Abbiamo risposto alle domande degli uomini sulle molestie sessuali

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Abbiamo risposto alle domande degli uomini sulle molestie sessuali

È venuto il momento di affrontare il problema alla radice: ovvero partire dagli uomini.
Giulia Trincardi
Milan, IT

A ogni notizia di un caso di abusi nei confronti di una donna—o molte, come nel recente scandalo che ha coinvolto il produttore hollywoodiano Harvey Weinstein—il dibattito pubblico raggiunge livelli di caos e confusione totali.

Ed è proprio a seguito dello scandalo Weinstein, soprattutto in relazione ad Asia Argento, che ho potuto fare più caso a una questione che per abitudine tendiamo a ignorare: la discrepanza tra il modo in cui queste tematiche sono percepite da molti uomini (e una piccola percentuale di donne) e—be', da tutti gli altri, donne, uomini gay ed etero illuminati e il resto dello spettro dei generi e degli orientamenti.

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Insomma, mi sono resa conto che per alcuni dei ragazzi con cui mi confrontavo (premetto: anche persone colte, brillanti, aperte) era difficile circoscrivere in modo netto una violenza di genere o capire come distinguerla dall'insieme di situazioni nebulose che si creano nelle relazioni tra persone. E il fatto che queste cose vengano date per scontate, e che molti si sentano in difetto a chiedere e a manifestare la propria incomprensione, non aiuta certo il dialogo.

Per questo ho chiesto a colleghi e amici di rendermi partecipe delle domande che si sono posti in queste settimane (o in altri momenti), e ho risposto sulla base dell'esperienza condivisa con altre ragazze e con l'aiuto della psicologa e sessuologa Roberta Rossi, dell'Istituto di Sessuologia Clinica di Roma.

"PERCHÉ MOLTE DONNE CHE SUBISCONO VIOLENZA RESTANO IN SILENZIO?"

Una mattina, quando avevo 13 anni, un uomo sull'autobus su cui mi trovavo ha iniziato a toccarmi il sedere. Quando mi sono scansata, all'altezza della fermata, lui è sceso premurandosi però prima di afferrarmi letteralmente con le mani la vulva. Avevo un paio di pantaloni di tela che non ho mai più voluto indossare perché mi facevano venire la nausea, con buona pace di mia madre che me li aveva appena comprati e mi chiedeva perché improvvisamente non mi piacessero più. Non sono mai riuscita a raccontarle questa storia, perché mi sentivo malissimo solo a provarci, mi vergognavo. La vergogna mi permetteva di seppellire il disagio e di non rendere ancora più concreta—perché esposta al giudizio altrui—la vicenda.

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"La vergogna è un sentimento che ha a che fare, in qualche modo, anche con il senso di disprezzo per quanto accaduto," mi ha confermato la dottoressa Rossi. "Rispetto all'immagine che hai di te stessa, quello che hai vissuto entra in forte contraddizione. E la vergogna diventa un modo per tenerlo lontano da te." Senza considerare, ha proseguito, "il senso di fatica che si prova nel parlare di qualcosa che ti ha profondamente turbato."

"OK, MA CHE SENSO HA TENERSI DENTRO QUESTE COSE PER ANNI?!"

Il discorso è sempre legato alla vergogna, o alla "paura di essere esposte a un ulteriore processo," ha detto la dottoressa. O, ancora, per una difficoltà nell'elaborazione dell'accaduto. "Pensate a tutti quei casi di abuso infantile che vengono fuori dopo tanti anni: non significa che quella persona non abbia fatto i conti con quanto successo per tutto quel tempo, ma è una realtà talmente pesante da affrontare che, prima di venir fuori, ha bisogno di una certa maturità, di una certa accettazione."

Per la dottoressa Rossi, a questo proposito è fondamentale riconoscere le responsabilità che abbiamo gli uni verso gli altri come parte di una società, e il bisogno di contrastare la paura con un senso di giustizia e di solidarietà nei confronti di chi si trova in una situazione traumatica o potenzialmente tale. Ovvero: dimostrare con le parole e i gesti il proprio sostegno a chiunque abbia vissuto momenti traumatici di questo tipo può aiutare ad aprirsi.

