Eliminare Ingredienti dal Menu dei Ristoranti
Foto di WavebreakmediaMicro via Adobe Stock.
Cibo

Sempre più chef stanno eliminando prodotti dai menu per ragioni etiche o ambientali

Abbiamo chiesto ad alcuni chef cosa ne pensano della possibilità, o dell'obbligo, di vietare ingredienti come foie gras e salmone nei menu.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

“Non è che facendo tutti i giorni foraging qui intorno riesco a salvare il mondo”

In principio fu il foie gras. A ottobre 2019 il City Council di New York ha annunciato che dal 1 gennaio 2022 ai ristoranti sarà proibito avere in menu il foie gras. La città non è certo la prima a bannare la vendita del fegato grasso d’oca — diversi paesi ne hanno già vietate sia la produzione che la vendita — per motivi etici: si tratterebbe di una pratica troppo crudele verso gli animali.

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Per chi non lo sapesse, il foie gras altro non è che il fegato di oche e anatre sottoposte ad alimentazione forzata, una pratica che dura settimane, comporta diversi rischi per gli animali e ne riduce fortemente l’aspettativa di vita. Il ban newyorkese — che comunque coinvolge 1000 ristoranti di cui alcuni di altissimo livello — ha fatto particolarmente scalpore e innescato discussioni sulla giustezza di certi provvedimenti. Può un’amministrazione cittadina mettere un veto sulla creatività dei ristoranti e sulle loro scelte?

Due anni fa sono andata in Svezia a pescare le anguille. Ho scoperto che lì l’attivismo animalista è così forte che se un ristorante serve anguille rischia atti di vandalismo. La questione delle anguille come animale a rischio estinzione è più complessa di quello che sembra: la loro popolazione sta diminuendo, è vero, ma la responsabilità umana in questo calo è tutt’altro che chiara. Eppure nel paese è ormai impossibile trovarle in un ristorante. A livello globale altri due pesci su cui si concentrano gli strali ambientalisti sono il salmone, per tutte le problematiche connesse al suo allevamento (di recente l’Argentina è diventata il primo paese al mondo a vietarlo), e il tonno perché in via di estinzione (alcune specie più di altre).

“Dobbiamo dare un segnale: se continuiamo così tra qualche anno scompariranno alcuni degli ingredienti che usiamo”

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In un mondo in cui gli effetti dell’allevamento e della pesca stanno peggiorando il cambiamento climatico e provocando la perdita di biodiversità sembra ormai inevitabile la necessità di cambiare i nostri consumi alimentari. Ma questo deve valere anche per i ristoranti, intesi come un occasionale passatempo, o le questioni ambientali possono rimanere fuori dalle mura dei locali? Annunciare l’eliminazione di un determinato ingrediente può fare davvero la differenza o rimane una sovra-semplificazione con un indubbio valore simbolico, e un probabile ritorno in termini di immagine, ma una dubbia utilità pratica?

Personalmente sono molto contenta quando vedo che un ristorante prende una direzione etica ben precisa nella scelta degli ingredienti, ad esempio rifornendosi solo di prodotti locali e di stagione sul lato vegetale oppure servendosi solo di selvaggina e non carne di allevamento. Allo stesso tempo sono parecchio irritata quando vedo uno chef fare una chiara operazione di greenwashing, definendosi “ambientalista” solo perché compra le verdure sotto casa, ma poi preparando il ragù con il manzo argentino o il dessert con il mango peruviano. E quando mi sono state servite tartine di caviale e foie gras a colazione non le ho mai rifiutate: prescindere dalle questioni etico-ambientali nel 2021 mi sembra sempre più difficile, nelle nostre abitudini di consumo casalinghe così come in quelle sociali, ma lo scopo ultimo di un ristorante non dovrebbe essere solo far passare una bella serata al cliente?

Abbiamo parlato con alcuni chef di cosa pensino dell’opportunità di eliminare determinati ingredienti dal menu per ragioni etiche e ambientali.

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“Cerco di non comprare niente che venga dall’altra parte del mondo. Non uso mai avocado — quelli siciliani sono un altro discorso e quinoa”

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Foto di Valeria Necchio per gentile concessione di Venissa.

Chiara Pavan, Venissa - Isola di Mazzorbo (VE)

Per chiunque viva nella contemporaneità è impossibile non prestare attenzione alla palese e costante perdita di biodiversità del nostro pianeta. Il ristorante è solo una goccia nell’oceano ma può comunque passare un messaggio. Ho parlato con i pescatori e mi hanno spiegato cosa succede nella laguna veneziana. Oltre a eliminare - ad esempio non servo più il tonno — provo ad aggiungere: il granchio blu alloctono è una specie invasiva, arriva da noi aggrappato alle imbarcazioni di crociera e smantella l’ecosistema della Laguna, mi impegno a cucinarlo. Non basta dire “tolgo una cosa dal menu punto. Ad esempio scegliere di non comprare le moeche, perché ce ne sono troppe poche, mette in crisi intere famiglie che si basano sulla pesca delle moeche per il sostentamento. Anche questo è un problema dal punto di vista etico.

