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Perché dopo i vent'anni gli uomini perdono gli amici

Crescendo diventa sempre più difficile trovare il tempo per gli amici, ma secondo l'OMS i danni della solitudine possono essere molto gravi. Abbiamo chiesto a sei ragazzi tra i 19 e i 30 anni di parlarci dei loro rapporti d'amicizia.
Illustrazione di Dan Evans.

Gli uomini spesso pensano a se stessi come a lupi solitari. Al lavoro. Su Tinder. Il lupo gioca da solo ai videogiochi nel suo appartamento da single, mangia lasagne precotte. Ma quando iniziamo a invecchiare e la vita comincia a mandarci contro mille sfighe, dovremmo domandarci se c'è un motivo per cui in realtà in natura la maggior parte dei lupi caccia in branco.

Per quanto in generale durante la scuola e l'università siamo animali sociali, con l'inizio della vita lavorativa le facce che una volta ci erano più familiari iniziano a sbiadire—e cominciamo a comprendere quanto siamo soli al mondo.

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Un sondaggio condotto questo mese da Movember Foundation ha rilevato che il 12 percento degli uomini inglesi di età superiore ai 18 anni non ha un amico stretto con cui poter discutere di un problema serio—parliamo di due milioni e mezzo di persone in tutta la Gran Bretagna. Oltre un quarto degli intervistati, invece, ha dichiarato di sentire i propri amici meno di una volta al mese, e il nove percento non ricorda l'ultimo volta che ha sentito un amico.

Nel corso della vita adulta questo può diventare un problema serio. Una ricerca condotta dall'Organizzazione mondiale della sanità ha dimostrato che l'assenza di amici stretti ha, a lungo termine, un impatto significativo sulla salute. Aumenta il rischio di ansia, depressione e il suicidio.

Sarah Coghlan, a capo di Movember Regno Unito, spiega, "Molti uomini non si rendono effettivamente conto di quanto i loro rapporti siano diventati superficiali fino a quando non si trovano a dover affrontare un momento difficile, come un lutto, la fine di una relazione, la paternità o un licenziamento—ed è proprio in quei momenti che gli amici sarebbero più necessari."

Ma cosa accade alle nostre amicizie quando iniziamo a diventare grandi? Lo abbiamo chiesto a sei uomini che attraversano fasi diverse della vita.

MATT, 19 ANNI

Ho frequentato solo metà del primo anno di college, ma stavo passando un momento difficile a causa di una relazione, non riuscivo a fare bene a scuola e ho lasciato. Da allora lavoro a chiamata. Di questa relazione parlavo spesso con i miei amici delle superiori, piuttosto che con i nuovi amici del college—ero molto più confidenza con loro. Mi ritengo fortunato, nel mio gruppo ci sono sette o otto persone, molti ragazzi ma anche qualche ragazza. Siamo andati tutti al liceo insieme, ma alcuni di loro li conosco anche da prima. Con loro posso parlare di qualsiasi cosa mi succeda. Anche loro si rivolgono a me per i loro problemi personali. Preferisco confrontarmi con i miei amici piuttosto che con la mia famiglia a riguardo, perché stiamo vivendo le stesse esperienze. Ho anche amici e conoscenti al lavoro e compagni di squadra, ma i compagni del liceo sono i migliori. Ne abbiamo passate tante insieme.

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TOM, 21 ANNI

Ho iniziato a lavorare subito dopo le scuole superiori. Forse mi sarei fatto più amici se mi fossi iscritto all'università, ma lo stile di vita dello studente consiste nell'ubriacarsi e drogarsi, entrambe cose che non faccio. Sarei stato un emarginato, perché sono cose che non mi sono mai interessate. Ho sei o sette amici stretti, oltre a un gruppo di amici nuovi con cui mi diverto molto. Lavoro quattro o cinque giorni a settimana, così cerco di vederli una sera a settimana, quando sono libero. Il 90 percento dei miei amici va alle serate hardcore, quindi so dove trovarli. È negli ultimi tre anni che mi sono fatto la maggior parte degli amici. A 16 anni non avevo amici. Ora sono molto più sicuro a parlare con gli altri, mentre prima non riuscivo a parlare con gli sconosciuti, ero troppo spaventato. Ho due amici per cui andrei in capo al mondo. Mi hanno ospitato per un mese mentre cercavo casa, anche se a volte li avevo trattati veramente di merda. Sono loro la mia vera famiglia.

