
Mi servo ancora di questa giustificazione romantica per la mia insistenza da paparazzo nel ricercare la foto perfetta, anche se mi sento sempre più infastidita dalle detestabili abitudini fotografiche della gente. Magari non ho il diritto morale di incavolarmi quando rovinano i concerti alzando i loro telefoni luccicanti per registrare video inguardabili e foto sfocate, ma alla fine lo faccio lo stesso. Mi sale lo schifo quando la gente posta su Instagram le foto della loro frittata perfetta o carica su Facebook le foto di una cena noiosa. E ai musei, mando occhiate fulminanti ai turisti che si muovono freneticamente da un dipinto all'altro per fotografare le opere d'arte senza nemmeno alzare gli occhi dagli schermi dei loro giocattolini. So di essere pesante, ma mi sembra che la cosa abbia qualcosa di vorace e ridondante, visto che si accumulano foto brutte che nessun altro guarderà più.So di essere colpevole come tutti gli altri. Al museo vedo cose di cui mi voglio ricordare: un dipinto sinistro con un teschio, un lascivo Balthus che ritrae una giovane ragazza che si alza la gonna di fronte a un gatto, o un Cristo medievale particolarmente brutto. Quindi faccio delle foto, sperando che l'atto e la fotografia in sé mi permetteranno di ricordare bene quel che ho visto. Non è una cosa nuova. In tutta la storia, gli umani si sono serviti della tecnologia per ricordare quel che avevano in testa. Dalle tavolette cuneiformi in cui si appuntavano il numero di fasci di grano, alla Torah, ai papiri con la politica reale egiziana ai diari personali, ci siamo sempre inventati dei modi per preservare informazioni riguardanti l'esperienza umana. Ma non è mai stato così facile o a buon mercato come lo è ora, un'epoca in cui puoi comprare un terabyte di spazio per un centinaio di euro e poi infilarci migliaia di foto che non riguarderai mai.
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Linda Henkel: Anche io, mentre conducevo l'esperimento, pensavo che fare foto potenziasse la memoria di un soggetto. Ho analizzato la memoria delle persone per vedere quanto spesso ricordassero di aver fatto una foto e quanto ricordassero di aver solo guardato qualcosa. In entrambi i casi le azioni venivano ricordate nello stesso modo. Non c'era una differenza significativa. Quindi la loro capacità di ricordare l'esperienza di un oggetto non migliorava quando scattavano una foto.Anche se quando fai una foto non ti limiti a guardare un oggetto, non stai facendo molto di più in realtà. Non è abbastanza per fare differenza.
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Quello che rappresenta in realtà il tuo cervello non è la stessa cosa che fotografi. Nel mio primo esperimento ho fatto guardare a delle persone un oggetto, ad altre gliel'ho fatto fotografare. Nel secondo, ho fatto guardare a delle persone un oggetto, e ad altre ho fatto fotografare con lo zoom un dettaglio in particolare—le mani di una statua o la parte del dipinto con il cielo, per esempio. La macchinetta riprende quello che sta guardando il tuo occhio, ma il cervello umano è molto più flessibile di una macchina. Il cervello crea una rappresentazione mentale dell'intero oggetto. Stai pensando alla statua nella sua interezza anche se ne hai guardato solo una parte. Quindi sarà questo che ti rimarrà in testa. Quello che il cervello ricorda non è di certo quello che hai fotografato.Lo scatto diventa una sineddoche dell'oggetto in sé, un tipo di ricordo visivo.
Esatto. E se più tardi riguardi le foto, serviranno perfettamente come indizi per recuperare quel ricordo in particolare. Ma la verità è che non si torna a guardarle. Non è una cosa che ho incluso nello studio, ho solo fatto fare delle foto ma non ho dato l'opportunità di riguardarle in un secondo momento. Se non riguardi le foto, non sfrutti il vantaggio mnemonico. Così come se non guardi alla tua agenda giornaliera non ricorderai i tuoi appuntamenti.
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Da questo studio posso solo trarre conclusioni su come ricordiamo oggetti statici. Non posso dire con certezza cosa succederebbe fotografando una scena di un evento complesso. Magari trattiamo diversamente gli oggetti sociali come le persone, o anche gli eventi più grandi e complessi. C'è ancora molta ricerca da fare.C'è un modo per testare se esiste una situazione in cui fotografare qualcosa fa bene alla memoria? Magari guardare una foto a intervalli regolari può aumentare la durata di una memoria?
In questo esperimento ho cercato di ricreare un fenomeno di vita vera, ovvero quello in cui facciamo una foto e poi non la riguardiamo. Ma sarebbe importante vedere cosa succederebbe se la riguardassi dopo una settimana. Nel tempo la memoria si perde talmente tanto che non ricordiamo granché. Sarebbe interessante capire come il tempo influenzi la memoria con o senza foto.Non credi che aver spinto delle persone a fotografare oggetti a cui magari non erano interessati abbia in qualche modo inficiato la loro capacità di ricordarli?
Avevo bisogno di dire ai soggetti cosa guardare per avere controllo dell'esperimento. Se guardi un oggetto per 25 secondi non hai idea se vuoi continuare a guardarlo oppure fargli una foto. È possibile che se senti che un oggetto sia importante abbastanza da essere fotografato, quell'emozione potenzi la memoria. Ma di nuovo, hai spinto un bottone e hai dato alla macchinetta il compito di ricordare, quindi "l'effetto dimenticanza" potrebbe comunque verificarsi. Dobbiamo ancora studiare la differenza tra foto scattate di spontanea volontà e foto scattate per un esperimento.Questo studio ha cambiato il modo in cui fai le foto?
Non necessariamente. Mio padre era un fotografo e mi è sempre piaciuto scattare. Cerco di guardare le mie foto. Ma capita anche a me di scattare foto col telefono anche se non ci farò mai niente. Sono colpevole come tutti.Dove finiscono le foto:Contro le foto di cibo su Instagram