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Μodă

Santissima moda

Nella Città del Vaticano, vestirsi male è sacrilegio.

Raniero Mancinelli

Oltre a essere l’unico monarca assoluto d’Europa, la più alta autorità della Chiesa Cattolica, e il capo di stato dello stato più piccolo del mondo, il Papa è uno dei pochi esseri viventi che può definirsi infallibile. Che figata dev’essere, non avere mai torto? Poi, in realtà, è un po’ una situazione alla Comma 22, dato che il dogma dell’infallibilità papale è stato definito dalla stessa Chiesa della quale il Papa è capo, ma ad ogni modo: il Papa, come dice la Costituzione Dogmatica Lumen Gentium (non chiedete, tanto non sappiamo cos’è), possiede il carisma dell’infallibilità.

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Ergo: il Papa è l’uomo meglio vestito al mondo. Logico, no? Non può sbagliare! Non esistono giornate no, non esistono giornate in cui non si riesce a mettere bene i capelli o giornate in cui non riesce ad abbinare con eleganza. Il Papa si sveglia, si veste, ed è automaticamente vestito benissimo. E anche se fosse vestito male, non sarebbe vestito male, perché non può sbagliare. Chiaro?

Ma non è solo grazie al suo infallibile carisma che il Papa fa sempre una bella scena. È anche grazie alle mozzette, alle chilometriche vesti di seta verde, ai cappellini minuscoli, alle croci d’oro ricamate ovunque, ai fanoni di seta bianca e oro e bordati d’amaranto. Tutti capi fatti a mano, secondo la tradizione della sartoria ecclesiastica.

E l’attuale Papa, Benedetto XVI, ha dato vita a un piccolo scandalo sartoriale quando si è diffusa la notizia che avrebbe rifiutato di vestirsi da Gammarelli, il sarto ufficiale della Santa Sede dal 1973, a favore di un concorrente, Mancinelli. Gammarelli ha sempre negato di aver perso questa particolarissima commissione, anche se ora Euroclero, uno degli ultimi arrivati nel gioco della sartoria ecclesiastica, dichiara di vestire il suo “primo Papa”. Ovviamente, non sarebbe la Chiesa Cattolica se gli scandali non fossero misteriosi e complicati da seguire. Nessuno sa chi veste veramente il Papa. Per ovviare a questa mancanza nelle nostre scatole pensanti e per imparare qualcosa sull’arte del vestire le persone sacre che rappresentano Dio, abbiamo deciso di mandare un paio di nostri fidati collaboratori nella Capitale, alla ricerca di altre scottanti informazioni.

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Raniero Mancinelli è sarto ecclesiastico da più di quarant’anni. È proprietario di una bottega a Borgo Pio, a due passi dal Vaticano. Nel corso della sua carriera ha vestito Papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

VICE: Come è diventato sarto ecclesiastico?

Raniero Mancinelli: Ho frequentato la Scuola Salesiana e mi sono specializzato in sartoria. Intorno agli anni Sessanta, prima del Concilio Vaticano II, sapevo che c’era bisogno di sarti ecclesiastici e così ho cercato di specializzarmi in questo settore.

Tecnicamente, c’è differenza tra un sarto ecclesiastico un sarto normale? 

A dire il vero, no. Ma il sarto ecclesiastico deve sapere come vestono i preti, i vescovi, i cardinali e tutta la gerarchia.

Quali sono i tessuti più in voga oggi tra i rappresentanti della Chiesa?

Negli anni Sessanta si utilizzava tantissima seta, oggi la usa giusto il Santo Padre. Il bianco è un colore molto delicato, e la seta è più indicata. Per i sacerdoti vengono utilizzati lana merinos e terital, niente di eccezionale; poi il damasco per gli abiti liturgici. Per la maggior parte, comunque, sono tutte stoffe italiane.

Come deve essere l’abito ecclesiastico perfetto?