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"PERÒ IN QUESTO MOMENTO PARE CHE TUTTO POSSA PASSARE PER MOLESTIA. QUAL È IL LIMITE TRA, PER ESEMPIO, SCHERZO E MOLESTIA, E COME FACCIO A SAPERE SE LO STO SUPERANDO?"

Il limite è personale e relativo al contesto. Questo, in un certo senso, vale per qualsiasi tipo di umorismo. Personalmente ho amici con cui scherzo in modi terribili, ma ci sono sempre (senza che siano dati per scontati, ma piuttosto rinnovati) una consapevolezza e un permesso allo scherzo reciproci. In generale, soprattutto quando non esistono una confidenza e una fiducia già consolidate, bisogna stare attenti ai segnali di disagio che l'altra persona manifesta, esercitando un basilare istinto empatico, se vogliamo. In breve: porsi il problema di come si sta interagendo con quella persona, anziché concentrarsi solo sul fine ultimo di quella interazione.

Da un punto di vista pratico, il confine più ovvio è quello del consenso. Se una delle parti coinvolte non è consenziente, o smette di esserlo a un certo punto di un rapporto sessuale, o di qualsiasi altra interazione, proseguire significa muoversi nel territorio della violenza. Allo stesso tempo, per le violenze di tipo verbale o psicologico è effettivamente più difficile rendersi conto dei segnali, anche perché nella nostra cultura non viene riconosciuto il peso enorme di questi abusi. È necessaria, anche in questo caso, un'educazione all'auto-regolarsi, al pensare a cosa proveresti se ti trovassi, a ruoli invertiti, in una situazione di squilibrio di potere simile. Non immaginare la ragazza dei tuoi sogni che ti fischia per strada; immagina un Harvey Weinstein che ti costringe in un angolo e tira fuori il cazzo.

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"NON SAREBBE PIÙ SEMPLICE SE LE RAGAZZE DICESSERO SEMPLICEMENTE COSA VOGLIONO O NON VOGLIONO FARE?"

"La famosa frase 'il sì è sì, il no è no' ha un senso," ha risposto la dottoressa Rossi. "Ma bisogna anche tenere in conto che ci sono situazioni in cui si ha difficoltà a dire di no e mettere questi paletti chiaramente," ha proseguito, facendo riferimento a situazioni dove si manifesta uno squilibrio di potere tra le persone tale da non permettere una piena libertà di espressione a una delle due parti. Qui, la responsabilità ricade su chi detiene un potere maggiore, che, nella nostra società, è più spesso un uomo, ha spiegato la dottoressa. "Se una donna si trova in una situazione di difficoltà, questa non deve essere una giustificazione per una controparte maschile che non si auto-regola e che pensa di poter sempre andare oltre."

"MOLTE DONNE VITTIME DI MOLESTIE DICONO DI NON AVER REAGITO MENTRE IL FATTO AVVENIVA, DI ESSERE RIMASTE PARALIZZATE. PERCHÉ SUCCEDE? CHE SENSO HA?"

Molti studi hanno ormai dimostrato che la "paralisi" che colpisce in alcuni casi le vittime di violenza non è in alcun modo un segnale di consenso, ma un riflesso che molti mammiferi condividono quando messi di fronte a situazioni di pericolo. "È stata una specie di dissociazione. Non pensavo a niente. Mi ricordo solo che volevo andare a casa… Non ero del tutto presente," racconta una vittima di violenza in questo articolo. "Mentre succedeva, non pensavo. Per me, era come se non stesse succedendo."

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Nei casi di molestie anche verbali, "in un luogo pubblico, la reazione sarebbe la cosa migliore perché demotiva chi si comporta in questo modo," ha spiegato la dottoressa Rossi. "L'attrazione nell'aggredire una persona in un luogo pubblico in effetti è legata proprio al fatto che la vittima è passiva. Il fatto di reagire scoraggia immediatamente l'altro. Non è questione di incitare al linciaggio: semplicemente, davanti a una reazione, si priva l'aggressore del piacere che prova in quel gesto."

In una situazione isolata, invece, la scelta migliore è sempre scappare, ma non è detto che sia possibile farlo. "Bisogna poi considerare quanto siamo più veloci dell'altra persona, che potrebbe interpretare la nostra fuga come un'ulteriore provocazione."

