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A8N5: È tutto molto strano

Novanta da un pezzo

Le 24 ore più vecchie della mia vita.

Non so se avete notato che ultimamente siamo sempre di più. Sul nostro pianeta intendo. E questo è conseguenza del prolungamento di quella che i demografi chiamano “speranza di vita” (un termine ecumenico che equivale più o meno all’indicatore della batteria sul computer).

Questa sovrappopolazione comporta ovviamente un sacco di conseguenze, che non sto qui a elencarvi perché esiste Wikipedia, tuttavia, anziché prenderne coscienza, i media tendono a omettere che la fase di stallo generazionale in cui siamo incappati è dovuta anche al soprannumero di anziani ultraresistenti.

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Anzi, la cosa interessante è che negli ultimi anni si è sviluppata la controtendenza (inaugurata dal film Cocoon) di dipingere le persone anziane come superuomini ancora nel pieno della vitalità. Sento parlare di cose come kamasutra per nonni, porno coi vecchi, nonne in discoteca, nonne che si fanno i piercing, nonne su un razzo, nonne che si fanno di speed, e ogni volta che mi capita di vedere questo tipo di infarcimento, penso a come sia ipocrita tentare di mettere sotto il tappeto l’altro lato della realtà, sai, quello leggermente più realistico.

Cioè, quando uno è davvero, davvero anziano, è innegabile che la sua vita non abbia niente a che vedere con la descrizione estetico-edonistica di cui sopra (mi si passi che guardare la tv non rientra nell’estetica), e nemmeno con la fase etica, quella in cui si contribuisce attivamente alla società. Negli ultimi anni della vita si entra in quella che si potrebbe chiamare fase teoretica, ossia contemplativa (a volte con qualche deriva mistica). Gli anziani passano un sacco di tempo a contemplare. Quasi esclusivamente contemplare. A volte contemplano su una poltrona vibromassaggiante.

Questa riflessione mi ha portata a decidere di passare 24 ore con la mia nonna mettendomi nei suoi panni, che vuol dire indossare una vestaglia spessissima color tappezzeria e mutandoni e ciabatte—un outfit che ho trovato estremamente confortevole, mi sentivo tanto Hugh Hefner. Non volevo assolutamente portarla fuori dal suo habitat, quindi ho tentato di adeguare i miei ritmi e le mie attività alle sue, per capire come trascorre le sue giornate e magari, siccome ha tanto tempo per pensare, farle un paio di domande circa l’inesorabile trascorrere del tempo, che per me è già un cruccio a 26 anni.

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La prima cosa che ho imparato a tale proposito è che non è mai troppo tardi per abbassarsi l’età: Vittoria Elena Modesta Pardi, la mia nonna, è nata il 29 dicembre 1919, ma quando si presenta in società riferisce di essere nata nel 1920 e di avere 90 anni. Vittoria è abbastanza in forma per la sua età (vera), forse perché in gioventù il Duce l’ha obbligata a fare un sacco di sport. Racconta spesso (molto spesso) che faceva ogni giorno 30 km in bicicletta, avanti e indietro da Aosta, sempre controvento. Quello che la mantiene così bella, però, è che ci tiene ad essere sempre elegante, e la sua dignità è una bellissima abitudine. Dovrei davvero prendere esempio da lei, mi sa.

I suoi costumi quotidiani sono invece spaventosamente simili ai miei, tant’è che ci svegliamo, senza volerlo, nello stesso momento: alle otto, di domenica mattina (purtroppo a me succede anche quando la sera prima non sono nonna), e contemporaneamente ci avviamo verso la cucina. Lì, scopro che condividiamo anche un sacco di usanze alimentari porcelle, con la piccola differenza che lei è abbastanza diabetica. Poco male, c’è l’insulina.

In più, prima di colazione, entrambe siamo solite assumere pastiglie, io vitamina B perché mi hanno detto che fa bene, lei repaglinide 1mg, perché deve. Bella famiglia di pasticcomani, mi dico.

In effetti, la vita di mia nonna è ora scandita inesorabilmente dalle sue pastiglie—sei pastiglie assunte nel corso della giornata (senza contare i saltuari sonniferi)—oltre che da altri bizzarri ritrovati dell’industria farmaceutica. Numero quattro buchi quotidiani, tre sulle dita uno sul braccio (drogata!). Prima di ogni pasto, assume regolatori cardiaci e vasodilatatori, alle ore 10.30 fa il primo controllo della glicemia, a mezzogiorno e mezzo pranza (non prima di aver assunto i soliti cardioaspirina e ritmonorm) e alle 16.30 via con un altro controllo glicemico.

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Verso le cinque e mezza di pomeriggio arriva mio zio, che ogni giorno le medica una ferita che ha sul piede. “Buongiorno tenerello,” gli dice lei, e sembra guardarlo con adorazione, salvo poi lanciargli un’occhiata schifatissima perché ha uno strappo sui calzoni. Non si fa, zio, sei un fricchettone.

