Focaccia
Tutte le immagini per gentile concessione dell'autrice
Cibo

Sono andata alla ricerca dello street food di Genova che i turisti ignorano

Se non hai mai fatto colazione con focaccia unta d'olio e cappuccino non sai cosa ti perdi.
I nostri insani food tour in tutta Italia, alla ricerca del cibo di strada migliore o ricette iconiche senza tempo.

“Per favore non fotografare la mia faccia perché sono agli arresti domiciliari,” dice il ragazzo in coda prima di me. Penso sia fantastico che qualcuno violi gli arresti domiciliari per una frittella di baccalà.

Essendo nipote di un panettiere che aveva la sua bottega in provincia di Genova, sono cresciuta in una casa in cui la focaccia non mancava mai. Casa nostra, al piano superiore del forno, si riempiva del profumo vagamente acido del pane a intervalli regolari: con le infornate prima dell’alba e alle cinque del pomeriggio. L’odore arrivava dai camini sul terrazzo e ti entrava nel naso. Sulle scale erano sempre visibili le impronte bianche delle scarpe infarinate di mio nonno.

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Così al mattino, nel caffè, ci mettevi focaccia. A ricreazione, focaccia. Se nel mezzo del pomeriggio ti veniva un certo languorino, scendevi nel forno e ti facevi dare un pezzo di focaccia dalle commesse. Se andavi da qualche parte, ti portavi dietro un vassoio di focaccia da offrire. L’assurda cena di mia madre consiste ancora oggi in cappuccino e… focaccia. Inutile dire che io avrei venduto l’anima per una merendina. E in effetti il pezzo di focaccia era la mia merce di scambio a scuola, roba che avrei potuto essere più popolare della capa delle cheerleader se fossimo stati in un teen drama.

Poi un giorno sono tornata a casa e ho trovato la serranda tirata giù. Da allora, le scale sono sempre pulite e la nostra dieta contiene meno carboidrati.

Eppure, molto tempo dopo la chiusura del nostro forno e la fine di quell’epoca, ho iniziato a comprare un pezzetto di focaccia ogni tanto. Capitava quando all’università avevo soltanto cinquanta centesimi per pranzare. Capitava quando venivano i miei amici “foresti”, termine con cui a Genova indichiamo quelli che non sono del posto (con tutto il disprezzo possibile). Capita da quando vivo all’estero, torno qui e mi viene un certo languorino.

Chi è foresto non lo sa, ma a Genova non è benvenuto. Sarà che siamo diffidenti, sarà che siamo tirchi. Quindi non fidatevi dei cartelli, né della tendenza da qualche anno a questa parte a fare bella figura con negozi specializzati in pesto nel centro storico. Sono trappole, e dio solo sa cosa potrebbe esserne di voi, del vostro portafogli e dell’originale cultura pre-gentrificazione una volta messo piede lì dentro.

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Piuttosto leggete questa guida al cibo di strada “resistente” e confondetevi coi locali. In una città che fatica a tenere aperte le attività commerciali e con l'indice di vecchiaia fra i più alti in Italia (253.3 anziani ogni 100 giovani secondo l'Istat), cosa rimane di buono da mangiare? Un caldo pomeriggio di luglio ho preso un seguito di fedelissimi tra cui il marito foresto e ho girato la città alla ricerca del migliore cibo di strada - compresa la stramaledetta focaccia.

La focaccia di Voltri

Focaccia Voltri Priano

Abbiamo organizzato il nostro tour in modo da attraversare tutta la città di Genova da ovest a est, per circa 65 chilometri lungo la costa e una puntatina nell’entroterra. Siamo partiti dal quartiere di Voltri, dove sorge il bacino portuale di Pra’. Decisamente affamati, siamo arrivati al panificio pasticceria Priano per scoprire che in tarda mattinata la celeberrima focaccia è già andata a ruba. “Non possiamo farvi fotografare le teglie vuote,” ci dicono. Buon segno e peggio per noi. Abbiamo potuto accaparrarci soltanto le ultime striscioline e fare qualche domanda.

Priano

La focaccia di Voltri, di cui Priano è orgoglioso portabandiera, si distingue dalla classica versione per il metodo di cottura e per lo strato di farina di mais sopra e sotto l’impasto. Viene preparata sulla pala di legno come una pizza e fatta scivolare dentro il forno. Questo movimento permette anche di estendere la pasta con un colpo da maestri, perché così si assottiglia e raggiunge fino a un metro e mezzo di lunghezza. Dopo una decina di minuti, è pronta una meraviglia di farina bianca e gialla, acqua, sale, lievito di birra e olio. Noi la assaggiamo nella versione più hardcore nonché la mia preferita: quella con le cipolle (una variante anche della focaccia classica).