Una talare, quando viene indossata, deve cadere bene addosso, e non ci devono essere pieghe intorno al collo. Quando un sacerdote la indossa deve potersi muovere con una certa disinvoltura. Il colletto deve avere un’altezza giusta, intorno ai 3,5 o 4 cm, però deve essere bilanciato sul collo del sacerdote, senza che questo risulti né impiccato, né infagottato.

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Perdoni la curiosità, ma cosa indossa un prete sotto un paramento?

Un prete si veste come tutti noi. Poi sopra indossano il camice bianco che va sotto il paramento liturgico. Sotto la talare il sacerdote ha sempre i pantaloni normali, se fa caldo anche i pantaloncini.

Che simbologia hanno i colori nell’abbigliamento liturgico?

Bianco è Natale e Pasqua, il verde viene usato per il tempo ordinario, il rosso per i Martiri e il viola per l’Avvento e la Quaresima.

Come si differenziano gli abiti indossati dai diversi ordini ecclesiastici?

La veste cosiddetta romana è con i bottoni esterni, filettata di diversi colori; poi c’è il modello salesiano che prevede la talare nera, ma con i bottoni nascosti. La talare dei gesuiti invece non aveva i bottoni, era un abito semplice, nero, però incrociato a forma di saio e con la fascia. Queste sono le caratteristiche degli ordini principali, gli altri si ispirano o all’uno o all’altro.

A me piacciono i gesuiti che hanno il cappuccio…

Ah, lei dice il saio vero e proprio, no, io quello non l’ho mai fatto. Sono abiti molto ampi, hanno lo scapolare e il cappuccio. So che fino a poco tempo fa se li cucivano tra loro.

Secondo lei il Papa fa tendenza nel mondo ecclesiastico?

In qualche modo sì, per esempio se il Papa indossa un cappello particolare, c’è sempre qualcuno che lo vuole uguale, con lo stesso lavoro e con la stessa forma. Adesso Benedetto XVI indossa un anello chiamato “anello del pescatore” e alcuni cardinali o vescovi lo richiedono.

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Una valigetta contenente un kit per la Santa Messa. È consuetudine regalare un kit di questo tipo quando un giovane prete viene ordinato per la prima volta.

L’assistente del Papa attuale è in qualche modo un sex symbol? Pare addirittura abbia ispirato l’alta moda…

No, no, per me è un assistente perfetto. È bravo, si impegna dalla mattina alla sera, segue il Papa in tutte le cose. Ma a livello di abbigliamento indossa una semplice talare filettata e basta.

È anche un bell’uomo?

Sì, così dicono le giornaliste donne…

Lo possiamo dire anche noi uomini, che non c’è niente di male?

Sì, sì comunque ha un bel fisico e una bella presenza. È un bel ragazzo biondo [ride]!

Che rapporto ha con i suoi clienti?

Conosco la maggior parte dei miei clienti da anni. Entrano qui che sono sacerdoti, poi magari diventano monsignori, vescovi o cardinali. Quindi mi capita di avere un rapporto abbastanza confidenziale. Quando entrano gli leggo nel pensiero e prevedo ciò che può servire loro, come l’aumento di grado, per esempio. Tutto senza che me lo debbano chiedere. E accettano questo mio modo di fare.

Chi spende di più?

Gli americani. Ultimamente con il dollaro in calo sono un po’ penalizzati, ma fino a qualche anno fa l’americano era il cliente favorito, il più spendaccione, anche perché in America le cose belle non si trovano. Roma in questo settore è il massimo a livello mondiale. Comprano casule, tonache; noi siamo una garanzia per chi viene dall’estero.

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Un prete preferisce avere un sarto uomo o donna?

Uomo, sicuramente. Si sente più a suo agio. Poi ora le cose sono molto cambiate, ma i primi anni non si facevano neanche servire da mia moglie.

