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Attualità

Syrial Killing, un documentario sulla repressione meno documentata

Intervista al fotoreporter Johann Rousselot, autore del durissimo documentario sulla terribile repressione subita dal popolo siriano in questi sette mesi di rivolte.

Mentre ci trasciniamo a fatica verso il freddo, la Primavera Araba potrebbe apparirci come una di quelle lontane e nostalgicamente caotiche insurrezioni del passato, con tutti i suoi spargimenti di sangue, episodi violenti ed eccidi fossilizzati in immagini di repertorio (oltre che in brevi documentari di altissimo calibro, ovviamente). Ma mentre il Consiglio Nazionale di Transizione libico si nutre al seno accogliente e fertile della diplomazia internazionale, l'Egitto post-rivoluzionario torna in piazza, e l'ex dittatore tunisino si becca una bella lavata di capo in una versione nordafricana di Judge Judy, la Siria sta vivendo una delle repressioni più dure cui il mondo abbia assistito negli ultimi decenni.

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Rincorrendo il vento mediorientale, il fotoreporter Johann Rousselot ha messo su un durissimo documentario online, intitolato non a caso Syrial Killing, in cui affronta la terribile repressione subita dal popolo siriano in questi sette mesi di rivolte. Attraverso il montaggio di video amatoriali divulgati da giovani siriani e siriane, i dieci minuti di "morte filmata" di Johann mostrano papale papale ciò che la maggior parte dell'Occidente (o perlomeno i suoi media) ha più o meno ignorato.

Abbiamo contattato Rousselot per fare due chiacchiere.

VICE: Buongiorno Johann, puoi dirci qualcosa di Syrial Killing?
Johann: Di recente ho passato una settimana nella provincia turca di Hatay, dove ho incontrato molti rifugiati siriani. Ero lì per mettere insieme materiale per un mio progetto sulle rivoluzioni arabe, e in particolare sul ruolo che le tecnologie di informazione hanno giocato nel loro sviluppo. Ero già stato in Tunisia e in Libia, ma sono rimasto molto deluso dal non poter andare oltre ed entrare in Siria con uno dei rifugiati. Ma stando con loro, ero costantemente circondato da video di sangue…

Alcuni mostrano scene piuttosto spaventose.
Quelle che vedi nei video sono cose che succedono ogni giorno, da quando è cominciata la rivolta. È per questo che prima di tornare a Parigi ho pensato che, come giornalista, avrei potuto dare un contributo alla causa creando il mio film personale, composto da tanti pezzi di video amatoriali.

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Mentre montavi Syrial Killing c'è stato del materiale che hai deciso di non inserire?
No. La cosa più difficile era passare intere giornate a guardare i filmati ed editarli, a scegliere i video "migliori"… Di solito nel mio lavoro non cerco cose spettacolari, scioccanti o truculente, ho un approccio molto più leggero, più di pensiero. Ma la situazione in Siria è così brutale che era chiaro non ci fosse un modo soft per raccontarla. Questi video e questi orrori sono i fantasmi che infestano le memorie dei rifugiati.

Perché hai deciso di occuparti della Primavera Araba?
Mentre leggevo cosa stava succedendo in Tunisia, all'inizio di gennaio, mi sono reso conto che qualcosa in me fremeva. Sentivo che questo evento si sarebbe trasformato in qualcosa di enorme. A commuovermi è stata soprattutto la bellezza delle masse di persone arrabbiate, ma non violente, per le strade. Inoltre, la Tunisia è relativamente vicina alla Francia, e parlano francese. L'altra forte motivazione è stata l'assistere alla fine di una dittatura, condividere le sensazioni di un popolo che si è appena conquistato la sua libertà.

