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Sono un militante M5S e non ho votato per fare un favore a Salvini

Mi chiamo Giovanni, ho 42anni e questo governo con la Lega di Matteo Salvini è un vero disastro.
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come raccontato a Enrico Nocera

Dopo le notizie di nuovi dissapori tra Lega e Cinque Stelle—incentrati in particolare sul ministro dell'Economia Tria—abbiamo chiesto a un elettore "di sinistra" del Movimento di parlarci del suo stato d'animo, dalle origini della sua adesione alla suo punto di vista sul futuro del governo.

Immaginate di trovarvi in macchina col cellulare scarico, senza navigatore, con poca benzina e in una strada che non avete mai percorso. Uno di quei momenti in cui vi illudete di poter contare sul vostro senso dell’orientamento, quando invece vi aggrappereste a chiunque possa darvi la minima informazione per uscirne e tornare in luoghi più familiari.

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Da elettore di sinistra mi sento esattamente così: a un certo punto mi sono perso. Per fortuna, sul ciglio della strada passava qualcuno che sembrava pratico del luogo. Quel qualcuno era il Movimento 5 Stelle.

Nella mia regione, in Campania, il cosiddetto “grillismo” nasce da associazioni, movimenti e gruppi spontanei di cittadini delusi da vent’anni di sinistra, qui incarnati nella figura storica di Antonio Bassolino.

Io sono uno di questi cittadini: mi chiamo Giovanni, ho 42 anni, e sono cresciuto nella provincia napoletana diventata nota come “Terra dei fuochi.”

Dalle mie parti, il primo nucleo dell’attivismo 5 Stelle nasce proprio così, sul tema dell’ambientalismo. Ho già citato Bassolino, che all’epoca della peggior crisi dei rifiuti che la Campania ricordi, nel 2008, era presidente della Regione; ma potrei continuare con il governo Berlusconi, che nel 2009 sancì, magicamente per decreto, la fine dell’emergenza munnezza in Campania; o con l’allora presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro, oggi senatore di Forza Italia, che nel 2010—dopo la presunta fine dell’emergenza decretata dal suo stesso governo—tramite ordinanza provinciale, fece riaprire il sito di stoccaggio di Taverna del Re a Giugliano, dove vennero stipati i rifiuti figli della crisi e dell’incapacità politica.

In quello stesso anno ero a manifestare all’esterno dei cancelli di Taverna del Re nelle file del Movimento 5 Stelle, insieme a esponenti di centri sociali e collettivi di sinistra napoletani. Abbiamo preso le stesse manganellate, subito le stesse cariche e ricevuto gli stessi insulti da parte dei poliziotti che ci sgomberavano, uno a uno, mentre gli autocompattatori entravano in discarica.

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Parlavamo tutti lo stesso linguaggio. L’opposizione alla destra di Berlusconi si esprimeva tramite le lotte ambientaliste, ma anche su altri terreni: la giustizia sociale, la sanità e l’istruzione pubbliche, il taglio degli stipendi e l’abolizione dei vitalizi ai parlamentari, e il principio secondo cui si sta sempre dalla parte dei più deboli. Senza distinzione di razza, ceto, religione. Ed è proprio su quest’ultimo punto che, banalmente, negli ultimi tempi la mia affezione nei confronti del Movimento ha cominciato a scricchiolare.

Vedere sempre più spesso il simbolo del Movimento accanto a foto profilo o status Facebook che inneggiano al fascismo, al “#NoIusSoli” o alla preservazione della razza italica mi fa schifo. Mi fa venir voglia di buttare all’aria i miei dieci anni di militanza, dimenticare tutte le lotte sul campo e lasciarmi andare in quel limbo disperato di inazione e confusione in cui galleggiano i “compagni” di sinistra.

Leggere le dichiarazioni di Luigi Di Maio sul fatto che i 49 milioni di euro indebitamente incassati dalla Lega riguardino “il partito del passato, quello di Bossi,” mi fa torcere altrettanto lo stomaco—anche perché Bossi sta ancora lì, sullo scranno da senatore.

Ma questi sono solo alcuni strascichi e conseguenze di tutto ciò che è successo prima.

