mode alimentari 2010 2019
Illustrazione by Juta
Cibo

Le 10 mode alimentari che hanno cambiato gli anni '10

Dieci anni che sono volati bevendo birre artigianali, hamburger gourmet e guardando alla cucina nordica come unica aspirazione.
Andrea Strafile
Rome, IT

L'operazione nostalgia caratterizza da sempre l'editoria online, e anche qui a Munchies ci siamo fatti prendere la mano. Ci siamo concentrati analizzando gli ultimi 10 anni del mondo gastronomico/ristorativo, per capire quali sono state le mode alimentari che hanno davvero cambiato questo settore e i nostri consumi. E siamo partiti dal 2009, quando il Noma è diventato punta di diamante di una nuova rivoluzione gastronomica, a oggi, che facciamo kombucha pure con nostra nonna.

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Alcuni di questi trend, poi diventati veri e propri modi di consumare o cucinare, sono andati ad arricchire e completare un quadro in cui la cucina è più "consapevole", attenta alla sostenibilità ambientale, al benessere animale, all'etica del lavoro.

Ma per intraprendere un tale viaggio nei meandri della storia, del mercato e dell’informazione sull’enogastronomia ci siamo affidati a persone molto più autorevoli. Giornalisti, critici, esperti e artigiani ci hanno aiutato a districare la matassa dai contorni opachi, molto opachi.

2009: New Nordic Cuisine

Il pensiero di Redzepi era: non sposterai mai nessuno da casa per venire nel tuo ristorante, se non cucinerai il tuo terroir

Iniziamo da un anno che non rientra proprio nel decennio, ma che non potevamo ignorare. Era il 2008 e Ferran Adriá stava solido sul tetto dei migliori ristoranti al mondo nella classifica dei World's 50 Best, per molti gli Oscar della ristorazione. Ma da tre anni un tipo di nome Rene Redzepi, di base a Copenaghen, si stava già facendo largo a spallate in classifica. All'epoca il suo Noma stava al 33esimo posto. Nel 2010 è salito sul tetto della classifica, posizione che ha mantenuto anche nel 2011 e nel 2012, oltre che esserci tornato nel 2014. Da questo momento la Cucina Nordica, o New Nordic Cuisine, esce dai confini della Danimarca, e sbanca tutto.

Per saperne di più abbiamo contattato Paolo Vizzari, preparatissimo su storia della cucina, ristorazione e menu.

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"Il bello della New Nordic Cuisine," mi dice Paolo, "è il suo essere nata come esigenza." L'esigenza di far conoscere un territorio. "Il pensiero di Redzepi era: non sposterai mai nessuno da casa per venire nel tuo ristorante, se non cucinerai il tuo terroir. Non importa dove sei, ma cucina il tuo terroir e la gente verrà da te per conoscerlo." E se questa filosofia la applichi audacemente in un posto dove i piatti tipici sono pane di segale e aringhe sottaceto, cambi un sacco di carte in tavola.

Ma perché questa Nordic Cuisine è così importante? Perché dal pesce affumicato sono passati a incredibili sperimentazioni sulle rape? Perché, nel bene e nel male, ha fatto tendenza, una doppia tendenza, come spiega bene Paolo. "A questo punto hai uno sdoppiamento tra quelli che hanno capito l'essenza della filosofia alla base di Redzepi e il loro opposto: cucinare quello che offre il tuo territorio (come Alex Atala in Brasile ed Enrique Olvera in Messico) o fare delle storture. Fermentare a Positano può essere una stortura, per dire." Insomma, il concetto è "valorizza il tuo territorio, non copiare quello che hanno fatto altri a tutti i costi."

