

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Quando incontro queste persone mi chiedo sempre: cosa si scatena? Quali sono le origini di certe diffidenze? È un atteggiamento che si limita al cibo o sintomo di una personalità genericamente tendente alla paura in molti altri aspetti della vita? 

Neofobia è una parola che viene dal greco antico. Da neós, che significa nuovo e fóbos, che vuol dire invece paura. Paura di qualcosa di nuovo, timore e avversione verso tutto ciò che si presenta nuovo e, quindi, misterioso e che comporta un cambiamento e una potenziale minaccia rispetto alle situazioni a cui si è abituati. L’avevamo affrontata, in parte, già con la dottoressa Luisa Torri, che ci aveva parlato di come dovremmo mangiare più meduse e di come la gente reagisce all’idea.

Ma ci sono in realtà un sacco di persone che hanno paura di introdurre nella propria alimentazione e, in questi tempi, tra scarafaggi commestibili, una globalizzazione a tutto tondo e il cambiamento climatico, la neofobia alimentare sarà sempre più argomento di dibattito. 

Nel nostro cervello spesso i ricordi e le emozioni sono associati a determinati odori, quindi i neofobici alimentari potrebbero rifiutare un cibo partendo da un odore collegato ad una brutta esperienza.

Per capirci qualcosa di più ho fatto alcune domande da Edoardo Mocini, medico specializzato in scienze dell’alimentazione e fondatore del progetto “Medicina Inclusiva”: una rete di professionisti che concepisce la salute non tanto come assenza di malattia, ma come un generale stato di benessere fisico, fisiologico e sociale. Per loro le persone sono al centro del percorso di cura, non le malattie.

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Ragionando in senso opposto, per dirci cosa sia la neofobia alimentare inizia dicendoci cosa non è: “La neofobia non è un disturbo del comportamento alimentare, ma può manifestarsi all’interno dei disturbi del comportamento alimentare come sintomo,” ci spiega il dottor Mocini, “Però di per sé non è riconosciuta come un disturbo.” 

Mangiare è la prima azione spontanea che iniziamo a fare da neonati. In realtà già durante la gestazione e nella successiva fase di allattamento, il bambino riceve stimoli attraverso il cibo consumato dalla madre che avranno un ruolo cruciale nel determinare il piacere o il rifiuto di alcuni alimenti in seguito, come spiega questo studio dell’Università di Brescia.

Mangiare coinvolge la sfera cognitiva, i sensi e le emozioni, subisce le influenze sociali, culturali e religiose. 

La neofobia alimentare interessa, secondo i dati Istat del 2019, il 30% dei bambini tra uno e cinque anni e tra i quattro e i sette anni raggiunge il suo apice: non è difficile pensare a un bambino che sbatte le mani sul tavolo a quell’età per non mangiare i broccoli. Ma in certi casi neofobie possono svilupparsi più tardi e, in altri, ce le si può portare dietro fino all’età adulta. 

“Ci sono dei modi per evitare di cadere in questa chiusura. Bisogna darsi dei piccoli obbiettivi nella sperimentazione di cibi nuovi e, se la neofobia è troppo stringente o riguarda molti alimenti, è bene rivolgersi a dei professionisti.”

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Nel mondo animale la neofobia ha uno scopo protettivo, perché un nuovo alimento può anche essere un rischio. Allo stesso modo per il bambino può rappresentare una forma di protezione fino a quando non imparerà a selezionare da solo i cibi sicuri. E ne fa esperienza: è probabile che, alla decima volta in cui presentate un ingrediente in un piatto, se lo mangerà. “Nel caso dei bambini potrebbe essere un problema, perché non li mette subito nella condizione di capire il valore di una dieta equilibrata,” mi spiega Edoardo Mocini. “È quello che lo scrittore Michael Pollan chiama Il Dilemma dell’Onnivoro. Cosa posso mangiare? Mi farà bene o male? Nel libro Pollan ci accomuna tra l’altro agli uomini primitivi: loro non sapevano se una bacca fosse buona o no, porsi un dilemma era una difesa. Noi lo facciamo perdendoci nell’oscuro linguaggio delle etichette degli ingredienti.”

Ed è proprio una di queste ragioni primordiali che stanno alla base di molte neofobie alimentari: banalmente, ma nemmeno troppo, l’olfatto. L’olfatto ci dice se qualcosa è commestibile o no, ma è anche fortemente legato alla nostra memoria: nel nostro cervello spesso i ricordi e le emozioni sono associati a determinati odori, quindi i neofobici alimentari potrebbero rifiutare un cibo partendo da un odore collegato ad una brutta esperienza.
Ancora più interessante è che, da studi recenti, la neofobia può essere ereditaria, dipenderebbe da fattori genetici.

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“Ma, molto più banalmente, può essere determinata da altri meccanismi come semplice la predisposizione individuale ad accogliere determinati sapori o anche fattori ambientali, ovvero il momento e il metodo di introduzione di nuovi prodotti alimentari da parte dei genitori e in generale dal loro atteggiamento nei confronti del cibo,” mi dice il dottor Edoardo Mocini. Anche se, a quanto pare, sarebbero i fratelli a influire maggiormente le emulazioni a tavola, secondo gli studi di Birch e Pliner.
E posso confermare: il mio, di fratello, mangiava qualunque cosa e io l’ho prima imitato, pensando di avere il suo metabolismo, poi invidiato e infine odiato visto che a scuola venivo presa in giro.

Arriviamo però alla domanda fondamentale: va bene i bambini, ma ora bisogna capire chi sono gli adulti neofobici. A livello italiano non c’è una vera e propria statistica (non lo consideriamo un problema, ricordate?), ma diversi studi, come questo, hanno mostrato come a essere neofobici siano più le persone anziane, quelle più scarsamente istruite e le persone in sovrappeso. Ma sono anche quelle che, tendenzialmente, mangiano più frutta, carne e verdure, mentre i neofili alimentari—l’opposto dei neofobici, ndr– sono quelli che si buttano sulle novità confezionate. Parlando di ristoranti, invece, secondo The Fork: il 27,9% non prova mai nuovi ristoranti e nuove cucine; il 40% raramente; il 27,9% abbastanza spesso e solo il 4% spesso.

“Non credo sia strano, né problematico, preferire un luogo dove sappiamo già come staremo,” mi dice Edoardo Mocini. Vero è, però, che la neofobia potrebbe quindi essere causa di esclusione sociale e potrebbe limitarci sia sul piano fisico sia su quello psicologico. “Ci sono dei modi per evitare di cadere in questa chiusura. Bisogna darsi dei piccoli obbiettivi nella sperimentazione di cibi nuovi e, se la neofobia è troppo stringente o riguarda molti alimenti, è bene rivolgersi a dei professionisti.” 

Come suggerisce il dottor Mocini, provate ad affrontare la vostra paura alimentare a piccole dosi. "Cotture e intingoli vi aiuteranno di più ad affrontare la vostra neofobia."

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