La situazione in Siria è chiaramente molto diversa. In che modo è possibile confrontare i rifugiati siriani che hai incontrato con la popolazione della Tunisia in sommossa?
Domanda interessante. Durante i primi giorni in Turchia mi sono focalizzato sull'aspetto della guerra via Internet. Ma mi sono presto accorto che i rifugiati non erano esperti di informatica e non mi potevano dire più di tanto, a differenza degli attivisti tunisini che ho incontrato a febbraio. Parlare di Anonymous o di proxy non mi portava da nessuna parte. A loro interessava solo una cosa: che tutto il mondo potesse vedere ciò che stava succedendo nel loro Paese. E questo mi ha spinto a chiedergli: dopo tutti questi mesi, non siete scoraggiati, avete ancora fiducia nelle potenzialità di YouTube, dei video, di Internet?

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Cos'hanno risposto?
Condividevano la mia posizione; molti di loro avevano iniziato a dubitare del potere di Internet, a scorgerne i limiti e a capire che eserciti e armi sono tuttora più forti della comunicazione e dei telegiornali.

Quindi è questo che ti ha spinto a documentare la Primavera Araba, esplorare il potere e i limiti di Facebook, YouTube e siti analoghi?
Sì. Ho montato il mio piccolo documentario secondo quella prospettiva, mostrando il loro spettacolo di orrore quotidiano. E sono giunto alla conclusione che tutto questo è assolutamente scandaloso, ma non abbastanza per smuovere la comunità internazionale. Ora vogliamo combattere, come hanno fatto in Libia.

Il popolo siriano è meno "connesso" rispetto a quello tunisino o libico?
Sembra di sì.

Perché?
In Siria, l'accesso a Internet è recente. Facebook è divenuto di uso comune solo nell'ultimo anno. Inoltre, il livello di istruzione non è alto come in Tunisia.

Alcuni dei video del tuo documentario sono presi da un canale di news, Ugarit News. Non ci sono molte informazioni a riguardo, in Rete, ma dal tipo di materiali che mandano in onda si potrebbe immaginare che non siano un canale di Stato…
Proprio ieri ho fatto una chiacchierata su Skype con uno di loro, anche se non dicono da dove trasmettono e danno solo i loro nickname. Il gruppo è formato da una decina di siriani residenti all'estero. Sono molto cauti, ma hanno contatti con gente all'interno del Paese. Riescono a ottenere i video tramite satelliti, proxy, Facebook e simili.

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Mentre mettevi insieme il film hai incontrato problemi legali o relativi al possesso dei diritti?
Nessun problema legale, solo spirito rivoluzionario. Da parte degli attivisti siriani, reclamare i diritti d'autore sarebbe indecente. Prima bisogna cacciare Assad, poi magari si parla di diritti autoriali. Io non sono un attivista siriano, e chiedo sempre dei riconoscimenti per il mio lavoro. Ma, francamente, stavolta non ho fatto un documentario per pubblicizzarmi o guadagnare. Certo, indirettamente è quello che è successo. Raccontare per davvero a qualcuno di questa situazione intollerabile è estremamente difficile, quindi il primo risultato a cui guardavo era di far circolare il più possibile le informazioni a mia disposizione. Ho anche pensato di cercare l'indirizzo mail di alcuni politici e spedirglielo, ma sarebbe stato inutile, sanno perfettamente cosa sta succedendo.

Nel documentario è presente un forte senso di isolamento. Sei stato incoraggiato ad andare avanti, mentre ci lavoravi?
Certo, ogni cosa che aiuti il successo della rivoluzione è benvenuta. È questo il motivo per cui il mio contatto di Antakya, nella provincia di Hatay, non mi ha chiesto soldi. Mi ha detto: "Sto solo facendo il mio dovere di cittadino." Ma alla fine l'ho aiutato, nei limiti del mio budget ovviamente, perché voleva comprarsi un computer nuovo. Gli ho dato circa 150 euro.

È stato un gesto molto generoso.
Stava per raggiungere il suo scopo: 700 euro.

