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Le cose di Virginia

Le parole sono improntanti

Di neologismi inutili, frasi fatte, inglesismi e altre cagate più o meno recenti della lingua italiana.

Spesso e volentieri, mi sono detta mentre partorivo questo rizomatico post, non mi va giù di scrivere cose banali piuttosto che sbagliate. Per quanto concerne la datità dei fatti, in un certo qual modo sono portata a livello epidermico a svicolare le espressioni cheap in vista di una visione più ampia della progettualità e prodigarmi a followare i più scafati prendendo a piene mani dal sottobosco della grande tradizione dei mostri sacri della semantica postmoderna.

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Se nel precedente paragrafo avete trovato qualcosa che non va, siete i benvenuti nella puntata odierna delle mie Cose; se, al contrario, vi è sembrato che tutto filasse liscio e non state storcendo il naso di fronte alle aberrazioni idiomatiche a cui vi ho sottoposto, mi spiace tanto per voi, ma la vostra capacità di discernimento zoppica un po’.

Tengo a precisare che non è mia intenzione cercare il pelo nell’uovo in ogni periodo che a un italiano medio possa venire in mente di pronunciare o, addirittura, scrivere; vorrei solo richiamare la vostra attenzione su alcuni scempi che stanno catapultando la nostra lingua dal top della finezza e ricchezza dei tempi d’oro a una specie di ibrido fra velleitarismo sconsiderato e spaventosi gorgheggi animaleschi.

Questa mia irritabilità nei confronti di certi obbrobri linguistici deriva quasi sicuramente da un trauma subìto in giovane età, quando uscivo dal grest della scuola media e sperimentavo le prime gioie di una quarta ginnasio di liceo classico con l’Adolf Hitler della lingua italiana in cattedra (una professoressa che tanto ho detestato quando ero sotto la sua egemonia quanto ho amato in seguito) che, per dirvi come andavano le cose, durante i primissimi giorni di scuola ha sottoposto la classe a un compito di glossario infernale in cui si richiedeva di definire termini quali vilipendio, ostracismo, sineddoche e altre parole che ai tempi mi suonavano come un rutto.

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E lì ho pianto, ho pianto tanto, ma poi ho imparato a voler bene alle parole, e anche se nei fatti non lo dimostro così bene, ogni tanto cerco di tirarmi una randellata sulle mani e di ricordarmi come si sta composti. Insomma, quello che sto scrivendo è un promemoria più per me che per voi, ipotetici lettori, ma sarò contenta se mi aiuterete a integrarlo.

llora, ci sono cinque grandi categorie in cui suddivido le pugnalate verbali, sferzate ogni giorno al corpus linguistico dello Stivale:

1. Abuso malsano di inglesismi e francesismi: per capire cosa intendo, basta ascoltare per pochi secondi un “discorso” di Enzo Miccio.

Non dico di prendere esempio da Paesi particolarmente pignoli in questo senso—come la Spagna o la Francia (computer, pronto? Dai ripetiamo insieme, com-pu-ter)—perché è ovvio che alcuni inglesismi sono ormai inevitabili, ma caspita, se notate che già fate fatica con la vostra lingua materna, perché complicarvi la vita con ibridazioni abominevoli?

Alcuni esempi di termini che mi fanno piangere sangue dal culo: Performare, Leaderare, Briefing, Kermesse, Outsider, Addare, Followare, Laikare, Skippare, Spoilerare, Bypassare, Brunchare, Brandizzare, Location, Kitchissimo, Scicchissimo, Cheap, Austerity, Dossieraggio, Trollare, Lollare, Vernissage, Designer (sì forse qui esagero).

2. Espressioni che mi sono onestamente rotta i coglioni di trovare ovunque: spesso utilizzate alla stracazzo per infarcire frasi che hanno bisogno delle frasi-fatte per essere fatte. Mi sono spiegata?

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La fantasia è bella, perciò non abbiate paura di sperimentare quando parlate: pensate alla lingua come a una cornucopia di alimenti deliziosi e alle espressioni che seguono come al temibile cibo da fast-food. Scaglie linguistiche piene di conservanti e grassi saturi che andranno a posarsi sui vostri fianchi e non vi abbandoneranno facilmente. Qui ne riporterò solo alcune, ma per una lista più ampia potete avvalervi dell’aiuto del validissimo gruppo facebook Le parole che non voglio più sentire, in cui chi vuole può segnalare le locuzioni merdose di cui il giornalismo italiano, oltre che la lingua parlata, è sempre più intriso.

In questa categoria rientrano espressioni quali: “Spesso e volentieri”, “Ma anche no”, “Senza se e senza ma”, “Mostro sacro”, “Unico nel suo genere”, “A livello epidermico”, “Laboratorio di idee”, “Mettersi in gioco”, “L’immaginario dell’artista”, “Strizza l’occhio a…”, “Ampia metratura”, “Di largo respiro”, "In un certo qual modo", “Grazie di esistere”, “…e quant’altro”. A questa lista aggiungiamo l’uso, particolarmente sgradito a mia madre, di “Andare a…” e “Quello che è…” come riempitivi linguistici (esempio: “andiamo a presentare quello che è il progetto”, ecco, tutta questa frase andrebbe infilata nel water).

3. Parole che mi capita di leggere solitamente nei compendi di filosofia, quando vengono utilizzate fuori dai compendi di filosofia: perché è molto figo far vedere che solo io in Italia sono un diretto erede del Foscolo anche quando scrivo che mi puzza il culo.

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Qualche esempio: Ergo, Mitteleuropeo, Postmoderno, Rizomatico, Zeitgeist, Deterritorializzazione e molti altri lemmi da segone intellettuale. Il vero problema in questo caso non sono i termini in sé, ma la coscienza torbida di chi parla, che posso esemplificarvi invitandovi a studiare il caso Alfonso Luigi Marra.

4. Neologismi inutili: in questa categoria rientrano quelle parole che sembrano tirate insieme con lo sterco, termini spesso banali o vergognosamente orrendi che, rimaneggiati o messi insieme ad altri termini analoghi, emanano il loro alone di oscenità alla seconda potenza. Queste parole hanno sulle mie orecchie lo stesso effetto che avrebbe vedere due persone veramente ma veramente schifiltose che si strusciano l’una contro l’altra nella pubblica piazza.

Ecco alcune creature deformi della nostra lingua nate da poco, che già chiedono di essere soppresse: Spannometrico, Proattivo, Interfacciarsi, Addizionare, Apericena, Cinepanettone, Grillino, Fallocentrico, Paparazzare, Fidelizzare, Linfodrenare, Faccialibro.

5. Parole che personalmente trovo orrende: ne riporto solo alcune, sennò sembro pazza.

Emozionale, Impattante, Creativo, Hipster, Scafato, Controcultura, Anticonformista, Implementare, Arcinoto, Tempistiche, Inciucio, Movida. Digei.

Ecco, credo di aver finito, anche se l’elenco qui sopra è solo un inizio. Purtroppo le parole oscene si riproducono conigliescamente. Segui Virginia su Twitter: @virginia_W_ Altre Cose: Okkupare a trent'anni