E oggi che fine ha fatto questo modello di cucina? “Copenaghen è il centro, da dove tutto è partito. Oggi ci sono cose interessanti a Stoccolma e delle piccole gemme alle Isole Far Oer. La Norvegia è ancora indietro invece, perché sono ricchissimi e non ci sono quasi chef norvegesi disposti a mettersi in cucina. Il più interessante, Maæmo a Oslo, ha uno chef danese, per dire.” Con la notizia imminente della chiusura del Fäviken, uno dei pilastri della Nordic Cuisine, possiamo chiudere la finestra su questo trend.

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Adesso entriamo ufficialmente negli anni 10.

2010: La Cucina Molecolare

All'inizio degli anni '10 cambiano i sistemi per cucinare, i macchinari e l'innovazione entra prepotente nel mondo della cucina italiana. L'80% degli chef intervistati nel 2010 ha dichiarato di usare metodi e strumenti di cottura "moderni": sifoni, centrifughe ad altissime velocità, roner, siringhe

cucina-molecolare-trend-alimentare

Attenzione: qui non parliamo della nascita, parliamo di trend e consolidamento. Di quanto qualcosa è diventato discusso, conosciuto, patrimonio "comune" anche dei non addetti ai lavori. Il 2010 è stato l'anno della cucina molecolare.

Il 2009 Striscia la Notizia fa uno dei suoi finti scoop: parla di questo fantomatico chef spagnolo, che "inganna" con la sua cucina strana, artificiale: Ferran Adrià. Ferran, considerato l'inventore della cucina molecolare, chiuderà El Bulli un anno dopo. Davide Scabin stava già facendo le sue cose matte al Combal.Zero da un decennio, e così Ettore Bocchia sul lago di Como.

Ma nel 2010, l'Accademia della Cucina Italiana intervista 20 dei più importanti ristoranti italiani sul concetto di tradizione e innovazione. Quasi tutti loro hanno rifuggito la definizione di "Cucina Molecolare", sentendosi invece guardiani di tradizioni e ingredienti, chiamandola a volte anche "Modernista".

I numeri però dicono un'altra cosa: all'inizio degli anni dieci del Duemila cambiano i sistemi per cucinare, i macchinari e l'innovazione entra prepotente nel mondo della cucina italiana. L'80% degli intervistati nel 2010 ha dichiarato di usare metodi e strumenti di cottura "moderni": sifoni, centrifughe ad altissime velocità, roner, siringhe. Secondo Dario Comini, padre della Mixology Molecolare e proprietario del Nottingham Forest a Milano: "Molecolare significa sperimentare. Essere innovativi." Sul piatto iniziano a trovarti arie, spume, sferificazioni - con più o meno criterio.

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"Fino agli anni '90 i drink erano completamente statici. A me è venuto in mente che ci si poteva giocare molto, invece, mi dice Dario. "Il fermento era proporre qualcosa di diverso, in contenitori diversi. Oggi non si può più parlare di molecolare perché non si sperimenta più e spesso è un termine abusato." Però in quell'anno tutti volevano dire la propria, dalla trattoria al cocktail bar che sferificava a più non posso. "Quello che non è stato capito, all'epoca, è il fatto che non erano tecniche fini a loro stesse," mi dice Dario. "Non basta una sferificazione: è un gioco di più elementi che vanno insieme."

2011: la Birra Artigianale

"Di birra artigianale si inizia a parlare in maniera blanda nel 1996. Erano in sette a farla, in tutta Italia. Da quel momento c'è stato un picco che ha portato l'Italia a essere uno dei più interessanti poli della birra artigianale

Birra Artigianale 2011

"Di birra artigianale si inizia a parlare in maniera blanda nel 1996", mi dice Lorenzo Dabove in arte Kuaska, un guru nel mondo brassicolo, giornalista, storico, assaggiatore, come ama definirsi: 'un talebano della birra artigianale'. "Erano in sette a farla, in tutta Italia. Ed erano tutti dei brew pub -cioè vendevano la birra che si producevano al loro stesso bancone. Da quel momento c'è stato un picco che ha portato l'Italia a essere uno dei più interessanti poli della birra artigianale."

