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Attualità

Ho partecipato a L'Eredità e rischiato di diventare il nuovo "Per me è la cipolla"

A volte, scrivere la prima parola che ti viene in mente alla Ghigliottina non è la scelta migliore.

Certe esperienze sono indelebili, proprio come l'inchiostro dello stramaledetto pennarello della ghigliottina. Ma andiamo con ordine.

L'Eredità, da 15 stagioni in onda su Rai 1, è il quiz più longevo della televisione italiana—e, suppongo, anche quello col maggior numero di spettatori da casa che indovinano tutte ma proprio tutte le risposte e se ne lamentano quotidianamente, fino poi a farsi rispondere da amici/fidanzati/genitori il fatidico: "Vacci te, allora."

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Ecco, a me è andata più o meno così, e quando la mia ragazza mi ha rivolto quell'invito niente mi è sembrato più ovvio di cercare l'indirizzo mail per partecipare al casting, scrivere qualche riga di presentazione e spedire la mia candidatura con una foto in allegato. Il tutto, ovviamente, fatto con una consapevolezza di riuscita pari a quella di un bambino che gioca con telefono finto e chiama i vigili del fuoco o la zia in Australia.

Poi però passano un paio di settimane e Magnolia mi ricontatta. Subito penso a uno scherzo, ma il pesante accento romano della mia interlocutrice mi convince che si tratti proprio di quell'Eredità.

Chiudiamo fissando la data per il provino. Nell'attesa dovrò prepararmi e compilare una presentazione contenente domande come "cosa ti appassiona?" o "hai sogni nel cassetto?" , alternate a "hai abitudini bizzarre o sai fare qualcosa di divertente?" e "hai un proverbio in dialetto?". Mentre rispondo continuo a pensare a come rendere interessante il mio profilo—come dimostro di essere un tipo televisivo? Come devo fare per essere scelto? Alla fine scrivo una lettera esageratamente zeppa di simpatia e ammiccamenti del tipo "il mio sogno nel cassetto è sentire Fabrizio Frizzi che mi fa Woody dal vivo." Con questa li stendo, ricordo di aver pensato.

Ecco un altro modo in cui ho cercato di stenderli durante la puntata.

Il giorno del casting arrivo nella hall dell'albergo dove si tengono i provini e vengo fatto accomodare in una sala insieme a una cinquantina di persone di varie età. A occhio, posso dire di essere il più giovane.

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Dopo essere stato schedato neanche fossi O.J. Simpson durante il processo del secolo, mi sottopongono a un test di cultura generale con domande aperte o a scelta multipla. Il livello dei quesiti è più alto di quel che mi aspettassi, ma comunque abbordabile. "Se non sai rispondere rispondi in modo stravagante," mi aveva avvertito mio padre prima di entrare. "Ricordati che io sono stato selezionato a un provino di Fantastico 3 rispondendo 'Toto Cutugno' a tutte le domande. Non è un esame universitario, loro devono fare spettacolo." Per non rompere la tradizione familiare di partecipazioni a programmi televisivi, nella compilazione seguo i suoi consigli e sotto a un paio di quesiti di cui non so la risposta scrivo "Enrico Papi" o "Antonella Clerici" o definisco Alberto Tomba "campione di corsa nei sacchi."

La seconda parte del provino è una presentazione davanti alla telecamera; in un paio di minuti devo raccontare un po' di me e di quello che ho scritto nel famoso modulo d'iscrizione. Entro e mi trovo di fronte un ragazzo col mio modulo in mano che inizia a farmi domande. Spiego che studio filosofia, che sono fissato con i miei capelli, che scrivo poesie, articoli e via dicendo—in pratica, è l'ennesimo match di Tinder con cui sono sicuro non concluderò niente.

Passano un paio di settimane e ricevo un'altra chiamata da Magnolia: mi hanno selezionato. Comincio a dubitare delle mia capacità di predire il futuro, e nel frattempo auguro ad Alberto Tomba la vittoria alla prossima competizione nazionale di corsa nei sacchi.

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Da quel momento, ogni volta che penso al programma il mio pensiero fisso è quello di evitare l'umiliazione. Forse non saprò rispondere a qualche domanda, è possibile, ma devo assolutamente uscirne bene, risultare simpatico—e in questo mi aggrappo alla battuta su Frizzi e Woody. Sono ancora più sicuro che quella li stenderà.

Un altro momento in cui cerco di stenderli.

Il giorno delle riprese, un martedì, l'autista della Rai mi porta dall'albergo agli studi, dove come accade per ogni concorrente mi aspetta il colloquio con l'autore del programma. Dentro un'angusta stanza Rai, suddetto autore avrebbe scelto cosa farmi dire e cosa no. Le prime parole che sento pronunciare dalla sua bocca sono: "No, 'sta cosa di Woody la togliamo. Tanto gliela chiedono tutti." Lo guardo cercando di abbozzare un sorriso, ma dentro di me sono disperato. E adesso?

Dopo aver distrutto i miei sogni, l'autore veste i panni del sergente maggiore Hartman e inizia a istruirci: "Ricordatevi che siete in TV e voi siete la parte principale del programma. Siate reattivi e quando non sapete cosa dire sorridete. Il sorriso è un paracadute in TV. Entrate nella mentalità del gioco, siate simpatici ma non parlate troppo, fatevi guidare da Fabrizio, è il suo lavoro."

