Musica

Il film sulla vita (e la morte) di Lil Peep è fatto male

La morte di Lil Peep si sarebbe potuta evitare, e il problema di questo film è che non ha il coraggio e la forza di dirlo chiaramente.
Martina Lodi
Milan, IT
lil peep film
Lil Peep, fotografia promozionale per Everybody's Everything

Uno degli ultimi post su Instagram di Lil Peep prima della sua morte per overdose parlava della sua incapacità di soddisfare le aspettative delle persone che gli stavano intorno, del suo pubblico, e di sé stesso. “I just wanna be everybody’s everything”: vorrei poter essere il tutto di tutti, diceva. È un post dolorosissimo, in cui Peep parla della propria depressione e confusione: “Ho bisogno di aiuto, ma non mi lascio aiutare da nessuno” continua. "Che cos'è la felicità? Ce l'ho sempre per 10 secondi e poi scompare. Sono così stanco."

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Everybody’s Everything, espressione presa da quel post, è diventato il titolo di un documentario sulla sua vita, disponibile da qualche giorno su Netflix. è prodotto da sua madre e da Terrence Malik (La sottile linea rossa, The Tree of Life), ed è un film che dura parecchio—quasi due ore. Racconta la vita di Peep attraverso filmati della sua infanzia e interviste alle persone che lo hanno conosciuto e hanno lavorato con lui.

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Lil Peep e suo nonno nel 2017, screenshot dal film per la stampa. Credit: Jack Womack

A cosa serviva, però, Everybody's Everything? Ad approfondire le radici della sofferenza e della depressione di cui Peep parlava attraverso la sua musica, perché la sua carriera è stata una cometa luminosissima. Lui, più che tutti i suoi contemporanei in una linea che comincia da Yung Lean, ha colto il senso di malinconia lancinante che prende dentro la sua generazione.

E ci è riuscito mettendolo in una trap melodica fatta su beat storti prodotti in cameretta, con un mischione di riferimenti e di campioni di gruppi emo e pop rock. “Rappare”, forse, è non nemmeno la parola esatta—una descrizione più puntuale verrebbe da un termine che descriva la voce che hai quando urli e piangi insieme.

Il film evita in realtà di scavare nella sua vita, e si limita a raccontarne gli avvenimenti cruciali in successione, come nelle biografie dei personaggi famosi che si trovano su Wikipedia.

La realtà però è che il film evita di scavare nella sua vita, e si limita a raccontarne gli avvenimenti cruciali in successione, come nelle biografie dei personaggi famosi che si trovano su Wikipedia. Ci sono tante interviste e un sacco di materiale molto dolce e sentimentale, dietro al quale si intuisce la stretta collaborazione della madre, Liza Womack, che è una dei produttori e inaugura il film raccontando buffi aneddoti sulla sua infanzia.

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Quando parla di Peep appena nato, che la guardava con occhi marroni enormi, con tutto l’affetto commovente di una madre, fa piangere. Viene intervistata la ragazza che stava con lui al liceo, che racconta dell’imbarazzo e della insicurezza che aveva provato a vincere da ragazzino, sfidando lo sguardo di tutti e riempiendosi il viso di tatuaggi. Parlano un sacco di amici della sua crew, la Gothboiclique—Fish Narc, Yawns, Lil Tracy. C’è persino una commovente lettera a Peep da parte del nonno, che in voiceover apre e chiude il documentario.

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Lil Peep si esibisce dal vivo, screenshot dal film per la stampa. Credit: A Beamer Boy Production

Nonostante l’enorme quantità di materiale raccolto, però, è come se il racconto non riuscisse a scalfire la superficie, a non arrivare a una maggiore comprensione delle cose di cui davvero era necessario sapere di più. La depressione, che ha seguito Peep per tutta la sua vita e che permea tutta la musica che ha scritto, viene relegata in un angolino, spiegata come tristezza incurabile dovuta al trauma mai superato del divorzio dei genitori.

Lo stesso discorso vale per la sua morte. Peep è scomparso per un'overdose accidentale di farmaci—la stessa, peraltro, di altri rapper mancati negli ultimi anni come Mac Miller e Juice WRLD—e il modo in cui la questione è trattata pesa come un macigno su tutta la narrazione. Si parla delle pressioni che riceveva da più lati: gli amici della Gothboiclique che dipendevano economicamente da lui, la fama improvvisa, le crepe nella sua famiglia. Ma sono menzionate, più che indagate.

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Nello spettacolo e nelle arti, se muori presto sei un passo più vicino alla divinità.

Volendo iper semplificare: stiamo guardando un documentario su un rapper molto giovane, e una delle ragioni per cui lo stiamo guardando è che quel rapper è morto. Questo documentario non esisterebbe, se lui ci fosse ancora. La scomparsa l’ha cristallizzato, rinchiuso in ambra in una forma perfetta ancora embrionale di fama.

C’è un verso greco di Menandro, che Leopardi cita all’inizio del suo canto “Amore e morte” che dice che chi è amato dagli dèi muore giovane. Vale però anche il contrario: nello spettacolo e nelle arti se muori presto, sei un passo più vicino alla divinità.

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Lil Peep dal vivo a SXSW, screenshot dal film per la stampa. Credit: Rayn Richardson

Tutto questo non nel documentario non c'è. La morte di Peep resta, in qualche modo, in ombra—forse perché ancora oggetto di un contenzioso legale tra sua madre e il suo management. Si può ascoltare la telefonata con cui il suo tour manager ha contattato i soccorsi dopo averlo trovato privo di conoscenza, e sentire il racconto di come ha svolto, per parecchi minuti, il massaggio cardiaco. È materiale intimo e con un grosso impatto emotivo, ma sembra un fatto fine a sé stesso, slegato da tutto quello che lo precede.

Quello che si vede e che viene raccontato è che, a un certo punto, semplicemente Lil Peep muore di overdose. Ci sono anche fotografie del bus e del suo corpo: crude, anche troppo. Nonostante la costruzione del documentario tenda a volerlo mostrare come un finale narrativamente esatto, in mezzo alle lacrime e ai ricordi degli amici, la morte di Peep non era l’unico finale possibile. La pecca di questo film è di non mostrare con sufficiente coraggio e chiarezza che cosa sia andato storto perché si arrivasse a quel punto, e di non chiedere se ci sia qualcuno che ha la responsabilità di averla fatta finire così.

Martina è su Instagram.

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