La grande truffa dell'indie anni Zero

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Musica

La grande truffa dell'indie anni Zero

Ci siamo fatti raccontare da ragazzi che hanno scritto per NME nella sua era d'oro come hanno creato la scena indie e convinto l'Europa ad amare band come The Strokes, The Libertines, e altri "The".

Quello che succedeva durante Gli Osbourne erano la notizia più succosa ogni settimana. La musica più ascoltata della settimana si stabiliva dalla classifica delle suonerie più scaricate. La copertina era praticamente una vetrina per ragazzotti capelloni con le scarpe a punta (a parte quella volta che c'era Kylie Minogue) e un titolo poneva senza ironia questa domanda: "Che cos'è l'emo?" Ecco a voi NME nel 2002.

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Quindici anni fa, NME si trovava in un momento che si potrebbe chiamare di transizione. Si stava uscendo da quelli che Peter Robinson—editor di Popjustice e ai tempi collaboratore di NME—chiama "gli ultimi rantoli del Britpop". Mentre il cambio di millennio spegneva l'ardore dei britannici per la musica dance, il magazine aveva bisogno di trovare qualcosa di nuovo per cui entusiasmarsi. Fortunatamente trovò The Strokes e The Libertines, così—secondo le parole dell'editore di allora, Conor McNicholas—“creò una scena dal nulla". Per tutti coloro che seguivano la musica sulla cresta dell'onda, NME si trovava al centro di quella scena e divenne la vera voce della cultura di cui parlava. Abbiamo chiesto ad alcuni degli addetti ai lavori più importanti dell'NME che fu di raccontarci com'era lavorare lì a quei tempi - dalle patatine condivise con gli Oasis all'incrociare i Libertines in un pub - e perché il giornale significasse così tanto.

Conor McNicholas – Editor

Nel 2002 la scena era nostra, completamente. Se guardi le vendite di NME, c'è una lunga e lenta curva discendente dal 1964. Ma ci sono due improvvisi picchi ascendenti: dal '77 al '78, quando NME era finalmente salito sul carrozzone del punk, e dal '02 al '05. È successo quello che non era successo con l'indie negli anni Ottanta o col Britpop nei Novanta, e la differenza era che la scena era nostra. Il Britpop era tanto dei tabloid quanto di NME—tutta la storia Blur vs. Oasis—mentre questa volta noi avevamo una scena in cui nessuno poteva entrare. Improvvisamente c'erano Kasabian, Bloc Party, Kaiser Chiefs, Kings Of Leon, The Killers, un'esplosione di musica veramente figa, e nessuno era in grado di capire davvero che cosa stesse succedendo, perché tutto si basava sull'esperienza del live. La gente mi dice: "Oh, tu eri così fortunato perché avevi una scena grandiosa, con delle grandi band eccetera'. Noi l'abbiamo costruita quella scena, cazzo. Non è comparsa da sola.

Io lo dirigevo come un giornale molto inusuale. In pratica dicevo: "Non sono interessato a inserire nella rivista gente che non ha bei capelli e belle scarpe". Non importa se la musica è bella, non riesco a prendermi bene per una band che ha un brutto look. Quando i Franz Ferdinand si sono presentati a fine 2002, avevano dei capelli magnifici e scarpe da paura, cazzo. Il dialogo che avevamo con l'industria discografica, i segnali che avevamo fatto uscire, le etichette discografiche sapevano che se volevano entrare in NME dovevano avere un cazzo di look fantastico. Il fatto di inserire quel filtro ha improvvisamente fatto schizzare in alto band come i Kasabian. Non importa se significasse o no qualcosa, perché improvvisamente hai qualcosa di cui scrivere.