Dopodiché facciamo qualche prova e viene spiegato cosa dovremo fare prima della puntata. Ovvero, nell'ordine: passare dal trucco, scegliere con la costumista uno dei tre "cambi" portati da casa, farsi microfonare, mai ringraziare per la bellissima esperienza durante il programma e non dire mai la parola "cipolla" (in caso non lo conosceste, quello della cipolla è Pedro, probabilmente uno dei concorrenti più famoso de L'Eredità, ricordato per aver fatto incazzare l'allora conduttore Amadeus infilando una serie di risposte a caso e poi auto-accompagnandosi fuori dallo studio).

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Nell'attesa di tre ore in camerino ricevo anche un plico di fogli altissimo. Subito penso mi abbiano scambiato per il nuovo stagista Rai, ma mentre sono quasi pronto a rassegnarmi a una vita di fotocopie noto che sono i riferimenti per il programma: link che rimandano a definizioni dall'enciclopedia o a siti scientifici vari e, soprattutto, una miriade di pagine con domande teoricamente "plausibili"—questo per evitare che qualcuno consulti tutti le voci in un tempo ragionevole. Per scrivere un singolo URL ci vorrebbe un quarto d'ora, quindi rinuncio e decido di fare un salto al buffet. Alle mie spalle una signora esce distrutta e in lacrime, eliminata da una puntata registrata che andrà in onda qualche giorno prima della mia (che, se volete guardare, trovate qui).

Al momento dell'ingresso in studio, il primo pensiero è che da casa sembra decisamente tutto più grande: la piattaforma per giocare, gli schermi dei concorrenti, tutto. Una volta dentro sei in un meccanismo ben oliato, una catena di montaggio semi perfetta, il che ti tranquillizza, nonostante tu abbia telecamere puntate sul volto e il pubblico che ti respira praticamente sulla nuca.

L'Eredità, dall'interno, è tutta un'altra cosa: ci sono piccole pause tra una manche e l'altra, addirittura pause di un quarto d'ora prima delle manche cruciali e continue interazioni con il pubblico da parte di concorrenti e conduttori, tagliate nel prodotto finale. Infine, la più grossa delusione è trovarmi davanti a un computer con la grafica di Windows XP al posto di quella che si vede da casa.

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È con crucci simili che affronto l'inizio della registrazione, finché per caso mi ritrovo alla fase finale, la Ghigliottina, senza neanche essere riuscito a contare quante volte Frizzi abbia detto "Scossa? Bene" (non avrei potuto farlo, dato che quest'anno non c'è più la Scossa, ma sono andato a L'Eredità anche per fare questa battuta).

Il momento della Ghigliottina.

Quindi mi siedo a quella grossa (ma dal vivo piccola) scrivania, con un pennarello indelebile in mano e cinque parole: PERDERE, VITA, PRINCIPIO,VERDE e METRO. Devo trovare quella che le leghi tutte, e farlo entro il limite di tempo—che passo quasi tutto a pensare inspiegabilmente a "verde" e Lega Nord.

Così, come molto spesso succede in puntata, negli ultimi secondi mi ritrovo a dover scrivere una parola pur sapendo benissimo che non si tratta di quella giusta. Ma non posso scrivere una parola qualsiasi, perché non voglio fare figuracce. Devo trovare una parola che c'entri con qualcuna di quelle date.

Mentre cerco di aprire il pennarello con immensa fatica (ho le mani sudatissime) me ne viene in mente una, che più che la soluzione col senno di poi mi sembra un'ottima richiesta d'aiuto: DIO. Scrivo di getto, senza pensare alle conseguenze, riflettendo solo su quanto stia bene con tre delle cinque parole date.

È solo quando Frizzi gira il cartoncino, mostrando lo sconcerto nei suoi occhi, che capisco immediatamente che la blasfemia è dietro l'angolo e incombe sull'intera trasmissione col rischio di sprofondare tutto nel trash. "Da uno a dieci, quanto sembra una bestemmia 'Dio verde?," mi chiedo. "Perdere Dio potrebbe essere considerato offensivo? Metro non suona un po' come Pedro? Sarò il nuovo Pedro?"

Così, mentre nella mia testa sono effettivamente già il nuovo Pedro—con l'aggravante della blasfemia—Frizzi mi conduce in una spiegazione quanto più pacata e poco blasfema possibile. Ovviamente Dio non è la parola corretta, ma in quei momenti l'unica cosa che mi preoccupa è trovare la serratura di casa cambiata per la vergogna di una madre che vede il proprio figlio far incazzare Fabrizio Frizzi su una rete nazionale.

Il giorno dopo, carico dell'esperienza da campione, mi faccio sbattere fuori con una domanda sulla tequila, ulteriore conferma che nella mia vita dovrei sbronzarmi più spesso. Ad oggi, tutto ciò che mi rimane della mia comparsata a L'Eredità sono le innumerevoli richieste di amicizia da parte di persone di ogni tipo, compresi un signore che voleva una foto dei miei piedi e un finto miracolato che voleva regalarmi dei soldi. Ma questa è un'altra storia.

Ah, la parola giusta della ghigliottina era LINEA.