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Nella seconda metà del video compaiono foto di tipacci carichi di steroidi, puoi dirci qualcosa di loro?
Sono shabiha… il terrore fatto persona. Rappresentano le milizie più pericolose e temute, gli scagnozzi della famiglia Assad.

Le immagini sembrano personali, come le hai trovate?
Non ne avevo mai sentito parlare, ma quando il mio contatto in Turchia mi ha spiegato di chi si trattasse è stato facile trovare ivideo su YouTube. Le foto sono di uno di questi shabiha, prese da un cellulare smarrito dopo uno scontro per strada che aveva coinvolto il tizio in questione.

Hanno un'aria piuttosto fiera, come membri una piccola gang. E la cosa mi disturba un po'.
Il mio contatto mi ha detto questo: quando ti controllano i documenti, non notano nemmeno se sono a testa in giù. Che sia vero o meno, ti dà un'idea della loro intelligenza. È sempre il solito sistema: ragazzi privi di un'istruzione, ex galeotti, gangster, giovani disoccupati… Ricevono compensi di molto superiori alla paga media, oltre a donne, potere a livello locale, macchine, un appartamento, di conseguenza sono ben contenti di fare quello che gli si dice. Sono al di sopra della legge, possono fare ciò che vogliono e che ritengono necessario per mantenere la sicurezza dello stato.

Devono avere per le mani un sacco di lavoro, ora.
Da quando è cominciata la rivoluzione sono aumentati. Shabiha significa fantasmi… una mafia fantasma. Solo l'esercito potrebbe affrontare una forza del genere.

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Pensi a una rivolta armata?
Certo, sono sicuro che sarà questo il prossimo passaggio.

Pensi che il tuo documentario cambierà le cose?
Oh, no, un piccolo film non può cambiare un bel niente. Ma film dopo film, articolo dopo articolo, immagine dopo immagine… qualcosa si dovrà muovere, anche se di poco. Ma starsene con le mani in mano è peggio. Il mio lavoro è quello di una formica, migliaia di formiche che lavorano per uno stesso scopo possono raggiungere grandi risultati.

Ben detto.
Però sì, una guerra civile potrebbe essere alle porte, si legge sempre più spesso delle defezioni di truppe. Alcune città ora hanno un esercito popolare che protegge i cittadini dagli attacchi dell'esercito regolare. È diventato uno scontro tra milizie.

Sembra tremendo. Pensi che l'assenza di interesse internazionale (confrontato con quello rivolto a Egitto, Tunisia e Libia) sia demoralizzante? I siriani sono a conoscenza dell'incostanza occidentale quando si tratta di crisi globali?
Per quanto ne so io, i siriani non vogliono nessuna azione esterna. Hanno bisogno di armi e soldi, e faranno tutto da soli. Sanno che dopo mesi di proteste pacifiche, è inutile continuare sulla stessa linea.

Hai assistito a episodi di violenza mentre eri lì?
No, non ho visto violenza. Ma le persone che avevo intorno hanno dovuto confrontarsi con la più temibile macchina da repressione al mondo. Cosa gli resta? La guerra sembra l'unica opzione "ragionevole." Assad non ascolta nessuno, non gliene frega nulla di quello che dice il resto del mondo.

Perché pensi che se ne parli così poco in Occidente? Che cosa sta succedendo di diverso rispetto alle altre sommosse arabe?
Penso sia una questione di logica geopolitica: niente petrolio, difficile posizione nel Medio Oriente. La Siria vanta stretti legami con Iran e Hezbollah. E poi, Russia, India e Cina sono contro ogni provvedimento delle Nazioni Unite. Sai come funziona con la burocrazia—ci vuole del tempo, tantissimo tempo.

Sì, è molto triste. Altri progetti in cantiere?
Sto preparando una piccola serie di foto, ritratti di rifugiati siriani… Magari qualche rivista li pubblicherà.

Forse.

Clicca qui per vedere il documentario di Johann Housselot.