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Cosa succederebbe se in Italia non ci fosse più corruzione?

Gli scandali legati alla corruzione sono una costante della nostra storia, ma come sarebbe l'Italia se non ci fossero tangenti e appalti truccati? Per capirlo mi sono rivolto a uno dei massimi esperti italiani.
Niccolò Carradori
Florence, IT
Corruption Perceptions Index 2014.

A tutti gli italiani piacciono le classifiche: sono rassicuranti, precise, e soprattutto riescono sempre a darci uno spaccato rapido e ben orientato di quanto il nostro paese navighi nei canali di scolo della civiltà. Perché non c'è niente che mandi in sollucchero quanto bearsi di come stiamo colando a picco.

"Siamo 3729esimi nella classifica del bene, dietro al Turkmenistan!"

Nell'annuale classifica sull'indice di corruzione percepita redatta da Trasparency International all'inizio del mese, ad esempio, l'Italia risulta essere al primo posto fra i paesi dell'Eurozona.

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Ovviamente trattandosi di una classifica basata su un dato percepito le conclusioni andrebbero affrontate con un certo spirito critico: ma l'argomento, vista anche la recente inchiesta sulla mafia romana, ha nuovamente ravvivato un dibattito che si ripresenta ciclicamente. E che genera sempre considerazioni incrociate sui costi effettivi con cui la corruzione grava sull' economia del paese—spesso riportando dati non attendibili—e sul sostrato culturale che la alimenta.

Stando al comandante generale della Guardia di Finanza Saverio Capolupo, nei primi cinque mesi del 2014 ci sono state 1435 denunce, 126 arresti, 1,2 miliardi di irregolarità nelle gare d'appalto, 38mila operazioni finanziarie sospette e 2,7 miliardi di beni sequestrati e confiscati.

Gli scandali legati alla corruzione sono una costante della nostra storia, e a quanto pare quello delle tangenti è uno dei pochi settori che si rinnova. Basti pensare allo scandalo del Mose, o all'inchiesta sull'Expo. Le proposte di governo per arginare il fenomeno, però, appaiono sempre inadeguate e contraddittorie.

Ma come sarebbe l'Italia se riuscissimo a liberarci della corruzione? Quali risvolti pratici e culturali effettivi porterebbe questa svolta? Ce ne andremmo tutti in giro con quella dignità scandinava figlia della pulizia morale che ti permette di indossare sandali ergonomici senza ripercussioni sull'autostima?

Per capirlo mi sono rivolto ad uno dei massimi esperti italiani, Alberto Vannucci, professore di Scienze Politiche dell'Università di Pisa e coautore di Mani Impunite.

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VICE: Salve professor Vannucci. Innanzitutto volevo capire, in modo preciso, per quale motivo nel nostro paese il fenomeno della corruzione ha un impatto più grande rispetto ad altri. Quali sono i meccanismi reali che ci hanno portato ad occupare la prima posizione fra i paesi più corrotti d'Europa?
Alberto Vannucci: Be', in termini elementari si potrebbe sostenere che nel nostro paese le probabilità di incorrere in un procedimento penale e poi in una condanna che porti al carcere sono praticamente nulle. C'è stata negli ultimi anni una depenalizzazione di fatto dei reati di corruzione. Se a questo si aggiunge un tessuto di valori, un sostrato culturale, che in alcuni segmenti della popolazione e, drammaticamente, nella classe dirigente è portato a un'interpretazione di convenienza della corruzione, il risultato non può che essere questo.

Gli elementi che favoriscono la corruzione hanno soprattutto una natura istituzionale, e chiamano in causa aspetti di fondo della burocrazia: la complessità, la vischiosità, l'approccio e i tempi lunghi della macchina amministrativa. L'arbitrarietà è molto elevata. Quindi questo tipo di mentalità, e di approccio, favorisce lo sviluppo di scorciatoie.

E dal punto di vista legislativo?
Per quanto riguarda invece l'aspetto legislativo il problema non riguarda solo l'assenza di interventi efficaci in termini di prevenzione e repressione della corruzione, ma anche un proliferare incontrollato di leggi e disposizioni normative opache, contraddittorie e di difficile interpretazione che crea una quadro talmente opprimente da facilitare il terreno alla corruzione.