Il 2011 è l'anno, più o meno sfocato, in cui i birrifici artigianali italiani hanno raggiunto il picco massimo di notorietà, sperimentazione e conoscenza. Un lavoro durato anni, che ha portato nell'olimpo dei birrifici storici e ne ha fatti crollare altri (dipende se per "crollare" pensate all'artigianalità o al fatturato, fatto dalle fusioni con aziende internazionali).

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"Noi italiani in quell'anno eravamo, e siamo ancora oggi, la rivoluzione della craft beer," mi dice Kuaska. "Esportiamo da matti, apriamo locali italiani all'estero." Da quel momento è avvenuta una scrematura che prende in considerazione, secondo Kuaska, tre canoni principali: "Considerarsi imprenditori-artigiani, lottare contro il nemico industria conoscendone punti deboli e forti, e il confronto con i laboratori. Perché sono i lieviti a fare le birre." Nel 2011 i premi di Unionbirrai, concorso annuale per eleggere le migliori birre per categoria, hanno visto tanto un consolidamento delle birre diciamo più conosciute (passatemi il termine: intendo tipo le pils e le rosse e le IPA), quanto un bel fermento in fatto di sperimentazione. "A volte non ricordo nemmeno i loro nomi. Non perché i nuovi birrai non siano bravi, eh, magari è l'età, ma c'è stata una tale esplosione che è difficilissimo ricordarseli. E stanno nascendo anche nuove generazioni di publicans - i manager dei pub - sempre più preparati."

Bonus: se volete c'è un portale fighissimo dove trovate tutti i birrifici artigianali esistenti, compresi quelli ormai chiusi.

2012: l'Hamburger Gourmet

Ad essere precisi si comincia a parlare di panino nell'alta ristorazione nel 2000, quando Daniel Boulud a New York decise di mettere una fetta di fois gras tra due fette di pane da servire agli agiati clienti di New York

Hamburger Gourmet trend alimentari

Premettiamo che parlare di hamburger gourmet non significa davvero niente. Però il 2010 ne segna l’inizio e il 2012 la consacrazione: grazie a due posti: una panineria di Torino, M** Bun (Mac Bun è il nome. Il Mac si omette per motivi ironici che potete ben immaginare) e un ristorante di Milano, Al Mercato, che ha spopolato con i suoi hamburger e panini gourmet.

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Negli USA il concetto di panino gourmet - inteso come panino in cui puoi metterci anche ingredienti più costosi dentro - era in voga già da parecchio tempo. Ad essere precisi si comincia a parlare di panino nell'alta ristorazione nel 2000, quando Daniel Boulud a New York decise di mettere una fetta di fois gras tra due fette di pane da servire agli agiati clienti dell'Upper East Side. Nel caso di M** Bun e dei suoi ideatori Francesco, Graziano e Paola, la questione si può riassumere così: "Perché non fare un Fast food con dei piatti fatti della nostra carne prodotta in loco e con attenzione alla qualità di tutti i prodotti? Copiare un format americano e farlo diventare italiano e piemontese. Scegliere dei fornitori che hanno sempre la stessa modalità di pensiero: tutto deve essere fresco. Iniziamo parlando di hamburger, non di gourmet. Buono ma sano."

In Italia uno degli iniziatori del trend è stato Al Mercato Burger Bar. Il fondatore Eugenio Roncoroni mi ha spiegato che: "Io e il mio socio Beniamino Nespor eravamo per metà americani. E siccome a pranzo abbiamo iniziato a fare panini senza i soliti salumi, abbiamo deciso, nel 2011, di aprire un posto che facesse solo hamburger e panini gourmet. Panini di qualità." Nel 2012, per due anni, hanno avuto una fila di due ore e mezza tutti i giorni. C'era una richiesta sempre maggiore, che ha portato a farli evolvere e a giocare sempre di più. "Il rischio qui," mi dice Eugenio, "è stato che poi tutti parlassero degli hamburger e non del ristorante. Quindi da un lato è stato importante per noi, dall'altro un po' un limite. Ma oggi tutto coesiste perfettamente."