Il dignitoso rigore di mia nonna non ammette strappi alla regola. Vedi il momento in cui l’ho accompagnata a fare la cataratta, dopo averle abilmente nascosto per anni l’esistenza di un piercing (ero punk e lei non doveva saperlo), togliendomelo ogni volta che la vedo (peccato non poter fare lo stesso con altri errori di gioventù presenti sulla mia epidermide). Uscita dalla sala, mi guarda e mi chiede, anzi afferma, “Hai un buco sotto alla bocca.” Io tento di fare la vaga e lei insiste: “Ora ti vedo bene, sei sciatta.” Primo pensiero: rimettetele la cazzo di cataratta.

Alle sette di sera, puntuale come le tasse (scusate l’espressione da vecchia, ma la situazione lo permette), arriva l’iniezione di insulina, e oggi tocca a me fargliela. Di solito non sono facilmente impressionabile, poi le iniezioni sono ferite a fin di bene, però la sua pelle sembra fatta di carta velina e il suo braccio ha veramente il diametro di un rametto, ho paura di sgretolarla.

Passato questo angustioso momento, ci sediamo sul divano in cui ci accoglie il cuscino massaggiante che, insieme alla poltrona Transformers, è un must nelle case degli ultraottantenni.

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Mi ricordo di una frase del signor Bobbio che avevo letto su Wikiquote: “Il vecchio vive di ricordi e per i ricordi, ma la sua memoria si affievolisce di giorno in giorno. Il tempo della memoria procede all’inverso di quello reale: tanto più vivi i ricordi che affiorano nella reminiscenza quanto più lontani nel tempo degli eventi.”

I ricordi di cui si nutre la mia nonna sono fondamentalmente tre, raccontati con cadenza abbastanza regolare, che riguardano i momenti che lei ama riviversi in testa il più possibile: il giorno in cui mio nonno le ha chiesto di sposarlo, un mese dopo averla conosciuta (rubandola con abile mossa a un altro a cui era promessa ufficialmente, vai così nonno!); il momento in cui mio zio ha ricevuto onorificenze nella sua carriera di medico; poi, più importante di tutti, lo storico giorno in cui è nata la sottoscritta (come darle torto).

Appena accende la televisione su Rete Quattro e sento che sta per iniziare uno di quei momenti old school di fruizione catodica passiva a volume assassino di programmi che di solito evito come la lebbra, ne approfitto per chiederle: “Nonna, tu come ti vedi fra dieci anni?” Lei mi guarda a lungo e poi mi dice, “Io non ci arriverò mai, fra dieci anni sarò all’inferno.” “E perché mai?” le dico. “Perché non vado mai a messa,” mi risponde sorridendo. Quando le chiedo se crede veramente all’inferno, mi risponde: “Finché non ci vado non lo so,” poi mi racconta che da quando è morto il nonno, più o meno 40 anni fa, sente il suo spirito che le parla, “mi ha detto di quella volta che la tua mamma ha preso la macchina e ha fatto un incidente, lei mi aveva raccontato che qualcuno doveva essere andato a sbattere contro la macchina parcheggiata, ma io lo sapevo che era una bugia, perché ho sognato il nonno che mi diceva di non crederle, che era stata lei.” Povera mamma, posso solo immaginare il sommo stupore che l’ha colta quando ha capito di essere vittima di un complotto metafisico, che neanche Patrick Swayze in Ghost era così crumiro.

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Ultimamente la nonna sogna spesso suo marito, sogna che sono insieme in paradiso, e che lui la accompagna verso una porta chiusa, la apre, e dietro questa porta c’è la sua mamma.

Le chiedo se crede che rimanga qualcosa quando fisicamente non ci siamo più, e lei mi dice: “Sì, c’è un legame tra noi vivi e i nostri morti, ci proteggono infatti.”

Certo, a parte quando inalo erbe e la mia testa vede il paranormale ovunque, sono portata a non credere all’esistenza degli spiriti, ma penso che il ricordo di cose e persone passate, che non ha niente di concreto, sia il vincolo idealistico con cui una persona anziana riempie i suoi giorni, che altrimenti sarebbero composti solo di azioni veramente noiose, vedi prendere pastiglie a nastro, farsi pungere le dita ogni sei ore per provare la glicemia e controllare di aver chiuso il gas, fondamentalissime problematiche concrete insomma.

Dopo l’ultimo controllo della glicemia a fine giornata, andiamo a dormire, e quell’ansia da invecchiamento che ogni tanto mi prende, inizia a calare su di me più pesante del solito.

Mi ricordo di mia madre che, dopo aver passato alcuni giorni a stretto contatto con la nonna, ha iniziato a millantare frasi che andavano da “Mi chiudo in convento” a “Inizio adesso con le droghe pesanti.” Ecco, diciamo che io sono fiduciosa del fatto che alla mia età ho incorporato almeno il centuplo degli alcolici (et alii) che mia nonna in tutta la sua esistenza, quindi non credo tutto sommato che i novant’anni siano per me un traguardo realistico. E poi, tra poco entro in fascia 27. Ho più di un anno per diventare una rockstar maledetta e soffocare nel mio vomito.

E da lassù, nonna, io ti proteggerò.