A gennaio fra i vicoli del centro storico di Napoli non è raro imbattersi in ragazzini appena usciti da scuola che tentano di trascinare alberi e altri pezzi di legname dietro ai loro scooter. A volte lo fanno a mano, mentre uno guida, e l'altro sta dietro tenendo l'albero per la cima, e altre volte usano come rimorchi dei cassonetti dell'immondizia. Capita spesso anche di assistere a risse fra 15/20 ragazzi, dagli 11 ai 17 anni, che tentano di contendersi un tronco particolarmente grosso.
Gli abitanti di quartieri come Borgo Sant'Antonio, Sanità o Porta San Gennaro non ci fanno nemmeno più troppo caso: fa parte di un rituale annuale che da alcuni viene chiamato "la guerra del legno".
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Tutto è partito dalla tradizione del "Cippo di Sant'Antonio", un'usanza popolare che si svolge ogni 17 gennaio, per la festa del santo protettore. Nelle piazze dei vari quartieri del centro storico si costruiscono delle pile—ottenute mettendo insieme vecchi alberi di Natale e ogni altro tipo di legname—e poi si incendiano, dando vita a enormi falò.Un tempo era una festa per famiglie, ma dai primi anni Duemila il fenomeno si è trasformato: i gruppi di ragazzini dei vari quartieri hanno cominciato a sfidarsi ogni anno, cercando di creare il falò più alto, e la guerra per accaparrarsi il legname è diventata una questione di prestigio territoriale. Nei giorni e nelle notti che precedono la festa, le bande tentano di sottrarsi il legname penetrando nei nascondigli degli altri gruppi, ricavati in vecchi capannoni industriali o edifici abbandonati.
A gennaio di quest'anno il fotografo napoletano Luigi Lista ha passato qualche giorno con i ragazzi dei vari quartieri, prima del Cippo di Sant'Antonio, fotografando le raccolte di legno e i falò."Ormai la festa non ha alcun tipo di significato popolare," mi ha detto Luigi. "Tutto si è ridotto allo scontro fra bande. Questi ragazzi già a 11, 12 anni girano di notte per cercare il legname—a volte rubano addirittura gli alberi dagli spazi comunali—e hanno un senso di appartenenza al gruppo che richiama quello verso un vero e proprio clan. A volte vanno in giro con coltelli e tirapugni di metallo. La gara è una cosa seria, e in alcuni casi i falò arrivano fino al quinto o al sesto piano dei palazzi."
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Nel centro storico di Napoli, spiega Luigi, ci sono circa una decina di piccoli "clan", e capita che fra loro si creino delle alleanze. "Non è raro che fra gruppi 'alleati' ci sia uno scambio di alberi, perché magari alcuni non sono riusciti a recuperare dei tronchi abbastanza grandi."
Non è però raro che i rapporti tra i vari gruppi sfocino anche nella violenza, e nei giorni precedenti al 17 gennaio la polizia organizza ronde specifiche in tutta la città per impedire i falò. Quest'anno, secondo la ricostruzione fornita dal Mattino, "a Secondigliano, le baby gang hanno sabotato il camion Asìa su cui si stava caricando il legname, squarciando la gomma delle ruote. E in vico Sant'Anna alle Paludi, nel quartiere Mercato, sono state lanciate pietre ed altri oggetti contro i poliziotti."La percezione che alcuni giornali comunicano, del resto, è quella di una vera e propria situazione di emergenza. A dicembre, sul Mattino, il consigliere regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli parlava di gang che "stanno davvero diventando una sorta di scuola di formazione per i futuri camorristi."
Anche Luigi sottolinea questa sorta di limbo fra folklore popolare e dinamiche camorristiche. "Io lo definisco 'l'asilo dell'illegalità': questi ragazzi magari non saranno destinati a finire nel giro delle famiglie malavitose, ma in strada imparano un codice di comportamento che si porteranno dentro per lungo tempo."
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Qui sotto trovate altre foto dal reportage di Luigi.
Per vedere altre foto di Luigi, vai sul suo sito.