"Ho passato 23 ore sotto le macerie": tre persone ricordano i terremoti che hanno vissuto
Il centro di Amatrice dopo il terremoto del 24 agosto. Foto via Wikimedia Commons.

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"Ho passato 23 ore sotto le macerie": tre persone ricordano i terremoti che hanno vissuto

In Italia, non pochi terremoti sono entrati nella memoria collettiva per intensità, numero di vittime e quantità dei danni. Abbiamo parlato con chi ha vissuto quello del Friuli nel 1976, L'Aquila nel 2009 e l'Emilia nel 2012.

Aggiornamento del 24 agosto 2018: sono passati due anni dalla scossa di magnitudo 6.0 che, alle 3.36, ha colpito il centro Italia, polverizzando Amatrice, Accumoli e altri paesi. In questa data riproponiamo un articolo di ottobre 2016, realizzato dopo le nuove scosse con epicentri al confine umbro-marchigiano, a cui ne sarebbero seguite altre a gennaio. Questo insieme di eventi ha provocato in tutto più di 300 morti (293 dei quali ad Amatrice) e altrettanti feriti, oltre a migliaia di sfollati. Oggi nelle zone colpite nell'agosto di due anni fa le demolizioni sono ancora in corso, mentre la ricostruzione è ancora ai primi passi nonostante gli oltre 200milioni stanziati.

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Quello con epicentro tra Norcia e Preci del 30 ottobre 2016 è tristemente entrato nella lista dei terremoti più forti che hanno colpito l'Italia: era dal 1980 che non si verificava una scossa tale. E quel che ha reso ancora più disgraziata la situazione è che la scossa ha seguito quella, di magnitudo minore ma improvvisa e quindi più letale, che aveva colpito la stessa zona in agosto, con epicentro ad Amatrice.

I geologi hanno confermato quello che già ad agosto avevano ipotizzato, ovvero che si sia attivata una nuova faglia lungo la dorsale appenninica. L'Italia, ripetono, è naturalmente un'area sismica—e infatti non sono pochi i terremoti che nell'ultimo secolo sono entrati nella memoria collettiva per intensità, numero di vittime e quantità dei danni. Abbiamo parlato con chi li ha vissuti.

FRIULI, 1976

Il terremoto avvenuto nel 1976 in Friuli, attraverso una prima scossa a maggio e diverse repliche a settembre, ha colpito un'area popolata da circa 600mila persone, producendo quasi mille morti e 100mila sfollati.

Il terremoto del Friuli del 1976 comprende in realtà due eventi distinti, entrambi devastanti. Ma mentre il primo—quello della sera del 6 maggio—è ricordato, del secondo, avvenuto la mattina del 15 settembre, ci si dimentica spesso.

Alle nove di sera del 6 maggio ero in pigiama e stavo finendo di cenare con la mia famiglia. In quei giorni mi stavo preparando per la maturità, e ogni sera dopo cena passavo tre ore a studiare nella mia stanza nell'appartamento di Udine in cui abitavamo. Dalla finestra della mia stanza, rivolta a nord, si vedevano Artegna, Gemona, Venzone e, piccolo e minaccioso, il monte San Simeone [luoghi associati all'epicentro della scossa].

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La scossa è stata lunga. A Udine è arrivata divisa in due picchi. Per giorni, dopo, avremmo discusso sulla parte sussultoria e quella ondulatoria.

Durante la scossa vera e propria ricordo che siamo corsi in soggiorno, dove mio fratello più piccolo stava giocando sotto una libreria altissima da cui cadeva già qualche libro. Siamo arrivati in tempo per bloccarla e impedire che venisse schiacciato dalle enciclopedie di famiglia. Abbiamo passato quella notte e la successiva in auto, con nostra madre. Nostro padre, che aveva fatto anni di prigionia in India e vissuto alcuni terremoti himalayani, è rimasto impassibile e ha continuato a dormire in casa.

La mattina della seconda scossa invece ero in centro a Udine, in via del Gelso, alla guida di una 500 con tettuccio aperto. Faceva caldo e la città era affollata. Ho sentito la macchina ballare anche se ero fermo, ho guardato verso l'alto e ho visto i palazzi muoversi insieme ai fili elettrici e ai semafori. Le persone correvano verso le automobili bloccate nel traffico e chiedevano di essere portate via. Ricordo una donna nel panico che urlava da sopra il tettuccio aperto della macchina.

