
Ieri c'è stato il Global Strike e in tutta Europa la gente ha mollato gli impegni della giornata ed è scesa in piazza per protestare contro le cose di cui si parla un po’ dappertutto, crisi, tagli e indignazione generale. Anche l'Italia ha detto la sua, e tra Roma, Milano, Torino e molte altre città da Nord a Sud, le forze dell'ordine hanno fatto i conti con fumogeni, bandiere e sciarpe sul muso. Noi siamo stati a Milano e quello che abbiamo trovato non è stato diverso da quanto ci aspettavamo: licei e università. Niente spazzini o operai o fioriste, ma studenti i cui ideali parlano di Trotsky, V per vendetta e Occupy Wall Street, quelli che ogni volta, di anno in anno e di generazione in generazione, dicono di no. Abbiamo girato per le strade del centro di Milano dalle 7 del mattino alle 3 del pomeriggio e gli unici negozi chiusi sono stati quelli o sprangati o colpiti o momentaneamente fuori servizio. Per il resto, Milano è rimasta aperta.

Giornate come quella di ieri a Milano sembrano quasi voler ricordare che gli studenti servono proprio a questo, a dire o fare quello che dopo una certa età o non si ha più voglia di fare o si considera inutile, stupido o controproducente. Però vederli è bello, perché la loro voglia di esserci ci ricorda che le cose sono sempre le stesse, come gli U2, e che nel mondo comanda un'unica eterna regola: se non cambi non sbagli. Che poi quando si sentono parlare persone di un certo tipo su argomenti di un certo tipo, come 'soggettività ideologica’ e ‘identità politiche contingenti’, le cose sono due; o sorridi e fai 'pat pat' sulle dritte spalle del bel universitario, o ti giri e te ne vai con la mano calda di uno che una risposta glie l'avrebbe data ma che poi si è ricordato che da quella parte ci siamo passati tutti, chi più, chi meno, e speranza, o presunzione, in un modo o nell'altro prima o poi ci prendono.

Chiusi i ragionamenti siamo entrati nel corteo vero, quello degli striscioni, e lì una cosa che ci ha colpito è stato il tempismo: a 200 metri da Cairoli, 15 minuti dopo il via, hanno spaccato la prima vetrina. Ora, per chi si trovava lì in attesa di quel qualcosa che motivasse tutto quel fumo negli occhi, questo evento ha rappresentato la realizzazione di un sogno non detto e nel giro di pochi secondi l'angolo del fattaccio si è riempito di camere e camerette, ovunque. La cosa in realtà è stata fin troppo semplice, e istintiva: il corteo vede le vetrine di Unicredit, il corteo attacca la vetrina, vede Enel e giù di bastone per Enel.

Poi i fumogeni hanno coperto tutto, i diretti interessati si sono dileguati, e via, tutti insieme verso il tafferuglio numero due, uniti, organizzati, ma tutto sommato neanche troppo—anzi, parecchio a caso.

Ecco, il caso. Ieri il caso ha avuto un ruolo da protagonista in tutto il corso della manifestazione, e se è cambiato qualcosa rispetto al passato, e alla mia esperienza, è proprio l'organizzazione degli eventi. A scandire la giornata non sono state né le guardie, né le bastonate, e soprattutto non i percorsi, ma il caos più preciso che mi sia capitato di vedere in un corteo, tutto fatto per girare il cazzo ai poliziotti, più o meno presenti, che ogni dieci minuti si son sentiti chiamare prima di qua, poi di là poi ancora di qua. E correvano. Il corteo, tutto, è partito da Cairoli, poi si è diviso, in due a Cordusio, in tre in Corso Magenta e ancora in due in Porta Genova. Il motto non è sciopero, ma tutti dappertutto.

Seguiamo il gruppo che va in Cattolica, tirano fumogeni, e noi scattiamo. A 100 metri da lì una ventina di persone a viso coperto ha caricato la polizia con bastoni, per darsela di corsa un attimo dopo.

Qui qualcuno tira merda. Merda su Deutsche Bank, merda su Merkel, Germania e sistema economico dominante, direi metaforicamente adeguato, anche se chi poi è costretto a spalare avrebbe preferito scioperare. Intanto un altro gruppo se ne va, direzione stazione, vogliono prendersi la metro. Il gruppo più grosso invece sceglie il nord, gira a sinistra e si riporta verso il centro, noi con loro. Tutto bene, se non fosse che a quel punto il caos prende definitivamente il sopravvento e uno di qua e uno di la la gente se ne va.

Sappiamo che i lavoratori scesi in piazza hanno già arrotolato le bandiere, sono passati dal Duomo, ma è mezzogiorno e si è fatta una certa. In centrale c'è un altro presidio, sono i dipendenti del San Raffaele, restano lì e cercano di farsi sentire. Gli altri, tutti, lavorano, è mercoledì, due giorni al week end, alla pausa manca troppo. Questo è quello che è successo a Milano. Per sapere qualcosa anche di Torino abbiamo parlato con Cosimo Caridi, un giornalista che ha passato la giornata a inseguire i torinesi.