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Foto di Giulia Brunello per gentile concessione di Venissa.

Due anni fa abbiamo tolto la carne dal menu di Venissa ma a breve reintrodurrò la selvaggina. A casa seguo un’alimentazione prevalentemente vegana ma non volevo fare un ristorante veg. Eliminare intere categorie dal menu no, ma diminuire le proteine animali sì. Cerco di non comprare niente che venga dall’altra parte del mondo. Non uso mai avocado — quelli siciliani sono un altro discorso — e quinoa.

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Abbiamo fatto la scelta di lavorare solo pescato selvaggio, abolendo la specifica della specie e lasciando un più generico “pescato”

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Simone Nardoni, Ristorante Essenza - Terracina (LT)

Nel 2011 ho aperto Essenza a Pontinia, un piccolo paese di 13.000 abitanti in pieno Agro Pontino. Essendo una cittadina post-bonifica, quindi molto giovane, non ha tradizioni locali: è stata formata da famiglie che sono arrivate da parti diverse d’Italia. Questo però mi ha aiutato ad essere libero e a spaziare da cultura in cultura creando un melting pot nella mia cucina. L’Agro Pontino è una terra ricchissima di colture vegetali, di buoni allevamenti e di un eccellente bacino di pesca, ma ho sempre visto il territorio come un punto di partenza, mai come una gabbia dove rimanere incastrato. I piccoli contadini se sono piccoli non riescono a garantirti una fornitura per un certo periodo e non possiamo “giocare alle tre carte” a spese dei nostri clienti. Siamo un’azienda che fa accoglienza quindi abbiamo bisogno di standard qualitativi costanti per garantire all’ospite che ci sceglie un livello costante.

La sostenibilità per me è importante ma non ne faccio una malattia: non è che facendo tutti i giorni foraging qui intorno riesco a salvare il mondo. Credo che serva una certa consapevolezza a monte di come e dove scegliere il prodotto da utilizzare. Però sono sempre stato contrario alla demonizzazione di un prodotto: basta fare informazione e abituare il cliente ad un consumo più consapevole.

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Terrina di anguille e foie gras. Foto per gentile concessione di Essenza.

Dieci anni fa abbiamo fatto la scelta di lavorare solo pescato selvaggio, abolendo la specifica della specie e lasciando un più generico “pescato”, perché quello che riesco a trovare il pomeriggio all’asta la sera cucino. Per la carne non ci sono riuscito perché nelle aziende con cui ho provato a lavorare manca la costanza nell’alimentazione delle bestie: è vero che il consumo di carne è calato ma si è alzata l’aspettativa del cliente per quanto riguarda la qualità. Fin dove posso acquisto locale ma per determinati prodotti guardo fuori. Se volessi adoperare la poesia del chilometro zero non potrei servire carne perché attorno a me ho solo aziende da latte, non potrei più servire né piccioni né anatre né agnello tranne la settimana di Pasqua…

Noi diamo il nostro contributo tutti i giorni riducendo il consumo di plastica e generando meno scarto possibile — utilizziamo il concetto della cucina circolare impiegando ogni singola parte del prodotto per varie preparazioni. Per il resto, ci interessa l’etica di chi produce o alleva il nostro prodotto e ovviamente la qualità. Solo su quelle due cose non transigiamo.

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Anolini di coda. Foto per gentile concessione dell'intervistato.

“Al ristorante io non utilizzerò mai il foie gras perché non trovo etico il modo in cui viene prodotto”

Franco Aliberti, Anima - Milano

Secondo me bisogna avere il coraggio di eliminare alcuni ingredienti all’interno della propria carta. Non ci può essere alcun compromesso in questo senso. Al ristorante io non utilizzerò mai il foie gras perché non trovo etico il modo in cui viene prodotto e l’anguilla perché non esiste ad oggi un allevamento con una riproduzione all’interno. Seguo anche la stagione dei pesci, basandomi su riferimenti scientifici per capire quale animale è stato sfruttato e quale no, quale ha bisogno di un riposo in quella determinata stagione.

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Franco Aliberti. Foto per gentile concessione dell'intervistato.

Penso che sia una scelta che dovrebbero fare tutti i cuochi. Dobbiamo dare un segnale: se continuiamo così tra qualche anno buona parte degli ingredienti che usiamo scomparirà. Voglio che mio figlio possa mangiare cose che ho mangiato anche io. L’etica dovrebbe far parte della vita in generale e non solo del lavoro.

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