STEFAN, 24 ANNI

Mi sono laureato a giugno. C'erano solo due persone con cui effettivamente mi trovavo bene all'università. Gli altri erano persone con cui uscivo a bere, ma non esattamente persone che coinvolgevo nelle mie scelte di vita. Da quando ho iniziato a lavorare la maggior parte delle persone che vedo sono colleghi, il che è un po' deprimente. Sono gran persone, ma l'unica cosa che abbiamo in comune è che lavoriamo nello stesso posto. Ho tre amici che vedo spesso, e alcuni con cui mi sento spesso su WhatsApp ma non vedo mai di persona. Crescendo, ho smesso di essere aperto e gentile con le persone con cui non voglio avere a che fare. A scuola ho cercato di integrarmi in gruppi diversi, ma ora esco solo con ragazzi che conosco da molto tempo. Penso che vada bene così, invece che cercare di mantenere i rapporti con persone che non mi interessano miro a mantenere salde le amicizie che reputo importanti. Se ho un problema serio, preferisco parlarne con la mia ragazza—a meno che non riguardi lei. Ho un amico che conosco da quando avevo tre anni e che continuo a vedere un paio di volte l'anno, perché viviamo lontano. Con lui posso parlare di tutto."

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BEN, 26 ANNI

Ho ancora tre o quattro amici dell'università, ma rispetto ad allora sono una persona piuttosto diversa. Ho fatto piazza pulita. La ragione per cui non sono rimasto amico di molte persone conosciute allora è che non sono il genere di amici che vorrei adesso. Non voglio più fare quelle stronzate. I miei amici più stretti sono quelli del liceo, ma li vedo talmente poco che non lo diresti: circa cinque weekend all'anno, di solito agli addii al celibato o ai matrimoni, ma sono consapevole che posso sempre contare su di loro. Abbiamo attraversato insieme tanti momenti difficili, e non credo che esista qualcosa che non potremmo confessarci. Ma è difficile ritagliarsi tempo per vederci. Mi sembra che le settimane siano solo un continuo ripetersi. Vedo la mia ragazza una o due sere a settimana, cerco di andare in palestra due volte alla settimana, e il venerdì non so mai cosa succederà. Questa sera ho avuto una conference call di lavoro—capita spesso. È difficile avere il tempo o l'energia di fare programmi con gli amici. È deprimente."

COLIN, 28 ANNI

Ho un gruppo di amici dal primo anno di università con cui sono ancora in contatto, anche se alcuni si sono trasferiti all'estero. Il mio migliore amico di quel periodo ha seguito una ragazza in Nuova Zelanda, ma lo sento ancora ogni giorno. La cosa imbarazzante del mio gruppo di amici è che c'è anche la mia ex fidanzata. Ogni volta che porto una mia nuova fidanzata nel gruppo faccio finta che sia tutto a posto, ma poi mi iniziano ad arrivare messaggi di insulti. Nonostante qualche piccolo intoppo, comunque, cerco di vederli il più possibile. All'università, la maggior parte del nostro tempo libero lo passavamo in hangover. Nei primi due anni dopo l'università ogni tanto mi mancavano quei momenti, ma ora no. Se ho un problema serio, ho diverse persone con cui confidarmi. Uno dei miei più cari amici è la persona più imperturbabile del mondo, quindi con lui non riesco a discutere approfonditamente. Però è anche molto divertente, quindi insieme a lui posso sfuggire ai problemi."

MICHAEL, 30 ANNI

Non sono andato all'università, ma sono subito entrato in un ambiente lavorativo pieno di persone della mia età, e sono ancora in contatto con alcuni di loro. Quando avevo 25 anni uscivamo sempre insieme. In quel periodo sembrava che la festa non dovesse finire mai. Ma verso i 30 le cose hanno cominciato a cambiare. A quell'età le persone vivono in modo più individuale e pensano a costruirsi una carriera e un futuro. Nessuno ha più molto tempo per divertirsi. Credo che sia colpa dell'età. Vorrei avere il tempo di vedere ancora i miei amici più cari, ma se devo parlare di un problema grave o di questioni esistenziali, ormai ne parlo solo con la mia ragazza. Mi piacerebbe passare più tempo con i miei vecchi amici, ma quando non sono occupato io sono occupati loro. È difficile trovare il tempo.

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