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Roberto Maurelli

Roberto Maurelli ha fondato la sua ditta quarant’anni fa. È un commerciante che tratta abbigliamento ecclesiastico (confezioni, sartoria, calzature), parati e arredi sacri, abiti per prima comunione, mantelli e insegne per ordini cavallereschi. Oggi il titolare del negozio è suo figlio Alessandro.

VICE: Lei come ha iniziato?

Roberto Maurelli: Come commesso, poi negli anni Settanta ho aperto il mio negozio in via Domenico Fontana, vicino alla Scala Santa e al Vicariato, che è la sede del Vescovo di Roma.

Chi frequenta il suo negozio?

Sacerdoti, suore, laici, tutti. La nostra clientela parte dalla Sicilia e arriva al Veneto, ma anche all’estero. Poi qualche vescovo e cardinale.

Che differenza c’è tra il nord e il sud Italia?

Forse al sud tengono ancora a vestire in un certo modo. Per esempio in Sicilia mando un’infinità di mantelli neri da sacerdoti, quelli lunghi fino ai piedi. In Sicilia e Calabria ne facciamo tantissimi perché tengono ancora a vestirsi con la veste talare e il mantello da sacerdote. Cosa che non accade al nord e dovrebbe essere il contrario, visto che lì fa un freddo cane.

Chiunque può indossare abiti ecclesiastici?

No, c’è una legge che vieta di indossare questi abiti, come c’è una legge che vieta di indossare uniformi militari. Tant’è vero che nei film, se ci fa caso, l’abito ecclesiastico non corrisponde mai al vero. Ma se il cliente paga non mi posso rifiutare di vendere. Se poi va per strada e lo indossa sono fatti suoi, è lui che compie il reato. A noi capitano spesso clienti laici che fanno regali.

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Si dice che il Papa indossi scarpe Prada.

Sì, è uscita questa barzelletta l’altro ieri, se poi si fa fare le scarpe da Prada sono fatti suoi. Per me sono dicerie, fanno presto a parlare.

Quanto costa un abito ecclesiastico?

Giacca e pantalone stanno sugli stessi prezzi, se non a meno, dei vestiti laici. Poi il costo delle pianete [lunghe mantelle senza maniche indossate dal sacerdote che celebra la funzione] varia molto. Partiamo da un minimo di 50 euro per il capo più “scrauso”, come diciamo a Roma, e arriviamo a 5.000 euro per capi ricamati a mano in pura seta. Però le dico, di quelli da 3.000, 4.000 euro ne vendiamo uno all’anno, di quelli da 200, 300 euro ne vendiamo uno, due al giorno.

Cosa vendete oltre all’abbigliamento?

Crocifissi, icone, rosari, anelli e croci vescovili, abbiamo tutto. Anche valigette 24 ore con gli strumenti per celebrare la Messa. Serve ai preti che viaggiano, ma non se ne vendono molte, una decina l’anno e più che altro vengono acquistate per regalo quando i sacerdoti celebrano la loro prima Messa. Poi una dura tutta la vita.

Ho visto che vendete persino il vino. Che ha di particolare?

Quello è spremuta d’uva, non deve essere assolutamente lavorata. Il vino della Santa Messa non è lavorato, è puro, almeno così è riportato sull’etichetta. C’è sia bianco che rosso dolce e viene prodotto da ditte comuni.

Ma non è vino da tavola?

No assolutamente, anche perché ha 16 gradi.

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Il futuro della sartoria ecclesiastica?

Be', finita la nostra generazione, Gammarelli, Mancinelli, Barbiconi, non c’è altro; basta. Nessuno ha più voluto imparare la sartoria ecclesiastica. Le industrie hanno provato a fare le vesti già confezionate, ma sono sempre prodotti fatti in serie. Ma se capita il cardinale che vuole la veste su misura, chi gliela fa?

Elisabetta Bianchetti vive e lavora a Milano. Questo è l’interno del suo negozio di Roma.

Elisabetta Bianchetti è proprietaria e amministratore unico di Manifatture Mario Bianchetti, un’azienda familiare costituita nel 1912 specializzata in abbigliamento ecclesiastico per suore.

