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Musica

Bon Iver ha raccontato il suo nuovo album in una conferenza stampa segreta

Qua trovate tutto quello che ha detto, dal ruolo di Kanye West nella sua creazione ai motivi per cui ha appeso le chitarrine e la presa male al chiodo.

La sera di venerdì 2 settembre Justin Vernon—cioè Bon Iver—ha fatto una cosa che, nel 2016, sta diventando sempre più rara: ha tenuto una conferenza stampa per alcuni giornalisti selezionati. Il motivo è l'uscita del suo nuovo LP 22, A Million; Vernon ha fatto sentire il disco ai presenti e ha risposto a un po' di domande, il tutto nella sua città natale: Eau Claire, in Wisconsin. Fortunatamente, dato che viviamo nell'era della condivisione (come vi hanno insegnato al corso di Teorie e Tecniche dei Nuovi Media), alcune testate (tra cui Pitchfork) hanno già pubblicato alcuni virgolettati del buon Justin; spiegano il contesto in cui il disco è nato, le difficoltà che ha affrontato nella sua scrittura e vanno a spiegare come pronunciare quei cazzo di titoli strambi che ha deciso di dare ai suoi nuovi pezzi. Abbiamo quindi pensato di tradurvele, così da farvi arrivare belli pronti al 30 settembre.

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Innanzitutto: la prima suggestione sonora per il disco è arrivata da BJ Burton, ingegnere del suono e collaboratore di Vernon. Tutto è nato da un loop di batteria creato proprio da lui su una drum machine della Roland. "Stavo vivendo un periodo in cui ero particolarmente ansioso", ha detto Vernon. "Quel beat mi ha fatto alzare il culo dalla sedia e mi ha fatto venire voglia di capire come funzionasse. Nel giro di poco era perfetto, e abbiamo dovuto tenerlo lì per tre anni." Vernon ha poi analizzato più nel profondo le ragioni che l'hanno portato ad abbandonare le sonorità dei suoi precedenti LP:

È stato un po' come quando vuoi un po' spaccare le cose, romperle per guardare cosa c'è dentro. Perché presentassi qualcosa di nuovo al mondo, avevo bisogno di percepirlo come qualcosa di radicale. Non che per me sia imbarazzante, ma i miei vecchi dischi hanno una natura triste, in un certo senso – li usavo per guarire, ecco. È ok essere tristi. Ma crogiolarcisi, entrare in un circolo emotivo, è di una noia mortale. Ci sono ancora momenti più bui su questo album, certo, ma penso che questo sia l'atteggiamento che ho avuto—spaccare le cose, crearne di magniloquenti, eccitanti e innnovative, schiacciarne assieme, l'esplosività, gridare di più. Ecco, è questione di grida. Prima, sussurravo. Ora, invece—[suona una nota di tastiera con un suono pesantemente robotico].

Dovete ringraziare, tra gli altri, Kanye West se 22, A Million esiste. Vernon ha detto di aver quasi abbandonato le lavorazioni sul disco a gennaio 2016.

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Il mio amico Ryan Olson, che suona nei Gayngs, mi ha dato un ceffone metaforico [quando ha capito che stavo mollando]. Dopo che abbiamo finito a lavorare al loro album, mi sono reso conto di quanto mi fossi divertito a fare musica con tutta quella gente. Nello stesso periodo, più o meno, Kanye West mi ha chiesto di andare con lui alle Hawaii per registrare con un po' di persone. E ho provato gli stessi esatti sentimenti. Solo amici, lì per scrivere canzoni. Penso a Ryan, penso a Kanye, e sono persone capaci di farti sentire più te stesso. Sono gentili, e sono capaci di dirti in cosa migliorare. Provate ad entrare nella stessa stanza con tutti gli altri, e vedete che bordello verrà fuori. Ti allunga. Ti fa alzare, e ti fa venire voglia di migliorarti.

L'album è dedicato a due persone: il cantautore Richard Buckner e Bernice Johnson Reagon, fondatrice degli Sweet Honey in the Rock, una gruppo vocale americano. Vernon ha spiegato perché: c'entrano i testi e l'approccio alla scrittura, e c'è anche un dissing a Mike Patton.

Richard Buckner ha scritto tredici album, tutti perfetti. I suoi testi scorrono, sono più impressionisti del normale. Ad ascoltarli, mi sono trovato più che prima come se cadessi a terra, o in sogno, a sospendere la mia incredulità. Ad ascoltare il suono delle parole, e a pensare solo in un secondo momento al loro significato. Il che mi ha fatto venire il coraggio per scrivere esattamente in quel modo. Per quanto riguarda Bernice—il suo modo di cantare mi piace da un sacco di tempo. Ho sentito la sua voce nei documentari di Ken Burns sulla Guerra Civile. L'ho ascoltata cantare uno spiritual nero e, nonostante fosse da sola, sembrava un coro. Il modo in cui internalizza ogni cosa per essere tutti quei cantanti nello stesso momento. È capace di cambiare la sua voce in modo davvero radicale. Mike Patton se lo sogna, di esserne capace.

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Poi: i titoli dell'album. "29 #StraffordAPTS" si pronuncia "Twenty-nine Hashtag Strafford Apartments." "666 ʇ" è "Six six six Upside Down Arrow." "_____45_____" è, semplicemente, "Forty-five." Vernon ha poi rivelato la presenza di un sample di Steve Nicks non accreditato in "10 d E A T h b R E a s T ⊠ ⊠".

Stevie ci ha chiesto di non inserirlo nei crediti. Ho rispettato la sua volontà. Probabilmente non voleva sentire domande su com'era stato collaborare con me quando non avevamo davvero collaborato. E lo capisco, davvero. Comunque, l'ho preso dal mio video di YouTube preferito di sempre. È lei che si scalda la voce, nel 1981, mentre qualcuno le fa i capelli, cantando la sua "Wild Heart", che penso non sia mai stata registrata davvero. E in questo video lei canta benissimo, e c'è qualcuno fuori dal palco che le fa le armonie. È un pezzo bellissimo.

Trovate altre informazioni a questo link. Noi ci risentiamo più avanti, dopo l'uscita dell'album, per capire un po' com'è veramente. Nel frattempo, però, riascoltate pure per la seicentoquarantatreesima volta "Skinny Love".

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