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Nel 2012 quello che ha fatto smuovere il mondo europeo rispetto al nuovo modo di vedere l'hamburger è stato il libro "Hamburger Gourmet" di Victor Garnier, che cominciava a parlare di hamburger "jolie", "chic" e "sympa". Oggi le hamburgherie gourmet si sono diffuse a macchia d'olio: si va dal ripieno con gli ingredienti più disparati (e più o meno pregiati) a lavori sul pane stesso, che si fa colorato, coi semi, con legumi, con qualsiasi cosa. Ovviamente tutto ciò ha avuto un rovescio della medaglia: lo sfruttamento dell'onda lunga del trend da parte di catene di fast food come Mc Donald's, che hanno pensato bene di fare periodicamente dei panini in collaborazione con chef blasonati. Nel 2011, per esempio, vi ricorderete della selezione fatta da Gualtiero Marchesi. Da lì in poi la strada è stata spianata con i vari Cracco, Bastianich ecc. Ma l'onda lunga ha trascinato anche chi voleva fare qualità, quindi ora possiamo dare un paio di euro in più, rispetto a un fast food che vi mangia il fegato, per dei panini pazzeschi.

L'hamburger gourmet non è morto, sta molto bene e, francamente, ci piace sempre un casino andarcelo a mangiare.

2013: lo Street Food

Questo è il periodo specifico delle Api che si facevano largo per le strade della città e cominciavano a soppiantare i paninari zozzoni ai concerti

Street Food moda alimentare 2013

Il 2013 è l'anno dello street food. Da qualche anno erano cominciate le prime apparizioni di chef blasonati a cucinare dietro Ape Car scassate, ma riverniciate a puntino: complice anche Le Fooding, la guida francese che organizzava, tra le altre cose, festival tra Francia, Italia e USA. È l'anno in cui Eataly organizza il primo Street Food Festival a Roma per il primo compleanno del negozio capitolino.

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Ad aiutarci Alessia Rizzetto, che rappresentava Le Fooding in Italia in quegli anni, e che adesso ha un'agenzia di comunicazione. "All'estero fenomeno dello street food è nato qualche anno prima. Io per esempio mi ricordo di tre o quattro eventi - tra Parigi, Milano e New York - dove chef tra i migliori del mondo si divertivano un sacco a cucinare nei food truck." Il 2013 è l'anno in cui dilaga e gli chef, oltre ai truck mobili per eventi e fiere, cominciavano a investire per averne di fissi e itineranti tutto l'anno. La chef stellata Cristina Bowerman, per esempio, ha fatto la sua Apecar "Romeo". In pratica tutti avevano un food truck: "Lo street food è gestibile, economico e i cuochi avevano finalmente un piccolo palco dove cucinare la loro cucina da mangiare in maniera disinvolta in piedi."

Questo è il periodo specifico delle Api che si facevano largo per le strade della città e cominciavano a soppiantare i paninari zozzoni ai concerti. "Lo street food permette a tutti di provare una certa cucina. Anche chi non è proprio un gourmet può provare un piatto di qualcuno che magari ha visto in TV, da cui una cena può essere inaccessibile, " dice Alessia. E succede, in questo momento, anche una cosa strana: cominciano a esserci i primi casi di chi apre un locale partendo da un furgoncino. Il caso più eclatante, un paio di anni dopo è stato quello di Zibo, fatto da due ragazzi della scuola di cucina Alma.

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Oggi gli "street food festival" si sono moltiplicati, sempre più settorializzati, e un panino con la mortadella nell'Apecar disegnata come una mortadella ti costa circa 8 euro. Moda passata e consolidata: andiamo avanti.