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L'idea di iniziare a lavorare alle 10 del mattino è da pazzi oggi, ma è quello che dovevamo fare perché molti di noi erano usciti la sera prima. Guardavi i bollettini dei concerti, mandavi email ai PR con pochi minuti d'anticipo e loro ti piazzavano in lista. Poi prendevi mille taxi tra un concerto e l'altro, poi tutti ammassati al Marathon Bar di Camden a fine serata. Era come vivere in una specie di parco a tema rock'n'roll. Ma l'ufficio sapeva essere anche un ambiente brutale. Assunsi giornalisti ed editor bravissimi che però finirono distrutti, perché si poteva venire rifiutati molto facilmente. Alcune persone vengono ammesse nella clique, altre no. Fa molta paura avvicinarsi allo stereo dell'ufficio e mettere su qualcosa che tutti dovranno ascoltare. E il cazzo di lavoro è quello. Se non riesci a farlo, non dovresti stare in redazione.

Sylvia Patterson – giornalista freelance

Nel 2002 ero completamente freelance e precariamente, perché avevo già "dato le dimissioni" con grande indignazione nel 2001 [per via di una copertina con la parola "Miami" scritta sulle tette di una donna il cui resto del corpo rimane invisibile]. Il mio ruolo era solo di andare 'in missione' quando mi veniva chiesto. A quei tempi ero già una veterana, ma si respirava un'aria da nuova generazione a NME. Lo staff editoriale era maniacalmente ossessionato, comprensibilmente, dagli Strokes, i White Stripes e i Libertines, ed erano determinati a trasformare tutti questi in "band di NME". Ma mi sembrava tutto un po' disperato, sempre fissati con queste band che avevano deciso fossero 'cool'. Mi chiesero di intervistare John Lydon e mi venne presentata dai poteri forti una lista di domande su che cosa ne pensasse degli Strokes e dei White Stripes, "perché sarebbe molto utile per noi". Si trattava di, cazzo, Johnny Rotten, che magari ha qualcosa di interessante da dire su, chessò, la cazzo di umanità intera! Mi vomitai addosso e ritornai all'indignazione di cui sopra.

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Però ricordo di essermi fatta un paio di risate con gli Oasis quell'anno. Eravamo ad Aberdeen per la cover story di Liam e Noel, all'interno di un hotel scozzese da telefilm, con tutti gli arredi tartan. Liam era fuggito per andarsi a comprare un po' di patatine al sugo, e tornando disse di essere stato "importunato" dai ragazzini del luogo "che probabilmente mi hanno scambiato per Gareth Gates". Noel era in forma smagliante e sparò a zero sulla cultura del 2002, con le nuove forze egemoni che erano i reality show, Heat magazine, la cultura delle celebrità in generale e i talent show televisivi in particolare, che avevano ormai ridefinito il mainstream non più occupato dagli Oasis e dagli altri mattacchioni rock'n'roll anni Novanta. "Fottuti coglioncelli ordinari, idioti senza talento che lavorano a Tesco e hanno la S blesa o celebri teste di cazzo nella giungla", li chiamò.

Per me, personalmente, il 2002 ha rappresentato la fine di un'era. E forse anche la fine dello spirito di NME per come l'avevo conosciuto io, attraverso i tardi anni Settanta, Ottanta e Novanta. Era ora di una nuova epoca, una nuova generazione, una nuova voce. Chiamiamola l'epoca di VICE.

Alex Needham – Associate editor

Ho cominciato a lavorare a NME più o meno nello stesso momento in cui gli Strokes hanno pubblicato il loro primo singolo. Ci avventammo su di loro come predatori. Sembrava qualcosa perfetto per la rivista, ma era palese quanto fossero seri già da sé. Ma è difficile fondare una rivista solo su una band, quindi ci impegnammo molto a trovare altre cose di cui potevano parlare. I miei colleghi ascoltavano molte cose diverse, e ci concedemmo qualche esperimento. Mettemmo Kylie Minogue in copertina perché "Can't Get You Out of My Head" era stata un successo clamoroso, e ci sono certi pezzi così belli che piacciono a chiunque indipendentemente dal genere. Non tutti ce l'hanno fatta, però. Casey Spooner dei Fischerspooner mi telefonò e mi disse, "A chi lo devo succhiare per finire in copertina?" Non li abbiamo mai messi in copertina, quindi traete le vostre conclusioni.

