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Restano meno di due giorni per “salvare il mondo” dall'inquinamento: ecco cosa manca

Mancano meno di 48 ore alla chiusura dei lavori: anche se il 75 per cento dei ‘punti contestati’ presenti nella prima bozza sono stati rimossi, rimane una lunga serie di nodi da sciogliere.
Foto Lucie Aubourg/VICE News

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A due giorni dalla prevista chiusura dei lavori, la Conferenza sul Clima di Parigi entra nel vivo. L'obiettivo è di raggiungere entro venerdì sera un accordo condiviso per limitare gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Il patto di Parigi entrerà poi in vigore nel 2020, anno della scadenza del Protocollo di Kyoto.

Dopo una settimana in cui si sono susseguiti incontri del comitato centrale e discussioni bilaterali, sabato scorso è stata presentata la prima bozza del documento finale. Come largamente anticipato, l'impegno principale sottoscritto dalle nazioni presenti a Parigi è quello di limitare il riscaldamento globale a un massimo di 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali.

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Il testo evidenzia poi le misure che i paesi dovrebbero mettere in atto per raggiungere l'obiettivo: un taglio netto alle emissioni di gas serra, il rafforzamento dei processi di adattamento al cambiamento climatico e la spinta verso uno sviluppo economico sostenibile.

Tuttavia, secondo le stime del United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), non sarà possibile impedire un innalzamento delle temperature superiore ai 2 gradi con gli impegni messi sul tavolo finora dai singoli paesi.

Ieri pomeriggio il Presidente di COP21, il ministro degli esteri francese Laurent Fabius, ha presentato una "versione ripulita" della proposta. Dalle 43 pagine che componevano la prima versione, si è passati alle 29 di quella attuale. Secondo quanto riportato dalla BBC, anche se il 75 per cento dei 'punti contestati' presenti nella prima bozza sono stati rimossi, rimane una lunga serie di nodi da sciogliere.

"Si tratta di una tappa importante dei negoziati, ma non ancora risolutiva," aveva detto Fabius martedì, anticipando la pubblicazione del testo. "I rapporti dei nostri intermediari mostrano alcune convergenze insieme a delle problematiche che devono ancora essere risolte."

Tra le questioni irrisolte spicca quella delle compensazioni per i danni associati all'impatto dei cambiamenti climatici, che comprendono la perdita di vite umane e le dure conseguenze economiche subite, in particolare, dai paesi in via di sviluppo.

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La sensazione però è che le nazioni più ricche siano intenzionate a fornire fondi aggiuntivi ai paesi che combattono in prima linea contro gli effetti del riscaldamento globale. 100 miliardi di dollari sono già stati promessi entro il 2020, ma, a detta di Christiana Figueres, segretario esecutivo di UNFCCC, la cifra è destinata a salire.

"Vedo un consenso generale secondo cui 100 miliardi di dollari sarà il punto di partenza e non di arrivo," ha dichiarato Figueres. "Siamo già a 100 miliardi? No. Ma ci stiamo certamente avvicinando."

Benché l'accordo, che deve essere sottoscritto da ogni stato del mondo entro domani sera, contenga le basi di un'economia a basso utilizzo di carbone, un ex alto ufficiale ONU ritiene che sarà "estremamente difficile" evitare livelli pericolosi di riscaldamento atmosferico.

"Sono preoccupato che il segnale che arriverà da questa conferenza non sarà abbastanza forte da guidare il cambiamento necessario nella società," ha infatti detto Yvo de Boer, che per le Nazioni Unite è stato Segretario Esecutivo della Framework Convention on Climate Change, da 2006 al 2010.

Nel round finale di negoziati entrano due schieramenti compatti. Da una parte troviamo la cosiddetta Climate Coalition, un fronte composto da 79 paesi in via di sviluppo, gli Stati Uniti e i 28 stati membri dell'Unione Europea. Su posizioni divergenti rimangono invece i paesi del gruppo BASIC (Brasile, Sud Africa, India e Cina).

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In una conferenza stampa tenutasi martedì, i membri della Coalizione hanno delineato i propri punti fermi: la definizione di obiettivi a lungo termine in linea con i pareri scientifici; l'introduzione di un meccanismo che permetta una revisione quinquennale degli impegni presi dalle singole nazioni riguardo le proprie emissioni di gas inquinanti; la creazione di un sistema unificato per tenere traccia dei progressi fatti dai paesi.

I BASIC, invece, hanno sottolineato come, a detta loro, l'accordo finale dovrebbe includere gradi di responsabilità diversi per i paesi ricchi e per quelli in via di sviluppo.

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Nel frattempo a Parigi sono sbarcati i principali esponenti politici delle nazioni presenti alla Conferenza, per cercare di sciogliere gli ultimi nodi in vista della scadenza di venerdì.

Il Segretario di Stato americano John Kerry ha dichiarato ieri durante una conferenza stampa che "c'è qualcosa di molto diverso in questa edizione del COP […] C'è uno slancio per il raggiungimento di un accordo che non si era mai visto prima."

Kerry ha aggiunto che se la comunità internazionale non riuscisse a firmare un accordo, si tratterebbe di un "fallimento morale collettivo con delle conseguenze enormi."

Il Presidente russo Vladimir Putin, che in precedenza si era mostrato scettico sulla pericolosità del cambiamento climatico, avrebbe assicurato ad Angela Merkel che i diplomatici russi non ostacoleranno il raggiungimento di un patto che dovesse ricevere il sostegno della maggioranza dei paesi.

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Lunedì si erano espressi anche il Presidente cinese Xi Jinping, che ha definito COP21 "non un traguardo, ma un nuovo punto di partenza," e il Presidente americano Barack Obama, che ha invece detto: "Siamo la prima generazione a sentire [gli effetti del] cambiamento climatico, e siamo l'ultima generazione che può fare qualcosa [per fermarlo]."

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Ha collaborato Giulia Saudelli.