"PERÒ I TIPI POSSESSIVI O STRONZI VI PIACCIONO"

Nell'industria dell'intrattenimento—vuoi televisivo, cinematografico o persino letterario—è prassi comune estetizzare i comportamenti violenti e possessivi. Culturalmente, impariamo a legare l'amore a un intrinseco senso di tragicità e pericolo, un assunto che diventa poi difficile da mettere in discussione per chiunque, in qualsiasi punto dello spettro dei generi. Una persona "folle" di gelosia, ossessiva e invadente, per esempio, anziché essere descritta come effettivamente pericolosa, viene romanticizzata in molti film. Basta guardare anche Twilight.

Inoltre, "l'aggressività è culturalmente considerata un attributo maschile, quindi in qualche maniera può anche essere ritenuta attraente, però è importante fare una distinzione," ha risposto la dottoressa Rossi: "una cosa è l'attrazione, una l'esperienza nella realtà, ci sono due livelli diversi. Anche noi donne," ha proseguito, "siamo vittime di questi ruoli di preda e predatore," che introiettiamo molto presto.

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"PERÒ OGNI TANTO ESAGERATE CON LE REAZIONI, NO?"

In molte situazioni un tono calmo viene percepito come non davvero negativo e quindi si rivela del tutto improduttivo. Nel momento in cui sei tu uomo in torto (per quanto magari "in buona fede"), ho paura che sentirti dare della merda non sia veramente qualcosa di cui ti puoi lamentare.

C'è in effetti una strana linea di pensiero—tanto da parte di alcune associazioni femministe blande, come di molti uomini—secondo cui basterebbe chiedere gentilmente a qualcuno di interrompere un atteggiamento fastidioso per far sì che questa cosa succeda. Secondo questa linea di pensiero il disagio che prova un uomo nel sentirsi criticato legittima in qualche modo una sua reazione negativa o eccessiva. Purtroppo non funziona esattamente così.

Anche in questo caso, si tratta di allenare la propria sensibilità ai messaggi impliciti ed espliciti che sono forniti dall'altra parte e di incassare il colpo, per quanto umiliante (perché prendere una posizione di difesa è anche una questione di umiliazione) quando si è in torto.

"COSA DOVREI CONSIGLIARE ALLE MIE AMICHE PER PREVENIRE LE VIOLENZE? NON PARLO DEI VESTITI, QUELLA È UNA STRONZATA E OGNUNO HA IL DIRITTO DI VESTIRSI COME VUOLE"

Un paio d'anni fa, durante una puntata del programma americano Daily Show dedicato al problema delle violenze sessuali nei campus americani, due comici hanno presentato in uno sketch la diverse regole che uomini e donne mettono in pratica per "essere al sicuro". Lo sketch in questione riassumeva bene come una violenza sessuale possa verificarsi a prescindere da tutte le accortezze del mondo, perché è responsabilità di qualcun altro.

Per eradicare la nostra mentalità nociva è necessario, ha detto la dottoressa Rossi, lavorare sul lungo periodo "con un'educazione al genere come qualcosa di molto più fluido" della semplice contrapposizione uomo-donna, e su un piano più immediato chiedendo agli uomini già consapevoli farsi avanti e portare avanti una battaglia che prenda le distanze dal ruolo che gli è stato culturalmente imposto. I ruoli di genere costringono le donne a una posizione socialmente e psicologicamente soggiogata, impongono uno standard di mascolinità tossico per gli uomini stessi e negano, di fatto, l'esistenza di chiunque altro.

Di fronte a ciò, l'unica vera prevenzione possibile è un cambiamento radicale culturale—rendersi conto che nessuno può sentirsi in diritto di disporre del corpo di qualcun altro a piacimento e senza consenso.

Ora: non so cosa consigliare alle vostre amiche, perché non so cosa consigliare a me stessa prima di tutto. So però che mettere in discussione il ruolo che mi è stato imposto e spingere i miei amici a fare altrettanto—smettendo di giustificare le nostre azioni sulla base di frasi come "è così perché sei donna," ed "è così perché sei uomo"—alimenta un confronto costruttivo. In una parola, ascoltate. Forse è la cosa più importante che potete fare.