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La focaccia al formaggio

Da Dria

Rifocillati, siamo pronti per la seconda tappa che ci porta a una breve digressione in campagna. Raggiungiamo l’Acquasanta, località nell’entroterra proprio sopra Voltri, famosa per le sue terme e l’osteria da Dria. Qui, a detta di parenti e amici, si può gustare la versione migliore della focaccia al formaggio. Una volta noi genovesi chiamavamo tutta la focaccia al formaggio “focaccia di Recco”, ma dal 2011 - quando è diventato marchio di Indicazione Geografica protetta (IGP) - è vietato chiamarla così se non è prodotta proprio a Recco, a una ventina di chilometri dal centro di Genova.

Da-Dria-Focaccia

Comunque quella che fa Francesco è buonissima e vederlo stendere la pasta usando persino i gomiti è qualcosa per cui bisognerebbe pagare il biglietto. Per una focaccia rotonda, dice, “ci vogliono 400 grammi di farina manitoba, 150 grammi di acqua, 25 grammi di sale, un cucchiaio da minestra di latte, uno di birra e po’ di cognac”. Quale birra? “Io di solito uso quella non filtrata, Ichnusa.” La farina manitoba garantisce elasticità e la pasta viene stesa sottilissima per lo strato sottostante e “sottilissimissima” per quello superiore. In mezzo, manciate di un formaggio composto da un chilo di stracchino e 250 grammi di prescinsêua, un prodotto tipico genovese dal sapore molto acido e simile alla cagliata.

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Da-Dria-Voltri

Francesco dice che la prescinsêua “d’estate può dare fastidio” ma d’inverno la quantità aumenta fino a mezzo chilo.

-Pizzicotti-Focaccia

Per completare l’opera, una serie di pizzicotti al secondo strato di sfoglia la cui disposizione non è casuale: “a metà fra il punto dove c’è il formaggio e il punto dove non c’è”, così un po’ fuoriesce e un po’ rimane al suo posto a farcire la pasta. Sette minuti in forno su un tegame in rame a 400 gradi ed ecco il capolavoro.

Da-Dria-Focaccia-di-Recco

Mangiarla con forchetta e coltello is for boys, tenere in mano un pezzo di focaccia al formaggio colante mentre te ne vai in giro is for men.

I fritti

Ci avviamo adesso verso il centro della città e iniziamo a fare sul serio con i fritti.

Friggitoria-San-Giorgio

La friggitoria San Giorgio di fronte all’Acquario è aperta tutti i giorni, compreso il lunedì, fino alle 21:30. Offre cartocci di frisceu (chiamati anche cuculli, sono frittelle di pastella semplici ed erba cipollina), verdure, baccalà, acciughe o gamberi impanati, oppure tutto insieme. Un’altra specialità è la panissa: a base di acqua e farina di ceci, si mangia in forma di tronchetti fritti tipo patatine ma anche di "budino" freddo tagliato a fette e condito a piacimento.

Fritti

A questo punto si apre il dibattito limone sì o limone no? Alcuni fra i presenti in coda sostengono che il limone serva per migliorare il gusto quando il pesce non è fresco o l’impanatura non è delle migliori, ma per me e il ragazzo alla cassa ci vuole sempre. Punto e basta.

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Nostro malgrado troviamo chiusa l’Antica Friggitoria Carega, dal 1942 attiva in Sottoripa (i portici antistanti al porto) ma chiusa per ferie. I genovesi ci vanno tutto l’anno, i foresti dovranno tornare.

Frittella-di-baccala

Infine, riusciamo a passare anche all’Antica Sciamadda (attiva dal 1814) per fare una foto dell’ultima frittella di baccalà rimasta. “Per favore non fotografare la mia faccia perché sono agli arresti domiciliari,” dice il ragazzo in coda prima di me. “Vuoi fare a metà?” Penso sia fantastico che qualcuno violi gli arresti domiciliari per una frittella che ha davvero un aspetto invitante, ma mi limito ad augurargli un buono spuntino.

La farinata

Farinata

L’Antica Sciamadda è anche specializzata in farinata. La bassissima torta salata ha gli stessi ingredienti delle “panisse” ed è cotta su un largo tegame di rame. La farinata cuoce a 400-450 gradi per mezz’ora perché deve diventare dorata, croccante fuori e morbida all’interno. “Il forno è a legna, perciò dev’essere a fiamma bella grossa perché deve avvolgerla bene,” ci dice Ania.