2014 Il Biologico e i SuperFood

Nel 2014 e 2015 si comincia a parlare di una nuova agricoltura, molte aziende di stampo canonico cominciano a salvarsi convertendosi in biodinamiche. In pochissimo tempo si accorgono dell'affare i supermercati, che cominciano a fare le loro linee biologiche.

trend biologico

Avete mai letto il "Dilemma dell'Onnivoro" di Michael Pollan? In sostanza dice davanti agli scaffali del supermercato siamo come gli uomini primitivi, che non sapevano quale erba potevano mangiare e quale no. Soprattutto da quando ci sono un sacco di scatole che riportano quella fogliolina verde che indica un prodotto biologico. Ecco, l'isteria di massa parte da qui, il che è un bene da una parte, e un male dall'altra.

Giorgio Pace da anni gestisce un posto, Bottega Merenda, dove vende, tra le altre cose, prodotti biologici e biodinamici presi da aziende certificate da lui stesso facendo dei giri per il Lazio. "Apro il mio locale nel 2013 e in quell'anno abbiamo fatto fatica. Poi c'è stata una svolta." Il 2014 è un anno importantissimo per il biologico perché si stanziano i primi fondi europei per l'agricoltura biodinamica. Da questo momento in poi la tendenza del bio si estende a macchia d'olio, con numeri pazzeschi. "In quest'anno e nell'anno successivo si comincia a parlare di una nuova agricoltura, molte aziende di stampo canonico cominciano a salvarsi convertendosi in biodinamiche. In pochissimo tempo si accorgono dell'affare anche le GDO, le Grandi Distribuzioni Organizzate (i supermercati per farla breve), che cominciano a fare le loro linee biologiche."

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Il 2014 è l'anno delle classifiche dei superfood, delle decine di blog a tema vegetarianesimo/bio/salute che impazzavano su internet. Tra i superfood più quotati vi ricorderete sicuramente le bacche di goji, quelle piccole bacche rosse provenienti dal Tibet che fungevano da ottimi antiossidanti (antiossidanti è una parola che da qui in poi sentiremo spesso) e da regolatori del PH sanguigno (prima non sapevamo manco di averne uno). O ancora l'avocado, che potrebbe sembrare il superfood più superfood nell'anno dei superfood, che rimaneva saldo in testa alla classifica con un volume di 10 tonnellate importate. Il 2014 pone le basi per la moda dell'Avocado Toast in giro per il mondo: se ne comincia a parlare come di un fenomeno socialmente allarmante sul New Yorker e la nostra collega Lauren Oyler di Vice USA dice che proprio nel 2014 si può considerare il piatto della nuova, giovane, borghesia. Il biologico e l'healthy food oggi vanno ancora a gonfie vele.

Grazie a dio i superfood stanno morendo. Tranne l'avocado, quello sta facendo ancora un gran casino.

2015: il Foraging

"C'è l'idea che fare foraging significhi raccogliere quello che è commestibile. E spesso si strappano le piante. Ma il foraging è un'altra cosa: è essere acculturati sui diversi tipi di piante selvatiche in modo da trattarle con il giusto rispetto."

Foraging

Saltiamo leggiadri verso il 2015, che è l'anno dell'Expo di Milano, ma anche quello del foraging, ovvero la raccolta di erbe, fiori e piante spontanee, selvatiche, che poi vengono utilizzate in cucina. Quella pratica che i nonni facevano in campagna, senza pensarci troppo, è diventata una moda a tutti gli effetti fatta di foglioline e fiorellini su ogni piatto. E passeggiate in mezzo ai boschi, naturalmente. In quest'anno Redzepi lancia "Vild Mald", un progetto/manifesto per coinvolgere scuole e persone a fare dei corsi gratuiti alla scoperta del territorio. Insomma, andare con lui a fare foraging.