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Quando i media affrontano l'argomento corruzione salta sempre fuori la stima dei costi con cui essa grava sullo Stato. Dal recente rapporto dell'Unione Europea risulta che il costo della corruzione per i cittadini italiani sia di 60 miliardi di euro all'anno, ma più fonti sostengono che questo dato non sia attendibile. Qual è il reale impatto che la fine della corruzione avrebbe sull'economia italiana?
I sessanta miliardi sono una favoletta: non sono frutto di una ricerca scientifica o il prodotto di un'analisi econometrica. Rappresentano semplicemente il 3 percento del PIL italiano. Non significano niente. Nessuno ha la più pallida idea di quali siano i costi monetari diretti della corruzione nel nostro paese. Basandoci su certe considerazioni, però, possiamo trarre conclusioni di buon senso.

Quando c'è una tangente i prezzi degli appalti lievitano del 40 percento—è la corte dei conti che fa questo calcolo quando deve imputare il costo erariale: quindi se prendiamo per buona questa ricostruzione possiamo dire che soltanto nel settore degli appalti il costo monetario diretto della corruzione è di alcune decine di miliardi di euro. Poiché in Italia ogni anno si bandiscono circo 240 miliardi di euro di contratti pubblici. Quindi avremmo un bonus di alcune decine di miliardi di euro solo dal settore degli appalti. A cui poi dovremmo sommare i costi diretti della corruzione degli altri settori. Probabilmente arriveremmo ad una stima del risparmio addirittura superiore ai 60 miliardi. Ma questo è solo il costo monetario diretto.

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L' appalto in cui c'è corruzione è un appalto in cui non soltanto per recuperare sulle tangenti il prezzo finale lievita, ma lievitano anche i costi indiretti: non essendoci controlli si riduce la qualità della realizzazione. In un'Italia senza corruzione non soltanto verrebbero ripianati tutti i deficit abissali scavati nel passato, ma le nostre imprese diventerebbero sempre più competitive e questo avrebbe un impatto importante sull'economia dello Stato.

Una supposizione provocatoria, anche se stiracchiata, potrebbe essere quella secondo cui in Italia la corruzione sia talmente intrecciata con l'economia informale che in qualche modo la facilita.
Facilita l'economia peggiore di questo paese, quella predatoria e parassitaria. Assicura ai corruttori un enorme vantaggio competitivo e quindi produce una selezione alla rovescia delle imprese. Questa rappresentazione della corruzione come una sorta di lubrificante in realtà nasconde una verità che chi fa ricerca ben conosce: ovvero sia che attraverso la corruzione si realizza una selezione particolare, sia nella classe politica che nell'imprenditoria, che col tempo avvantaggia solo quelli capaci di gestire relazioni personali e contatti sotterranei tramite la corruzione.

Senza tangenti e mazzette, potremmo finalmente avere dei grandi appalti e delle grandi opere che non finiscono con retate della Guardia di Finanza o clamorosi ritardi?
Io direi che senza corruzione non avremmo tante grandi opere inutili. Avremmo una minore propensione ad investire in progetti discutibili, quando non nocivi. Come ad esempio il Mose.

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Non sottovalutiamo poi l'impatto ambientale: tutti gli studi e le ricerche dimostrano che la corruzione riduce l'efficienza di tutti quegli apparati di tutela dell'ambiente e della salute pubblica. La cementificazione è uno dei canali principali attraverso cui si producono i profitti maggiori. Avremo un ambiente e un contesto ambientale migliore e più sano. Meno abusivismo, meno brutture.

Foto di Federico Tribbioli.

Cosa cambierebbe a livello burocratico e organico?
L'idea che la corruzione velocizzi la burocrazia è frutto di uno sguardo miope con cui si confondono gli effetti immediati per il singolo con gli effetti a lungo termine per la collettività: è lecita l'impressione secondo cui la tangente consenta di velocizzare certi meccanismi, ma una volta che introduco queste tossine nel sistema creo un incentivo da parte di chi gestisce questi processi a rallentare il più possibile il funzionamento della burocrazia.

A livello complessivo si fa sì che chi gestisce l'apparato burocratico finisce per operare in modo sempre più confuso, arbitrario, e contorto. Senza corruzione verrebbero meno molte delle barriere visibili e invisibili che sono state create per complicare la burocrazia e aumentare il pedaggio che cittadini e imprenditori devono pagare nei loro contatti con lo Stato.

Tornando alla classe politica invece: senza voltagabbana e franchi tiratori come cambierebbe nello specifico, secondo lei, il panorama?
Avremmo una classe politica responsabile e soprattutto a servizio dei cittadini, e non di chi la tiene a libro paga. Ci sarebbe un vincolo di rappresentanza forte, che si tradurrebbe in una responsabilizzazione effettiva. In questo paese non si dimette mai nessuno dopo uno scandalo, è sotto gli occhi di tutti. Nessuno è responsabile. Tutti sono sul libro paga di qualcuno, compresi gli elettori: il politico corrotto diventa anche politico corruttore, perché poi ricicla le sue risorse creando dinamiche clientelari.