Nell'oblio di questo secondo evento sta la spiegazione del perché in Italia si fatichi a risolvere il problema fondamentale e non si finanzi ancora una politica di prevenzione che permetta di salvare vite e risparmiare soldi. Nel 1976 lo sforzo generoso di una popolazione molto attiva ha portato, in alcuni paesi, alla completa ricostruzione delle case nel corso dell'estate. Purtroppo l'ignoranza ha fatto sì che il terremoto di settembre distruggesse non solo edifici non abbattuti in precedenza, ma anche molti edifici ricostruiti nel frattempo.—Fabio Trincardi

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L'AQUILA, 2009

La scossa del 6 aprile 2009, preceduta da una lunga serie di scosse, ha avuto il suo epicentro in città, ma ha interessato buona parte dell'Italia centrale. Considerando il numero di danni e vittime (309), risulta il quinto terremoto più distruttivo in Italia in epoca contemporanea.

Magari ad alcuni il mio nome non dirà nulla, ma magari ad altri farà tornare in mente il 6 aprile 2009 e il terremoto dell'Aquila. Torneranno alle immagini televisive, a quel lungo salvataggio trasmesso in diretta dove si parlava di una ragazza ancora viva sotto le macerie della sua abitazione totalmente crollata. Quella ragazza sono io. Ho scoperto solo dopo di essere diventata uno dei simboli di speranza della mia città.

Oggi sono una ragazza normale. Ho una laurea e un lavoro, ansie e sogni, ma a 24 anni sono rimasta per 23 ore sotto le macerie della casa in cui vivevo in affitto. Devo la mia vita agli uomini del soccorso alpino che hanno lavorato per 15 ore di fila per tirarmi fuori. Ho perso le mie migliori amiche, in quel terremoto. Ho perso tanti compagni di università. Ho perso tutto quello che possedevo: vestiti, scarpe, libri, computer. Ho perso la mia serenità e la mia quotidianità. Ma ho la vita.

Ho riflettuto spesso su quanto accaduto, cercando di trovarci un senso e un perché. Ho capito che la vita mi ha regalato una seconda possibilità e che devo cercare di viverla al meglio. Per questo ho deciso di non abbattermi e di continuare a lottare. Di non scoraggiarmi davanti alle innumerevoli sedute di fisioterapia che ho dovuto affrontare per riacquistare la mia totale indipendenza.

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Ho capito che la tenacia e la determinazione sono fondamentali, così come la capacità di adeguarsi ai cambiamenti e di rimettersi in gioco. Che è importante avere fiducia in se stessi, che il carattere viene temprato dalle avversità. Che focalizzarsi su un problema non serve a niente, è più costruttivo provare a risolverlo e agire perché accada. Che condividere il proprio dolore aiuta e che bisogna trasformarlo in qualcosa di positivo cercando di capire come si può evitare che ciò che è accaduto si ripeta.

Questa è ciò che definisco la mia "ricetta", ciò che mi ha aiutata a ritrovare un equilibrio. Quello stesso equilibrio perso in pochi secondi ma che richiede tempo, volontà e impegno affinché si possa ristabilire.—Marta Valente

EMILIA, 2012

La prima scossa particolarmente forte, preceduta da altre di minore intensità, risale al 20 maggio 2012, alle 4 di mattina. Il 29 maggio, una nuova scossa è stata avvertita in tutta l'Italia settentrionale; i due eventi hanno causato un totale di 27 vittime.

Nel 2012 stavo dormendo nella mia casa di San Martino Spinto, in provincia di Modena. Dormivo su un materasso nudo appoggiato sul pavimento di legno. Dormivo con la luce accesa. A un certo punto la luce se n'è andata e la stanza ha cominciato a muoversi avanti e indietro, su e giù.

Mi sono alzato in piedi a gambe larghe, per non cadere. Cadeva tutto. Ho pensato, "Ciao a tutti, mi sa che adesso muoio." Poi ho pensato che avrei potuto aprire la finestra, saltare sulla pensilina, poi su una macchina parcheggiata e poi a terra. Quando ho fatto per aprirla tutto si è fermato. Allora sono sceso di corsa per le scale e sono uscito in strada, scalzo e in mutande.

Sono corso a casa dei miei genitori—non ho mai corso così forte—e li ho trovati anche loro fuori di casa, con altra gente. La prima cosa che mi hanno chiesto è stata, "Perché sei in mutande? Non hai freddo?" Anche nella tragedia erano pur sempre genitori. Poco dopo è sorto il sole e abbiamo potuto finalmente vedere il terremoto, che prima avevamo solo sentito.

Il giorno dopo è piovuto e poi non è piovuto più per mesi. Io sono stato in tenda e in camper, i miei in macchina e in roulotte. Per 40 giorni mio padre non si è più seduto: si sdraiava soltanto per qualche ora la notte e per il resto del tempo stava in piedi. Non parlava neanche, mentre mia madre parlava con tutti, cosa che non faceva più da tempo. Pranzavamo e cenavamo per strada sotto un ombrellone e una volta mia madre ha detto, "Pensa te, c'è gente che va fino al mare per fare questo."—Tiziano