Foto dagli scontri di Torino.
VICE: Ciao Cosimo, com’è andata ieri?
Cosimo Caridi: C’era tantissima gente. Era da un po’ che Torino non vedeva una manifestazione così grande, e così partecipata. C’erano tutti, gli universitari, gli autonomi, tutti i sindacati e i ragazzi dei licei. Erano migliaia e si respirava qualcosa di molto positivo.
Quali erano i loro obiettivi?
Ne avevano diversi, e proprio questa probabilmente è stata la loro carta vincente. Prima di tutto hanno evitato il percorso classico, si sono divisi e hanno raggiunto i diversi obiettivi nel più breve tempo possibile, a partire dalla Regione, dove sono entrati, hanno preso del materiale a cui hanno dato fuoco e hanno acceso un fumogeno.
Poi cosa è successo?
Si sono mossi molto rapidamente, hanno raggiunto l’Agenzia delle Entrate e hanno ribadito il discorso ‘Austerity’ e ‘crisi’ lanciando uova contro l’ingresso. Il bello è che a organizzare tutto questo sono stati i ragazzi dei centri sociali, ed è qualcosa che dovrebbe far riflettere perché ogni volta sono sempre più preparati. Settimana scorsa hanno occupato un nuovo spazio e sono sempre più arrabbiati.
E con loro i No Tav.
Be’ sì. Gli autonomi che gestiscono queste iniziative sono gli stessi che gestiscono la parte violenta del movimento in Val di Susa. Sono tutte persone esperte, capaci di organizzare questo tipo di azioni molto bene. E questo interessa anche i i più giovani, ragazzini di diciotto, vent’anni con un’esperienza di lotta molto importante,. Sanno come muoversi. In più quella di oggi è stata una manifestazione diversa dal solito, non c’erano solo ragazzi del liceo o dell’università, ma anche persone dei sindacati, e i grandi vecchi del movimento No Tav, gente molto sgamata, furba che sa quello che fa.

Dopo l’Agenzia delle Entrate dove si sono diretti i vari gruppi?
Il concetto di fondo della manifestazione di oggi è stato ‘noi non ce l’abbiamo solo con le autorità, e con le istituzioni, ma anche e soprattutto con chi ha veramente il potere, come le banche.’ Questo li ha spinti verso il grattacelo San Paolo, la banca, un simbolo per tutti. Sono arrivati lì davanti in mille, volevano occuparlo ma sono riusciti a entrare solo in cento, l’ingresso era troppo stretto e in un secondo sono rimasti bloccati. A quel punto hanno spaccato quello che sono riusciti a trovare nell’atrio e sono tornati all’esterno, dove li aspettavano compagni e polizia. Entrambe le parti erano parecchio tese, i manifestanti per non aver occupato il grattacelo e i poliziotti per essere arrivati tardi, e sono scattati i casini. Un gruppo di incappucciati si è dato al lancio di tutto quello che riusciva a trovare. Hanno ribaltato cestini e hanno iniziato a scagliare bottiglie di vetro sulla polizia. Dopo qualche minuto la polizia ha risposto con i lacrimogeni.
E a quel punto ci è scappato il ferito.
Guarda, su questo non posso darti una testimonianza diretta, ma pare che nelle immediate vicinanze del grattacielo un gruppo di ragazzi sia riuscito ad inchiodare un poliziotto, spaccandogli il casco anti-sommossa e rompendogli un braccio. Per ora però di immagini non ce ne sono, dell’aggressione dico, ho visto le foto del casco rotto trasmesse dalla questura. Più di così non so, nessuno ci ha voluto dare il nome del poliziotto aggredito, né una sua foto. In questura ci hanno detto ‘sì è vero’, per il resto non saprei.
Ok, invece tu dove sei andato dopo il grattacielo?
Il corteo principale era gigantesco, e dopo aver superato un paio di vie principali siamo arrivati davanti alla Provincia, a palazzo Cisterna. L’interno era vuoto, non c’era nessuno, né polizia né lavoratori, c’erano giusto tre bidelle che non sapevano bene come gestire la situazione. A quel punto il corteo è entrato all’interno, ha preso la bandiera europea e le ha dato fuoco. Al suo posto hanno appeso quella No Tav.

Ma la polizia, in tutto questo?
Non c’era. O meglio oggi a Torino la polizia ha incontrato diversi problemi. Prima di tutto devi sapere che le forze dell’ordine abitualmente di stanza in città in questi giorni sono in Val di Susa. Lì la situazione richiede sempre molto impegno, e presenza. Oggi a Torino c’erano molte camionette, ma pochi agenti. La Provincia è stato l’esempio perfetto: non c’era nessuno.
Quindi tutto si è concluso in Provincia?
A dir la verità no. Anzi, la cosa più interessante è stata l’ultima iniziativa degli autonomi, che invece di dire ‘ok, abbiamo manifestato, torniamocene a casa’, hanno deciso di chiudere la giornata occupando un nuovo spazio, per inciso, una ex-caserma della polizia. Adesso si trovano lì e ci rimarranno fino a quando non verranno sgomberati.
Gli autonomi hanno lasciato il segno.
Direi proprio di sì. Oggi gli autonomi hanno vinto su tutti i fronti, e non tanto per l’organizzazione, quanto per i numeri. Erano tantissimi, la polizia non è riuscita a contenerli e la DIGOS ha fatto quello che ha potuto, poco o niente.
Segui Giorgio su twitter: @sm_uu