Attualità

Mentre c'era il più grave naufragio del 2019, la Camera ha criminalizzato il soccorso in mare

Secondo l'Unhcr, due barche si sono rovesciato al largo della Libia uccidendo più di 100 persone. Nel frattempo, la Camera ha approvato il cosiddetto "decreto sicurezza bis."
Leonardo Bianchi
Rome, IT
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L'immagine non si riferisce al naufragio avvenuto al largo della Libia, ma ad un'altra operazione di salvataggio in mare della guardia costiera italiana. Grab via YouTube/Guardia Costiera.

Oggi l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha dato la notizia di un terribile naufragio al largo della Libia, in cui hanno perso più di 100 persone la vita—mentre altre 140 sarebbero state riportate nel paese sconvolto da anni di guerra civile.

Secondo Charlie Yaxley, portavoce dell’Unhcr, la due barche erano partite da Homs (120 chilometri a est della capitale Tripoli) e si sono rovesciate a cinque miglia dal porto. I migranti sono stati soccorsi dai pescatori locali, per essere poi consegnati alla cosiddetta guardia costiera libica e portati in “tre centri di detenzione tra Misurata, Khoms e Slitan.”

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Citando le testimonianze dei sopravvissuti, Medici Senza Frontiere ha parlato di “almeno 70 corpi in acqua” e aggiunto che le persone “sono sotto choc e hanno sintomi di pre-annegamento come ipossia e ipotermia.”

L’alto commissario Filippo Grandi ha dichiarato che si tratta del “più tragico naufragio nel Mediterraneo di quest’anno.” In un tweet, ha poi chiesto di “ripristinare il salvataggio in mare, porre fine alla detenzione di rifugiati e migranti in Libia, e aumentare i percorsi sicuri” prima che per “molte altre persone disperate sia troppo tardi.”

Già lo scorso 12 luglio, dopo il bombardamento di un centro di detenzione per migranti a Tajoura, l’Unhcr e l’Organizzazione Internazionale per le migrazioni (Oim) avevano rilasciato un comunicato congiunto per sottolineare la gravità della situazione in Libia e della rotta mediterranea.

“È necessario compiere ogni sforzo per impedire che le persone soccorse nel Mediterraneo siano fatte sbarcare in Libia, Paese che non può essere considerato porto sicuro,” si legge nel documento. “Si dovrebbe istituire con urgenza un meccanismo di sbarco temporaneo che consenta una condivisione di responsabilità a livello europeo. Le navi delle ONG hanno svolto un ruolo […] fondamentale nel Mediterraneo e non devono essere penalizzate per il soccorso di vite in mare.”

Proprio nelle ore in cui avveniva il naufragio, l’Italia è però andata nella direzione opposta. La Camera ha infatti approvato in prima lettura il decreto sicurezza bis voluto dal ministro dell’interno Matteo Salvini e fortemente criticato da diversi esperti.

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Il testo contempla infatti una serie di misure volte a colpire ulteriormente il soccorso in mare—viste all’opera nei recenti casi Sea Watch 3 e Mediterranea. In particolare, l’articolo 1 stabilisce che il ministro dell’interno (insieme a quello dei trasporti e della difesa) possa “limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale” per ragione di ordine pubblico e sicurezza, e quando si ritiene che si sia commesso il reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.”

Il decreto prevede anche un pesante apparato sanzionatorio: si va da un minimo di 150mila euro a un massimo di un milione in caso di “violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane,” e si arriva anche alla confisca della nave. Per finire, c’è pure l’arresto in flagranza per il comandante che compie il “il delitto di resistenza o violenza contro nave da guerra”—quello, per capirci, di cui è accusata Carola Rackete.

Il cuore del provvedimento, insomma, è la criminalizzazione pressoché totale del soccorso in mare. Eppure, nonostante la propaganda sugli “sbarchi zero” o sul presunto pull factor delle Ong (che non esiste), la realtà continua a dirci una cosa: la rotta mediterranea rimane la più letale al mondo.

Come ha spiegato Federico Fossi, uno dei portavoce di Unhcr Italia, a Redattore Sociale, “la percentuale di persone morte in mare è passata da 1 su 29 dell’anno scorso a 1 ogni 6 di quest’anno.” Il problema, per Fossi, è evidente: “non essendoci più dispositivi di ricerca e soccorso come negli anni passati, il rischio è altissimo e percentualmente, nonostante il calo degli arrivi, le vittime aumentano.” Fino a qualche anno fa le Ong, prosegue il portavoce, “erano arrivate a soccorrere il 40 per cento di persone in mare, avevano cioè un ruolo fondamentale”.

Oggi che dalla Libia si continua a partire, tuttavia, le Ong non solo non ci sono più; sono pure perseguite come il nemico pubblico numero uno. E questi, purtroppo, sono i risultati.

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