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Uno dei massimi esperti di foraging in Italia è lo chef Piergiorgio Parini, che lo fa inconsciamente fin da piccolo e consapevolmente al ristorante Il Povero Diavolo di Torriana, dal 2006 fino al 2017. "Sono cresciuto in una famiglia contadina in Romagna. Tutti mangiavano erbe e piante che crescevano nel bosco, lungo i fiumi, ovunque," mi racconta Piergiorgio. "La mia idea è stata prendere la pratica antica della raccolta delle erbe e cucinarle in chiave moderna, perché una volta si stracuocevano o si mangiavano crude come germogli." Secondo lui la pratica del foraging, che sta spopolando (sia nella figura dello chef che va fisicamente a raccogliere, sia nello chef che si affida a un'altra persona), viene spesso fatta nella maniera sbagliata. "C'è l'idea che fare foraging significhi andare in un posto e raccogliere quello che è commestibile. E spesso si strappano le piante come se niente fosse. Ma il foraging è un'altra cosa: è essere acculturati sui diversi tipi di piante selvatiche in modo da trattarle con il giusto rispetto. Non puoi semplicemente prendere del tarassaco: devi prenderlo con misura, cercare di ripiantarlo, rispettare la biodiversità."

Nel 2015 Expo apre molti canali e ne apre soprattutto in chiave naturale e anti-spreco: c'è chi, in questo momento, raccoglie i frutti di un lavoro avviato da qualche anno (come Valeria Mosca e il suo Wooding). Piergiorgio Parini non era uno di questi: "Quando ho visto che tutti hanno iniziato a faro, che era diventata una moda, ho deciso di smettere. Non mi piace seguire le mode e non mi piace che non abbiano un criterio. Il lavoro che ho fatto," mi dice, "era importante tanto per conoscere il territorio, quanto per preservare e cercare di coltivare alcune specie di piante." Speriamo che la moda si limiti col tempo e restino la qualità e la consapevolezza: Alessandro Miocchi di Retrobottega, ad esempio, si sveglia all'alba tutti i lunedì per andare a raccogliere e costruire poi i piatti in base al raccolto.

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2016: la Fermentazione e i Probiotici

I fermentati sono sempre stati nella nostra cultura mediterranea, non bisogna guardare per forza al Noma e al Nord Europa. Basta pensare alle olive in salamoia, o al pane.

Fermentazioni e probiotici

Il gatto comincia a mordersi la coda. Tutto comincia a tornare. Abbiamo iniziato con la Nuova Cucina Nordica e indovinate dove stiamo per sbattere la testa? Sulla fermentazione, una delle tecniche più utilizzate in quel tipo di cucina - e non a caso ora al Noma c'è un laboratorio ad essa dedicato. La fermentazione è una tendenza attualissima: sempre più bar e ristoranti, ad esempio, servono kombucha fatta in casa o kimchi home made. Si fermenta tutto, tutto è in fermento, ognuno vuole fermentare. E il re delle fermentazioni in Italia, ora, è Marco Ambrosino. Marco, chef del ristorante sui Navigli di Milano 28 posti, crede nella fermentazione come un processo per dare ancora più vita a una materia già viva.

"I fermentati sono sempre stati nella nostra cultura mediterranea, non bisogna guardare per forza al Noma e al Nord Europa. Basta pensare alle olive in salamoia, o al pane," ci dice Marco al telefono. Vedere una ricetta trasformarsi nel tempo cambiando colore, consistenza, sapori: tutto grazie a quei batteri, che fino a qualche anno fa temevamo con tutti noi stessi.

Marco è uno che ha fatto fermentare la pasta, per dire. "Nella fermentazione si sfrutta l'atto di uccidere per rendere ancora più vivo. Forse ha preso così tanto piede anche perché ora, tra internet e libri e l'informazione che gira velocissima, è più facile capire di cosa stiamo parlando. E preparare dei fermentati e dei probiotici come una komubcha è roba che si fa tranquillamente a casa."