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Anche a livello comunicativo cambierebbe parecchio: avremmo un modello volto a contenuti capaci di sottolineare la credibilità dei candidati e ci sarebbe più attenzione ai messaggi veicolati. Sarebbe una comunicazione più ridotta e sobria, ma più capace di chiamare in causa i progetti e la credibilità.

E a livello culturale?
Sarebbe una vera rivoluzione. Avremmo cittadini più consapevoli dei propri diritti, cittadini più esigenti. Uno degli effetti principali della corruzione, uno dei costi non economici più drammatici, è che in un contesto dove tutto è in vendita non esistono diritti, ma solo potere d'acquisto. Conoscenze, mezzi di persuasione occulta. Il cittadino in un contesto del genere non ha interesse ad informarsi e partecipare, ma è interessato solo a intessere reti di relazioni e scambi di favori. L'atteggiamento di chi non è cittadino, ma suddito.

Ci sarebbe una riconquista del potere civile. Perché il potere della corruzione è un potere esercitato nell'ombra, è un potere irresponsabile: una sorta di piccola dittatura.

Parlando invece della parte sana del paese, quali sono i costi e le rinunce sociali a cui si dovrebbe andare incontro per sbarazzarsi della corruzione?
Io credo che le strade che si possono percorrere per contrastare la corruzione siano sostanzialmente due: la prima è quella praticata in alcuni paesi asiatici, anche con un certo successo, e prevede il ricorso a strumenti fortemente coercitivi, per usare un eufemismo. Questa scelta ovviamente porta a dei costi diffusi in termini di garanzie civili e democratiche riconosciute ai cittadini. In italia, però, non ritengo sia praticabile.

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L'altra strategia adottata con successo più di un secolo fa nei paesi scandinavi è l'anticorruzione che nasce anche dal basso: cioè da una assunzione di responsabilità e controllo che arriva dall'istruzione e dalla partecipazione civile e politica. Investire nella crescita e nel grado di autotutela della popolazione: maggiore conoscenze e giudizio critico nei confronti della società e degli amministratori. Ovviamente non esistono formule universali applicabili senza eccezioni. Gli strumenti di contrasto devono adattarsi alla specificità dei casi.

Come valuta le proposte del governo Renzi per arginare la corruzione?
Non mi sembrano particolarmente efficaci. Ovviamente trattandosi di disegni di legge bisognerà vedere anche quello che ne uscirà fuori, ma in buona sostanza il limite di fondo di questo ddl è che sembra concepire la lotta alla corruzione come legata principalmente all'inasprimento delle pene. Quando l'abc di chi studia questi fenomeni ci dice che non è la severità della pena ad incidere sulle scelte di commettere un crimine, ma la probabilità di incorrere in una pena. E nessuno dei contenuti della legge sembra capace di incidere su questa variabile.

Per affrontare seriamente il problema dovremmo avere la possibilità di utilizzare periodicamente agenti sotto copertura, applicare intercettazioni ambientali così come si fa per i reati di mafia, prevedere una premialità per chi collabora con i magistrati, favorire in modo operativo le segnalazioni con garanzie di anonimato per illeciti commessi da altri. Così come bisognerebbe riformare quella che è l'architrave non solo di questo, ma anche di altri reati, ovvero la prescrizione.

In definitiva, è veramente possibile che il nostro paese si liberi di questi compromessi sotto banco o dobbiamo rassegnarci a vivere in un paese in cui scoppiano Tangentopoli a intervalli regolari?
Non dobbiamo assolutamente rassegnarci. Non tanto per ragioni di principio, che comunque sono importanti, ma per ragioni scientificamente fondate: non esiste una predisposizione genetica alla corruzione, non esiste una legge antropologica che ci dice che l'Homo Italicus è più propenso a pagare le tangenti. Non esiste nemmeno l'Homo Italicus, che io sappia.

La storia ci dimostra che esistono esempi di paesi molto corrotti in passato—con livelli di corruzione forse addirittura superiori a quelli dell'Italia contemporanea—che unendo riforme illuminate e una crescita della partecipazione, dell'istruzione e della responsabilità civile hanno prodotto dei risultati importanti. E adesso si collocano al vertice della pulizia e della trasparenza. I paesi scandinavi alla fine dell'Ottocento erano ammorbati da livelli di corruzione capillare; l'Inghilterra era un paese dove si vendeva tutto: voti, appalti ecc ecc. È un processo lungo, ma possibile.

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