Durante la campagna elettorale prima del 4 marzo, nelle sedi del Movimento sapevamo che il nostro avversario principale sarebbe stato Matteo Salvini. Non il centro-destra, non i vari alleati: proprio Matteo Salvini. Ma eravamo altrettanto convinti, a prescindere dallo schieramento politico cui ci sentivamo più vicini prima della nascita del Movimento, che nella peggiore delle ipotesi il Movimento non avrebbe mai fatto un “patto di governo,” soprattutto con chi ha sempre trattato i meridionali da esseri antropologicamente inferiori.

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Anzi, a voler essere del tutto onesti, alle riunioni pre-elettorali, che alle volte duravano fino alle quattro di notte, si aveva tutti la la sensazione che saremmo andati per la prima volta da soli al governo, che avremmo messo in pratica le nostre idee su giustizia, economia, ambiente e questione meridionale.

Li ricordo distintamente i discorsi che facevamo nella mia sede: “Per vent’anni ci hanno avvelenato con i rifiuti delle industrie del Nord sotterrati nelle nostre campagne. Con Di Maio premier cambierà tutto.” Ottimisti fino all’estremo. Pensavamo di poter cancellare una volta per tutte gli anni che avevano visto i rifiuti della petrolchimica italiana, dall’Acna di Cengio in Liguria ai fanghi conciari di Santa Croce sull’Arno in Toscana, sotterrati nelle campagne tra Napoli e Caserta.

Il Meridione sarebbe stato finalmente al centro di ogni dibattito pubblico che si fosse fatto in televisione, sui giornali, nei social. L’aria che tirava era quella, e veramente in pochi si sarebbero immaginati che, di lì a pochi mesi, avremmo cominciato a parlare solo di immigrazione e clandestini con gli stessi toni in cui ne parla la Lega; che un militante M5S della Campania avrebbe cominciato a utilizzare lo stesso lessico di un militante leghista del Veneto.

Devo ammetterlo: c’era una certa dose di ingenuità in tutto questo, soprattutto da parte di noi “movimentisti di sinistra.” Ma ve lo posso assicurare: non sono pochi quelli che, rigorosamente in privato, pensano che invece di poveracci sballottati da un barcone, si debba cominciare a parlare di riduzione delle spese militari. Un orecchio da cui Salvini sembra non sentirci troppo bene.

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Molti dei parlamentari che conosco considerano tutt’oggi la retorica salviniana come quanto di più lontano possa esserci dalle loro idee. Parlo di gente che marciava in strada durante le lotte ambientaliste a Giugliano, ad Acerra o contro l’apertura di una discarica nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio.

Salvini, al di là delle sue idee, ha un dono che reputo invidiabile: quello di far perdere la memoria alle persone. Così come molti dei miei conterranei hanno dimenticato le sue offese razziste e classiste, molti degli elettori hanno dimenticato che il suo partito ha preso quasi la metà dei voti ottenuti dal Movimento.

Nonostante tutto, il protagonista della vita pubblica è lui. Di questo, una parte degli attivisti 5 Stelle è ben consapevole. Così come è consapevole del fatto che il suo predominio su qualunque tipo di comunicazione riguardi l’attività di governo possa, a lungo andare, avere effetti deleteri sulla nostra percentuale di consenso.

Eclissarsi dietro le dichiarazioni dell’estrema destra, seguire Salvini in ogni sua uscita pubblica, doverlo smentire, trattarlo come fosse il nostro leader, significa rinunciare alla nostra identità e confermare le voci che ci vogliono frammentati e contraddittori.

Personalmente preferisco non rinunciare alle mie idee che governare con un alleato che sento distante da me anni luce. Ed è proprio per questo, per quanto paradossale possa sembrare, che mi sento ancora di appartenere al Movimento, quello del “primo nucleo.” Prendetemi pure per il culo, ma resto convinto che la nostra vera anima rimanga profondamente progressista.

Il fatto che il Movimento 5 Stelle si sia fatto carico di battaglie storiche della sinistra, a partire dalla tutela ambientale dei territori fino al diritto alla sanità pubblica per milioni di persone, è un dato che sfido chiunque a mettere in discussione. È per questo che il Movimento 5 Stelle deve restare sul campo dei diritti sociali. Perché se dobbiamo solo seguire la corrente e allinearci definitivamente all’ideologia di estrema destra per diventare un doppione della Lega, tanto vale votare l’originale.