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Di fermentazione, però, si comincia a parlare soprattutto nei ristoranti, ma grandi aziende e GDO al grande pubblico raccontano sempre di più di probiotici e salute. I probiotici - banalmente uno yogurt al naturale è un probiotico - si legano al trend dell'healthy food di qualche anno prima: si dice che, essendo elementi attivi e buoni capaci di arrivare vivi nell'intestino, possano regolarizzarne l'attività (Alessia Marcuzzi e il suo Bifidus Actiregularis, per intenderci). Si guarda in modo sempre più ampio alle culture che fanno della fermentazione la loro tradizione: quindi non solo Danimarca, ma si affaccia anche l'Oriente: ad esempio la kombucha, quel tè zuccherato e fatto fermentare di origine cinese, ora si trova in molti locali italiani.

2017: i Grani antichi e il Pane

Il 2016/2017 è il picco massimo raggiunto nel parlare di e nel coltivare questo tipo di grani. Il 2019 invece è l'anno della grande confusione e delle truffe, ma questa è un'altra storia

grani antichi e gluten free

Quasi tutte le tendenze degli ultimi anni vanno nella direzione di una nuova agricoltura che guarda al passato. Detto in maniera semplice: ci siamo rotti le palle degli alimenti mezzo finti, fatti in serie, che ci hanno propinato fino ad adesso. Ad esempio il pane. Il pane parte dal grano buono: prima di arrivare al concetto di "Miscuglio Evolutivo", del quale si parla solo da qualche anno, si era partiti dai "grani antichi", associati a migliore qualità e ancora più spesso, erroneamente, a grani con meno glutine. Pippo Li Rosi, agricoltore siciliano e grande esperto in materia, ci racconta: "Il tutto inizia più o meno nel 2005, quando si cominciano le prime coltivazioni di grani locali o antichi. Ma il 2016/2017 è il picco massimo raggiunto nel parlare di e nel coltivare questo tipo di grani. Il 2019 invece è l'anno della grande confusione e delle truffe, ma questa è un'altra storia."

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Questa moda ha coinciso con la caccia alla celiachia e alla gluten sensitivity. "Prima il problema di questo tipo di grani, come la Tumminia, era che il costo fosse troppo elevato. Creare un mercato ha potuto abbassare il prezzo." Le farine sono arrivate in quel momento a costare come negli anni '70, sui 65 centesimi al chilo. E a questo movimento sulla riscoperta agricola si è agganciato naturalmente anche quello sul pane e della pizza. Davide Longoni, Forno Brisa, Panificio Moderno, sono tutti nomi di chi oggi fa panificazione e pizza alla pala, e la lega a doppio filo con l'agricoltura dei grani locali o antichi.

È anche il momento in cui ogni ristorante, gourmet o meno, compra o si fa il pane rigorosamente con pasta madre. Si comincia a demonizzare la panificazione e le pizze fatte di lievito di birra e si preferisce far fermentare con un lievito madre in nome di una naturalità e di una digeribilità maggiore. "Pasta madre libera" per tutti e un modo di vivere sempre più sano che ritorna alle origini.

2018: il Vino Naturale

La cantina più punk di tutti fu Caves De Pyrene, nel 2009, quando iniziò a fare una comunicazione super creativa." Da lì produttori sono seguiti a cascata, con un picco nel 2018 che ha visto il sorgere di tantissime enoteche naturali

Vini Naturali 2018

Sì, lo sappiamo, il vino naturale esiste da molto prima. Ma vi siete resi conto che è solo da un paio d'anni che tutti, ma veramente tutti, non rinunciano a farsi un bicchiere di un bel maceratone o un orange dai toni sensuali?

