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Matteo Renzi promette le cose

Districarsi nella mole delle promesse fatte ieri in conferenza stampa da Matteo Renzi non è semplicissimo. Abbiamo chiamato due esperti per commentare i fiori all’occhiello del suo piano: le misure economiche e il famigerato Jobs Act.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Via Flickr/Palazzo Chigi

A un certo punto della conferenza stampa di ieri a Palazzo Chigi—diciamo nel momento in cui il bombardamento a tappeto di cifre, pesci rossi, aste di auto blu, carrelli della spesa e katane ha raggiunto l’apice—nessuno si sarebbe stupito se l’orazione del premier avesse preso una piega del genere: “Al diavolo il Jobs Act, l’abolizione del Cnel e i 1.000 euro netti all’anno per il ceto medio! Oggi sono qui per stupirvi con un’offerta ec-ce-zio-na-le: il raffinatissimo ‘knife set’ di una designer tedesca (ma di origini singalesi) che segue delle precise proporzioni basate sulla successione di Fibonacci! Affrettatevi, solo per i primi cento elettori che chiamano è previsto uno sconto!”

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Se non altro, un simile discorso sarebbe stato molto più lineare e credibile delle misure “rivoluzionarie” promesse dal premier. Al di là delle imbarazzanti slide (palesemente ispirate dalle brochure dei discount), Renzi non ha presentato fatti concreti; si è limitato a promettere di fare cose che saranno irreversibili, incredibili, epocali, entusiasmanti e qualsiasi altro aggettivo euforico che possa venirvi in mente. Come prevedibile, il tono da televendita non è passato inosservato e ha prodotto risultati autenticamente ridicoli, come si può vedere da questo tweet di una catena di supermercati:

Caro @matteorenzi, le nostre #offerte sono migliori! Ti aspettiamo! pic.twitter.com/1713ljEwK8

— SetteDi (@Sette_Di) March 12, 2014

Ad ogni modo l’impressione che si ricava dalla conferenza stampa, come ha detto l’economista Tito Boeri, è che “il Consiglio dei Ministri abbia approvato l’informativa, cioè una relazione, e poco più di quello. Ci sono solo dei titoli. Il Consiglio dei Ministri praticamente si è preso tempo.”

Districarsi nella mole delle promesse renziane non è semplicissimo. L’elenco è lunghissimo e ricomprende, tra le varie cose, il rimborso dei debiti della Pubblica Amministrazione, l’edilizia scolastica, il fondo per i dissesti idrogeologici, le riforme istituzionali, la riduzione del costo del lavoro, l’immancabile taglio di varie tasse, i 1.000 euro all’anno in busta paga per i lavoratori dipendenti che non guadagnano più di 1.500 euro al mese (“dieci milioni di italiani," ha assicurato Renzi) e molte altre misure mirabolanti, tra cui i “100mila posti di lavoro” nel campo della ricerca.

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I due fiori all’occhiello del piano Renzi sono indubbiamente le misure economiche per rilanciare il Paese e il famigerato Jobs Act, che dovrebbe incidere sull’altissima disoccupazione del paese (12.9 percento quella generale; 42.24 quella giovanile) e riformare welfare e sistema degli ammortizzatori sociali. Ma è proprio su economia e lavoro che i commentatori più esperti stanno sollevando una marea di critiche.

Per capirne di più sul primo versante ho chiamato Mario Seminerio, economista, autore del libro La cura letale e animatore del blog Phastidio. Secondo Seminerio, le misure promesse da Renzi sono semplicemente “una serie di buone intenzioni” che però si scontrano con un enorme problema: quello delle coperture finanziarie. Per Matteo Renzi i soldi per far cambiare verso al paese ci sono e sono pure tanti; per l’economista, invece, “le coperture sono del tutte aleatorie.”

La spending review del commissario Cottarelli, ad esempio, “può essere realisticamente incentrata su cifre sostanziali di tre miliardi per la rimanente parte del 2014, e io ho la netta sensazione che stiamo parlando di importi che erano già stati spesati dal Governo Letta.” Sulla possibilità di portarsi a ridosso, o addirittura sforare, la soglia del 3 percento del deficit/Pil imposta dall’Unione Europea, Seminerio dice che si tratta di “una leva populistico/elettorale” che ignora il fatto che l’Italia ha “un 2,6 percento previsto per il 2014,” per giunta con delle stime di Pil che sono “estremamente ottimistiche”. Questo vuol dire che “abbiamo già in questo momento il rischio di essere a ridosso o forse di aver sfiorato il 3 percento di deficit/Pil.” In poche parole, “i famosi sei miliardi e quattro di euro di cui favoleggia Renzi—non so se come arma negoziale, come ricatto o inventandosi le coperture di sana pianta—semplicemente non esistono.”