Cosa vuol dire “interpretare al meglio il concetto di abbigliamento religioso adattandolo alle esigenze del tempo corrente”? L’ho letto nel catalogo della collezione Bianchetti 2008.

Il concetto dell’abbigliamento religioso lo vivo in questo modo: un religioso oggi è un uomo tra tanti, ma deve essere riconosciuto immediatamente, deve quindi indossare una sorta di divisa che svela chi rappresenta. Quindi io la concepisco come una sorta di uniforme intesa quasi in senso filosofico. Le esigenze dell’oggi, invece, sono difficili e complicate. Molti religiosi vivono tra ragazzi, senzatetto, malati e bambini e devono poter indossare abiti che diano loro la possibilità di andare in motorino, giocare a pallone, parlare ai ragazzi o servire in una mensa di poveri senza avere l’impedimento di un abito che pesa cinque chili ed è lungo 20 metri.

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Quali sono gli abiti ecclesiastici femminili più elaborati?

Non ci sono abiti più elaborati di altri, anzi si va per la semplificazione assoluta pur mantenendo il concetto di rigore. La donna non indossa i simboli della liturgia, quindi veste un’uniforme. Però, cosa contraddistingue una suora da una hostess? L’hostess ha una divisa, la suora un’uniforme che in qualche modo copre il corpo, ma ne svela immediatamente l’identità. Se è vestita correttamente, una suora si riconosce sempre, anche se è in gonna e camicia.

Quali sono le caratteristiche principali di un abito da suora?

Oggi si fa riferimento a una donna di mondo. La bellezza è la base fondamentale di tutto. Con questo non faccio riferimento né al lusso, né a disegni particolari. Deve essere semplicemente una cosa bella, un tessuto che ti permette di avere un abito duraturo nel tempo. Ci deve anche essere una grande attenzione nel trasformare questo indumento in una sorta di segno o di simbolo, questa mi sembra la caratteristica più importante.

Cosa chiede ai suoi creativi?

Sono io la creativa. Senza una laurea in Slavistica, con una tesi in Iconografia e lo studio della liturgia, non sarei mai riuscita a fare niente in questo settore. Ora nessun creativo, che voglia lavorare nella moda, farebbe mai un iter di questo tipo. Si figuri che Calvin Klein quando volle disegnare delle casule si rivolse a me. Semmai i creativi che ho io sono le persone che nel mio atelier tagliano e cuciono quello che disegno.

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Lei a cosa si ispira?

All’arte antica, anche se quando disegno ho un tratto contemporaneo. Giotto per esempio è una grande fonte d’ispirazione, in ambito religioso. Poi bisogna contestualizzarlo e modernizzarlo. Non faccio un lavoro sull’antico però gli spunti provengono da lì.

Cosa chiedono, in genere, gli ordini ecclesiastici che vogliono rinnovare il proprio abbigliamento?

Bellezza, compostezza, semplicità e rigore. Tenga presente che devono essere abiti poco costosi e resistenti. Ho a che fare con degli interlocutori che possiedono un solo abito o al limite due e che non spendono come la gente comune.

Le suore ci tengono ad apparire belle?

Sì, si nota una ricerca di bellezza nei nuovi ordini. Sono donne giovani che hanno scelto di essere suore per un motivo ben preciso. In quel caso c’è una ricerca simbolica di bellezza e di rigore. Le suore lavorano molto nel sociale, quindi c’è un forte desiderio di quotidianità.

Nel vostro catalogo è presente anche la biancheria intima. 

In realtà ne vendiamo molto poca perché ogni suora indossa quello che vuole, il fatto che sia nel nostro catalogo corrisponde più a un servizio rivolto a chi non vuole acquistarla al mercato all’angolo.

È vero che il nero tra le suore non è più di moda?

È vero, per lo stesso discorso che le facevo prima. Provi lei a camminare in giro con cinque metri di lana nera addosso.