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La parola sul trend del 2018 spetta a Fabio Cagnetti, giornalista e visionario dell'enologia. "Per me il 2018, come dico nel mio nuovo libro, è l'anno del concetto di 'Vino Contemporaneo'. Che io penso essere un ritorno parziale alla forma con delle normative ben precise che possono mantenere le caratteristiche punk del vino naturale." Ora, al di là della previsione, pare che nel 2018 ognuno di noi si sia fatto almeno un bicchiere di vino naturale.

"Il più punk di tutti fu Caves De Pyrene, nel 2009, quando ha iniziato a fare una comunicazione super creativa." Da lì produttori e importatori ed enotecari sono seguiti a cascata, con un picco nel 2018 che ha visto il sorgere di tantissime enoteche naturali. "A volte sembra quasi che, per essere considerato naturale, un vino debba puzzare. Ma quello non è certo un indice di buona qualità. Oggi tanti producono vino naturale, ma non sono molti a saperne fare qualcuno di veramente buono."

Sta di fatto che da Nord a Sud quella del vino naturale è una tendenza sempre più forte, sostenuta e seguita perlopiù da persone che non superano i 35 anni. Purtroppo i produttori brancolano ancora in una sorta di far west legislativo, di etichettatura e di definizione non molto chiari, di certificazioni confuse e difficoltose.

2019: Il No Waste e il Plastic Free

All'inizio c'era un sacco di scetticismo: la parola scarto veniva associata all'immondizia.

No Waste

Il 2019, l'anno che sta per finire, è decisamente l'anno dedicato alla lotta al cambiamento climatico. I locali servono sempre meno drink con la cannuccia (e se c'è, è fatta in bioplast) e nei ristoranti il concetto di "No Waste", di "Scarto Zero", si fa sempre più radicato. Alcuni aprono addirittura locali fondati su questo claim, senza che ci sia davvero qualcosa di sostenibile dietro.

Tra il 2012 e il 2013, due anni prima che ne si parlasse a Expo, Franco Aliberti, oggi chef executive del Tre Cristi a Milano, aveva aperto una pasticceria in Romagna, "Èvviva", Dolci e Cucina a Scarto Zero, che è stato uno dei primi locali a impegnarsi a non sprecare nulla.

"Io vengo da una famiglia contadina", mi dice Franco al telefono, "quindi sono abituato che non si butta via niente. Ai tempi la mia famiglia produceva in casa e non era concepibile lo scarto." Cucinare a spreco zero è stato uno dei trend più seguiti degli ultimi anni: facile nella teoria, difficile nella pratica, ma è oggi che se ne parla più che mai. Lavorando come pasticcere, e quindi con un approccio più scientifico, Franco e sua moglie, la divulgatrice e scienziata ambientale Lisa Casali, ne hanno fatto il loro lavoro.

"All'inizio c'era un sacco di scetticismo: la parola scarto veniva associata all'immondizia. Oggi invece ci sono dei risultati. Nel mio locale riesco ad avere scarto pressoché zero. E quello che dovrei buttare, dalla lavorazione del cibo, lo diamo al nostro amico che ha le galline."

Oggi parlare di scarto zero anche a casa è molto più diffuso, anche se il processo è ancora lento da digerire. Ma sono sorte delle reti, come la ReteZeroWaste, per gestire i rifiuti e gli scarti direttamente a casa. E il tema del Plastic Free ha trovato nei locali un ottimo appoggio: è difficile oggi andare in un locale mediamente fighetto di una grande città e trovare ancora delle cannucce di plastica. Il lavoro fatto sul plastic free è stato così sentito che è stata fatta una campagna globale ben riuscita, la "No Straw November" a base di plastica zero. Ed è l'anno in cui la UE si è rotta le palle e ha deciso di eliminare la plastica usa e getta del tutto, entro il 2021.

Ok, dopo questa lunghissima operazione nostalgia, forse meritiamo ampiamente un buon bicchiere di vino naturale mentre mangiamo un ottimo hamburger gourmet, composto da pane a base di lievito madre e prodotti artigianali provenienti da aziende certificate bio. Non credete?

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