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Se pensi che il terrorismo bianco non sia un problema, hai un grosso problema

L’attacco a Christchurch in Nuova Zelanda dello scorso venerdì racchiude tutte, ma proprio tutte, le tendenze del suprematismo bianco del nuovo millennio.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
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Una delle armi usate da Brenton Tarrant per fare la strage, e postate sul suo account Twitter (poi rimosso).

La violenza suprematista e di estrema destra è in aumento in tutto il mondo occidentale: negli ultimi nove anni abbiamo avuto Oslo e Utoya, Oak Creek, Charleston, Macerata, Finsbury Park a Londra, l’omicidio della deputata Jo Cox in Inghilterra, Quebec City, e Pittsburgh.

L’attacco a Christchurch in Nuova Zelanda dello scorso venerdì è solo l’ultimo, spaventoso esempio in ordine cronologico. Ma ha anche una sua specificità: è un’azione che racchiude tutte, ma proprio tutte, le tendenze del suprematismo bianco del nuovo millennio.

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Anzitutto, la convinzione principale dell’attentatore Brenton Tarrant—quella con cui ha intitolato il suo manifesto—è che siano in corso una “sostituzione etnica” della razza bianca e addirittura un “genocidio dei bianchi.” Ovvero, le due teorie del complotto che hanno raggiunto un’egemonia pressoché totale nel variegato campo dell’estrema destra.

Non mancano poi gli elementi di base quali razzismo, islamofobia, il panico nei confronti del “marxismo culturale” o il femminismo, e l’odio assoluto verso i nemici “traditori” interni che permettono—o aiutano—il “genocidio dei bianchi”: non va mai dimenticato il fatto che Anders Behring Breivik non ha colpito gli stranieri, ma giovani e giovanissimi socialisti norvegesi.

In secondo luogo c’è il processo di radicalizzazione (graduale o velocissimo che sia) che avviene al di fuori dei circuiti tradizionali e organizzati, e dunque principalmente online—attraverso la frequentazione di forum, YouTube e altri social network, e il consumo di video e servizi realizzati da personalità mediatiche di destra. Nel caso di specie, poi, si è probabilmente raggiunta l’apoteosi: l’attentato è stato corredato di simboli ben precisi, meme, shitposting e “trollate” vari; tra cui frasi contenute nel manifesto di Tarrant come “Spyro the Dragon 3 mi ha insegnato l’etno-nazionalismo.”

A tutto ciò si aggiunge l’utilizzo—consapevole o meno—della tattica della “resistenza senza leader” (leaderless resistance): un concetto coniato negli anni Ottanta dal veterano del Vietnam e suprematista bianco americano Louis Beam, che predilige piccolissime cellule o anche atti individuali in modo che le forze dell’ordine non riescano a infiltrarsi o prevedere il “passaggio all’atto.”

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Parlare di “lupi solitari,” come solitamente si fa, è però profondamente sbagliato. E per un motivo molto semplice, come ha più volte sottolineato il giornalista inglese Jason Burke: queste persone non sono mai davvero dei “solitari”; hanno collegamenti e interazioni—sia virtuali che reali—con altri. Non è il terrorismo di estrema destra che abbiamo conosciuto tra gli anni Settanta e gli Ottanta, insomma; è qualcosa di molto diverso.

Anche perché il suo obiettivo non è destabilizzare un paese in combutta con apparati statali e internazionali; piuttosto, è quello di far scoppiare una “guerra razziale” o creare un “etno-stato” bianco. Del resto, questi ultimi sono miti ben radicati nel milieu suprematista e risalgono almeno agli anni Settanta—quando, cioè, sono stati pubblicati romanzi razzisti come I Diari di Turner negli Stati Uniti, o Il Campo dei Santi in Francia.

Tutti i riferimenti di Tarrant, inoltre, indicano quanto sia andato avanti il processo di globalizzazione del suprematismo—ormai in grado di avere lo stesso linguaggio, le stesse parole d’ordine e le stesse modalità. È esattamente per questo, tra l’altro, che l’attentatore di Christchurch ha citato Luca Traini nel manifesto e sul caricatore: l’ha riconosciuto come uno di loro. Inoltre, già dopo la sparatoria del febbraio 2018, su 4chan e 8chan erano apparsi una serie di meme che idolatravano Traini; e questo perché contano le azioni, non le parole né tanto meno le scuse o le “dissociazioni.”

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Tuttavia, e qui ci troviamo di fronte a uno degli aspetti più preoccupanti, questo tipo di violenza è per lo più sottovalutata dalle forze dell’ordine, o minimizzata dalla politica—e sempre con le solite argomentazioni: si parte dal derubricare il tutto al gesto di un “folle criminale” (che al limite voleva “vendicare” qualche torto), e nell’arco di pochissimo tempo si sposta il piano della discussione: e allora l’“invasione”? E allora gli “islamici”? E allora i videogiochi violenti?

È esattamente quello che è successo dopo Christchurch. Trump ha subito detto che il suprematismo bianco non è un problema (i dati dicono il contrario), e che al massimo si tratta di un manipolo di persone con “problemi”; mentre Salvini ha ribadito che il vero pericolo è il terrorismo islamico, perché “le frange di estrema destra e sinistra rappresentano nostalgici fuori dal mondo e dal tempo che meritano una condanna morale.”

Con ogni evidenza, però, le posizioni tra le frange della destra più radicale e la politica “istituzionale” si sono assottigliate sempre di più. Il caso del “genocidio dei bianchi” è lampante, visto che negli ultimi anni—pensiamo solo ad alcune dichiarazioni di Trump, Salvini o Attilio Fontana—è riuscito a penetrare nel mainstream. E non si può nemmeno dimenticare il fatto che Tarrant, nel suo manifesto, ha lodato Trump come un “simbolo di rinnovamento dell’identità bianca”; mentre Alexandre Bissonnette, l’attentatore di Quebec City, aveva espresso ripetutamente il suo supporto al presidente americano.

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Non si tratta, ovviamente, di tracciare una responsabilità diretta o qualche forma di istigazione indiretta. È chiaro che non c’è. Ma la minimizzazione del terrorismo suprematista, a cui viene negata ogni matrice ideologica, ha conseguenze dirette sulla prevenzione e repressione del fenomeno.

Solo l’anno scorso, l’ex capo dell’antiterrorismo britannico ha detto che il Regno Unito non si è ancora “svegliato” sul tema. Negli Stati Uniti, il Soufan Centre—fondato dall’ex agente dell’FBI Ali Soufan—denuncia da tempo il “doppio standard” delle autorità americane sul terrorismo islamico e quello suprematista. E il ricercatore J. M. Berger, sul Guardian, ha scritto che “le risorse e l’attenzione dedicata alla violenza dell’estrema destra sono semplicemente insufficienti.”

Nel frattempo, come ha sottolineato l’autore di Fascism Today Shane Burley, il vero pericolo continua a essere rappresentato da questo impasto di retorica apocalittica e impotenza percepita. Ed è esattamente dall’intersezione di questi due poli che spuntano fuori i Tarrant—ossia soggetti marginalizzati e radicalizzati, pronti a tutto pur di fermare il “genocidio” della razza bianca in corso.

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