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Alla fine dei conti, l’unica fonte quasi certa di copertura sarebbe “l’aumento della tassazione sulle famose rendite finanziarie,” salutata da più parti come una “misura finalmente di sinistra.” Seminerio, che ha già smontato gli effetti balsamici di questa paventata tassazione sul suo blog, la considera invece “una decisione profondamente disfunzionale, che rischia di vanificarsi molto rapidamente perché si basa sull’ipotesi di una discriminazione di aliquote sulla quale la stessa Unione Europea potrebbe avere molto da ridire.”

In tutto ciò, il muro contro muro con l’Unione Europea potrebbe non essere un’idea particolarmente brillante. Anche perché proprio stamattina la Banca Centrale Europea ha bacchettato l’Italia, dicendo che sul deficit non è stato fatto alcun progresso. Il fatto è che, come mi dice Seminerio, “restiamo una bomba innescata nel cuore dell’Europa, perché con un rapporto debito/Pil del 133 percento e uno stock di debito di queste dimensioni, l’Italia ha il potenziale, se dovesse accaderle qualcosa di male, di portarsi dietro tutto il continente.” È evidente, quindi, “che a Bruxelles, Berlino e Francoforte siano oggettivamente preoccupati per questo Paese.”

Per quanto riguarda il Jobs Act, annunciato ripetutamente da tre mesi come la Soluzione Finale alla piaga della disoccupazione, anche qui ci troviamo di fronte a una misura lenta (ci vorrà molto tempo prima di una sua eventuale approvazione) e tutt’altro che rivoluzionaria.

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Foto via Flickr/Palazzo Chigi.

Secondo Giuseppe Allegri, ricercatore indipendente e autore (insieme a Roberto Ciccarelli) del saggio Il quinto stato, la presentazione del Jobs Act è stata “una sorta di tentativo di autoaffermazione che il governo stia facendo qualcosa su questo versante strategico.” Dal punto di vista sostanziale, infatti, “non ha portato a nulla di positivo: il segnale che avrebbe dovuto dare Renzi è quello di porsi in controtendenza con i governi precedenti e tutelare le persone più svantaggiate, come del resto aveva sempre promesso fin dall’inizio. Invece, ha preferito tutelare quelle persone che hanno già una rappresentanza sindacale alle spalle, probabilmente per tenersi buona la Cgil e altri sindacati che erano partiti lancia in resta con la proclamazione dello sciopero generale.”

Prendiamo ad esempio il tanto decantato sussidio universale di disoccupazione (Naspi), uno dei punti di forza del Jobs Act. Nonostante l’incessante retorica dell’“aiutare la povera gente,” il Naspi non è per nulla universale. “Da quello che è uscito nei giorni scorsi,” spiega Allegri, “il Naspi dovrebbe riguardare 300-350mila persone in più rispetto al sussidio previsto dalla riforma Fornero. In realtà si apre quindi a un frammento piccolissimo del mercato del lavoro ‘flessibile’ o precario. Tutte le altre figure rimangono escluse.”

Fuori dal Naspi, infatti, rimarrebbero esclusi i milioni di disoccupati/inoccupati, i lavoratori impiegati attraverso altre forme di lavoro precario e/o intermittente e anche gli 1.8 milioni di lavoratori autonomi/partite Iva iscritte alla Gestione separata dell’Inps. Si tratta dunque di una platea sconfinata di persone che non hanno rappresentanza sindacale, sociale o economica; non vedranno mai gli 80 euro in più al mese; e infine, in caso di perdita del lavoro, saranno lasciate col culo a terra.

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Per Allegri, comunque, il punto fondamentale di una riforma in controtendenza non è “pensare a un sussidio per il futuro, ma sanare la condizione di quelle persone che sono già in disoccupazione o non sono mai entrate nel mercato del lavoro.” In definitiva, la svolta buona sul lavoro ancora non c’è stata. Con questo Jobs Act, infatti, pare che Renzi “abbia deciso, in modo quasi democristiano, di tornare di nuovo sulla strada già tracciata, anche per tutelarsi da eventuali conflitti.”

A dispetto dei toni da ultima spiaggia, insomma, siamo ancora in pienissima fase di annunci da libro dei sogni.

Per il resto, il dato che emerge con più prepotenza dalla conferenza stampa di ieri è, come scrive la professoressa di semiotica Giovanna Cosenza, l’incredibile ostentazione che il premier ha messo nelle sue promesse. E l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno è, come dice Mario Seminerio, l’ennesimo “televenditore che promette delle pozioni magiche” per risollevare le sorti del paese.

Segui Leonardo su Twitter: @captblicero

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