Ricordo che il giorno prima delle vacanze di Natale del 2002 uscii a bere una cosa con James Endicott, e incontrammo Pete Doherty e Carl Barât dei Libertines. Avevano firmato per Rough Trade qualche ora prima ed erano piuttosto devastati, come potete immaginare. Erano ancora l'embrione di quello che sarebbero stati, non avevano ancora pubblicato un album, ma erano davvero interessanti ed eccitanti. Eravamo in un pub su Gray's Inn Road. Non mi ricordo molto bene i dettagli, a essere onesto, ma probabilmente non ero messo male quanto loro.

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Peter Robinson – Contributing editor

Attorno al 2002 Conor McNicholas, parlando del rilancio della rivista, ebbe quest'idea di inserire una sezione fissa basata su una tipologia di intervista—e questa fu Peter Robinson VS, che venne pubblicata per circa un decennio. Praticamente ero io che insultavo i musicisti con cui parlavo, e all'epoca sembrava più divertente di quanto lo potrebbe essere oggi. Penso che il fatto che ogni settimana si trovava comunque qualcuno che avesse voglia di sottoporsi alle mie cazzate da idiota dica molto su quanto NME sembrava ancora importante, quei giorni. Valeva la pena rischiare, se il risultato era avere una pagina sulla rivista.

È strano pensare che nel 2002 era ancora possibile aprire una rivista e leggere per la prima volta di una band su una pagina, o venire a sapere che qualcuno avrebbe pubblicato qualcosa di nuovo. Nel 2002 era ancora possibile che un settimanale uscisse per primo su determinate notizie. Ovviamente, nel 2017 ci riesce a malapena un quotidiano.

Personalmente non me ne fregava un cazzo dei White Stripes, dei Libertines o di chiunque altro, ma nonostante questo in quel periodo NME fu un grande esempio di come una testata può ritrovarsi al cuore di una scena davvero eccitante. Probabilmente c'era più tempo e spazio per uscire, spaccarsi e riprendersi dalle sbornie.

Anthony Thornton – editor, NME.com

Improvvisavamo man mano. Sembrava quasi che stessimo cercando di ricreare lo spirito degli anni Settanta, non c'erano regole e potevamo fare quello che volevamo. Uscivamo ogni sera e lavoravamo 15 ore al giorno, ma era il momento giusto per farlo. Eravamo rabbiosi e feroci, ogni volta che ci rendevamo che stava succedendo qualcosa di grosso ci mettevamo a seguirlo completamente.

Uscivo quattro o cinque sere a settimana, vedendo probabilmente tre o quattro band a sera, in due o tre locali. C'erano molti concerti segreti in giro, in quegli anni. E dovevamo comunque essere in ufficio la mattina dopo. Mi ero creato un ritmo per cui mi mettevo a letto all'una, alle due, alle tre del mattino e mi trovavo comunque alla scrivania la mattina dopo. Ti abituavi e andavi avanti, e basta.

Nel 2002 la mia band furono i Libertines. Li vidi suonare al Barfly, a Camden, prima dei Vines. Era il tour per i 50 anni di NME, ed erano così bravi che mi presi un giorno di ferie per andare a rivederli a Bristol un paio di giorni dopo. Scesero dal palco e si misero a ballare in mezzo al pubblico, ti rendevi conto che sarebbero diventati speciali. Da quella serata cominciò tutto, e cominciai a girare assieme a loro molto più di prima.

C'era quest'idea per cui NME era portato avanti da un'idea consensuale—ma in realtà era praticamente l'opposto. Quando vennero fuori gli Streets, per metà dell'ufficio erano la cosa più figa che avessero mai sentito. Ma per l'altra metà erano quasi uno scherzo. A tutti importava moltissimo di quello che il giornale parlava, e tutti combattevano per quella che credevano fosse la scelta giusta. C'erano guerre per avere il comando dello stereo dell'ufficio. La gente si alzava, prendeva il CD che stava andando e lo lanciava dall'altra parte della stanza. Era un posto splendido dove lavorare—c'era sempre musica, ti venivano regalati dischi e biglietti di concerti, uscivi quasi tutte le sere e passavi tutto il giorno a parlare e litigare di musica. Insomma, era piuttosto difficile che non fosse una figata. Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.