A Savona esiste una farinata “bianca” con la farina di grano e in giro per la Liguria si trovano varianti con le borragini, carciofi, salsiccia, stracchino, cipolla, zucca e gianchetti (i bianchetti dei pesci, teoricamente vietati).

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La stramaledetta focaccia

A noi due.

Focaccia-Casana

Antico Forno della Casana

La focaccia è fatta di farina, acqua, lievito, malto per dare colore e croccantezza, tantissimo olio. La ricetta originale prevede anche lo strutto nell’impasto, ma ormai molti panifici preferiscono usare l’olio dentro e fuori.

Antico-Forno-della-Casana

Antico Forno della Casana

Come dicevo, ormai sono cresciuta e più saggia perciò riesco ad apprezzarla. Comunque il giro di panifici è stato tosto. Ho raccolto consigli in giro e deciso di provarne il più possibile, però nominarli tutti sarebbe impossibile e per praticità ci siamo concentrati nella zona dei vicoli. “Ognuno ha le sue focaccerie,” ha detto il mio amico Luong. E come dargli torto. Ricordiamo per bontà l’Antico Forno della Casana in vico Casana, l’Antico Forno Patrone in Via di Ravecca e Focaccia & Co in Piazza Soziglia.

Focaccia-farcita

Focaccino

Fuori dal centro storico, e arrivata prima nella classifica di Papille Clandestine, la focaccia del Focaccino in Via Trebisonda è effettivamente la migliore che abbiamo assaggiato. “La focaccia buona è quella che ti lascia la voglia di mangiarne un altro pezzo,” dice il proprietario Ivan Lopez.

Focaccia-acciughe

Focaccino

Acciughe

Focaccino

Siamo stati fortunati perché abbiamo beccato il momento in cui veniva sfornata una teglia della focaccia special edition con sopra acciughe fresche pescate a Sestri Levante. “C’è qualcuno che non vuole focaccia intanto?” chiede la commessa nel tentativo di sfoltire la coda di persone. Nessuna risposta.

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La panera

Panera

Non sapevo cosa fosse fino a quando non me ne ha parlato la mia amica Laura. Una sorta di semifreddo al caffè a base di panna e servito con panna. È giusto aggiungerlo alla lista dei cibi di strada tradizionali perché i genovesi ne fanno uso da almeno un secolo. E poi un dolce ci vuole, no? Allora passiamo alla Cremeria Buonafede in Via Luccoli, che esiste dal 1913 e offre la sua versione con cialda firmata. E ci mangiamo anche la panera.

Il panino al pesce

Panino-Marino

All’ora dell’aperitivo, vuoi non fare un salto da Panino Marino? Sempre in zona Acquario, è un locale aperto da pochi anni ma ispirato alla tradizione e portatore dello slogan “il panino che non c’era”. I panini sono tutti a base di pesce: tonno, salmone, calamari, merluzzo, polpo. Resta un posto in cui i genovesi fanno sosta volentieri, seppure un po’ chic rispetto all’ambientazione (gli avventori sorseggiano vino tra un selfie e l’altro) e ultimamente si sia aggiunta la sicuramente meno tradizionale Poké Box.

La focaccia di Recco

All’ombra dell’ultimo sole, abbiamo deciso di concludere il tour dove la focaccia al formaggio diventa focaccia di Recco e ha persino un bollino per attestarlo. Qui il formaggio utilizzato è esclusivamente uno stracchino speciale preparato da Invernizzi per tutta la città.

Focaccia-di-Recco

La proprietaria del Panificio Moltedo, Luisa, ci ha fatto accedere al retro per vedere lo stesso forno che usano ancora dagli anni ‘70. Come la focaccia di Voltri, anche questa ha uno strato di farina sotto e cuoce direttamente sul ripiano. “Abbiamo un forno particolare che facciamo girare con una manovella così non dobbiamo spostare le focacce”, ci ha detto.

Recco

Come ogni volta che mi è capitato di entrare nella bottega di un panificio, mi è venuta nostalgia. Più tardi, di fronte alla sua cena-colazione, mia madre mi ha ricordato che noi avevamo lo stesso tipo di forno rotante: “c’era una specie di timone che si spostava col piede” e mio nonno controllava tutto dall’alto della sua postazione. “La chiamavamo la cabina del DJ.”

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